Serve un Esperanto dei tag

Il problema vero è che mancano gli standard internazionali utili a favorire l’utilizzo dell’identificazione in radiofrequenza nell’ambito della supply chain

Si sente spesso dire che la mancanza di standard è stata un pesante inibitore della diffusione su larga scala delle tecnologie di identificazione in radiofrequenza. Se, infatti, chi attua un progetto di ottimizzazione della logistica interna può decidere di utilizzare la frequenza di lettura che più gli aggrada, fermi restando gli obblighi di legge, la situazione cambia molto quando le iniziative Rfid vedono coinvolti più attori della filiera produttiva o distributiva, quali partner commerciali o trasportatori. Manca, infatti, oggi, uno standard che assicuri che un tag scritto negli Stati Uniti sia leggibile anche in Italia. Per garantire il facile recupero dei dati, infatti, tutte le etichette, i componenti hardware di scrittura e lettura, le stampanti, nonché tutti i formati di dati nei quali sono codificate le informazioni contenute nei tag stessi devono essere prodotte secondo standard internazionali e condivisi. Iso (International Organization for Standardization) 18000 ed Epc (Electronic Product Code) sono, attualmente, le due specifiche più diffuse in questo ambito. Tra loro differiscono sostanzialmente sulla scelta delle architetture e sui criteri di numbering, ovvero sulle modalità di attribuzione di un numero di serie, univoco, abbinato a ciascun elemento etichettato. Il primo standard è più che altro orientato all’identificazione automatica e alla gestione degli articoli, mentre il secondo punta sulla tracciabilità e rintracciabilità del singolo articolo. A livello architetturale, Iso è più flessibile in quanto meno correlato a uno specifico settore, e supporta la realizzazione di un sistema di informazioni distribuito. Copre, inoltre, praticamente tutto lo spettro delle frequenze di uso industriale. I dati risiedono sul tag stesso o, al più, su una rete locale di database che si appoggia alle diverse applicazioni aziendali. Lo standard Epc, per contro, tende a disciplinare soprattutto la tracciabilità lungo la supply chain, attraverso la definizione di un’architettura basata su tag a basso costo e su un’infrastruttura di rete che centralizza le informazioni e specifica, nel dettaglio, come trattare i dati raccolti. L’obiettivo è di creare una sorta di Internet degli oggetti, nel quale ciascun elemento sia dotato di un tag provvisto solo di un codice identificativo univoco, a cui si sovrappone un database online, utile per associare i dati al tag e certificarne qualità e correttezza. Se e quando le due specifiche confluiranno in uno standard comune non è ancora chiaro, anche se le organizzazioni che le supportano dichiarano di lavorare congiuntamente a un allineamento.

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