L’analisi di Andrea Bonaccorsi, docente dell’Università di Pisa
Possiedono una gamma di prodotti differenziati, hanno fatto investimenti immateriali a valle (branding, rete vendita, distribuzione, servizio alla clientela), si sono conquistate la leadership in settori di nicchia e hanno una forte proiezione internazionale. Sono le medie imprese italiane secondo Andrea Bonaccorsi, docente dell’Università di Pisa e presidente del consorzio universitario Qulnn, che, intervenuto alla presentazione del rapporto Mediobanca-Unioncamere, ha descritto lo svolgersi dei processi di innovazione del “quarto capitalismo”.
Con una redditività più elevata delle grandi imprese che superano anche per crescita del fatturato e valore aggiunto, le medie imprese hanno in genere un management professionale in grado di coabitare con la proprietà, un controllo proprietario relativamente accentrato con scarso ricorso alla Borsa, una struttura finanziaria equilibrata, e la tendenza all’autofinanziamento della crescita.
Da quando l’export italiano ha ripreso a crescere sono riuscite a diversificare il portafoglio dei paesi in cui sono presenti con l’emergere di quelle aziende che da sempre coltivano la vocazione ai mercati stranieri a discapito di chi lo faceva solo occasionalmente.
Nel frattempo però i costi di ingresso sui mercati esteri sono aumentati con l’attività internazionale “che assume una struttura di costo a prevalenza di costi fissi o affondati. La ricerca di mercati più ampi diviene così una tendenza inevitabile dovuta alla esigenza di assorbire i costi fissi”.
In questo modo negli ultimi due anni si è stabilito un forte legame fra espansione all’estero e innovazione. Per sostenere elevati costi fissi di internazionalizzazione le imprese hanno dovuto dotarsi di un portafoglio prodotti in grado di alimentare la crescita dei volumi. “La rotazione dei portafoglio prodotti – ha osservato il docente dell’ateneo pisano – ha richiesto tuttavia una sistematica attività di innovazione, ma quest’ultima a sua volta innalza i costi fissi determinando la ricerca di mercati più vasti”. Internazionalizzazione e innovazione si rinforzano a vicenda, spingendo in lato il livello di rischio, ma anche il rendimento del capitale.
Questa situazione si riflette anche sul modello distrettuale classico. Secondo Bonaccorsi, infatti, non è la media impresa (il leader) che innesca la dissoluzione del distretto, ma semmai sposta in alto il livello di rischio accettabile. Nel momento in cui internazionalizzazione e innovazione chiedono costi fissi più elevati, però, il rischio non può essere più distribuito e socializzato ma viene internalizzato dalla media impresa.
In questo modo il quarto capitalismo ha costruito un modello di innovazione industriale dove la nuova tecnologia viene generata in laboratorio, con dipendenti a tempo pieno nella R&S che è separata dalla produzione. La spesa annua per la ricerca viene determinata come percentuale fissa del fatturato e l’introduzione di nuovi prodotti sul mercato viene cadenzata in funzione dello sviluppo dei prototipi e del portafoglio progetti.
Ma non è l’unica strada. Bonaccorsi traccia un altro percorso per l’innovazione che definisce “empatico” e che vede come punto di partenza la capacità di anticipazione dei bisogni inespressi del cliente e utilizza la tecnologia come un mezzo e non come un fine.
La R&S è opportunistica: si fa se, quando e in quanto serve, è collocata vicino alla produzione e l’introduzione di nuovi prodotti è cadenzata dalle opportunità.
Il risultato consiste spesso in innovazioni non radicali, ma “slittamenti funzionali e simbolico-emotivi dei prodotti”, mentre più rara è “l’idea” sul modello delle Geox che necessita di forti investimenti di branding e distribuzione.
Il problema secondo Bonaccorsi è rendere però sistematico il processo di innovazione perché la media impresa ha una velocità di crescita “governata dall’esigenza di camminare sul sentiero stretto determinato dalla capacità di autofinanziamento e dal profilo di rischio”. Il tetto alla crescita di queste aziende è determinato dalla dimensione mondiale delle nicchie che presidiano in modo competitivo, mentre una delle criticità individuate da Bonaccorsi sta nella difficoltà a seguire i processi di terziarizzazione in corso a livello mondiale.
Le aziende hanno i prodotti ma molto più grandi di loro sono i fornitori di servizi che potrebbero utilizzare i loro prodotti. La sfida è nella integrazione tra prodotti e servizi”, conclude Bonaccorsi che chiarisce con qualche esempio cosa potrebbe riservare il futuro.
Prendete un leader come Illy caffè e un colosso come la catena di caffetterie Starbuck, i prodotti dell’Erbolario e la catena di Body shop, le italianissime Witch con la Pixar di Steve Jobs. Gli esempi sono molti.





