Chi usa la virtualizzazione in Italia

Un quadro dell’utilizzo della tecnologia tracciato con il manager alla guida della filiale nazionale di Vmware. In luce i pregi (molti) e i limiti (pochi)

La virtualizzazione è una realtà ovunque in affermazione. Lo
testimoniano i tassi di crescita di Vmware che, da noi come nel resto del mondo,
si avvicinano al 100% anno su anno, tanto che se il trend proseguirà
la società conta di tagliare il traguardo del miliardo di dollari di
fatturato nel 2007 (nel 2005 ha incassato oltre 400 milioni).
«Le prospettive ci sono tutte – afferma Alberto Bullani, regional
manager della filiale italiana della società posseduta Emc – perché
oggi la penetrazione della virtualizzazione sui server fisici non supera il
3 o 4%. Idc prevede che nel 2009 il mercato della virtualizzazione raggiungerà
15 miliardi di dollari e che nei prossimi anni il 49% dei nuovi server sarà
acquistato con tale tecnologia a bordo
».

In Italia da chi e come viene utilizzata la tecnica che consente di fare a
meno di una macchina fisica utilizzandone una virtuale, su un sistema X86 condiviso?
«Le prime a partire sono state le banche – precisa Bullani -.
Come Banca Intesa, che proveniva dall’eredità delle fusioni
fatta da centinaia di server, dedicati a test e sviluppo, a Exchange, a file
e print server. Le applicazioni mission critical sono ancora su mainframe o
Unix e non si toccano, almeno per il momento
». Nel futuro, però,
Bullani vede prospettive differenti, grazie al fatto che le piattaforme x86
stanno crescendo in potenza e affidabilità.

Un importante driver per le banche è stato, poi, Basilea 2, dato che
ha imposto il disaster recovery. E questa è un’altra tipica applicazione
della virtualizzazione, oltre al consolidamento sulle applicazioni di “produttività”.
«Un server fisico diventa un file, aggiornabile in qualsiasi momento
e spostabile in qualsiasi luogo
– spiega il manager -. Così,
se il server principale cade, si può farlo ripartire dalla macchina virtuale
con un costo bassissimo
». Parallelamente alle banche, si sono mosse
le Tlc company, anch’esse con grandi progetti di consolidamento che comportano
risparmio sulle macchine fisiche e sulla gestione. Ma ci sono altre implicazioni.
«Ora sembra emergere sempre più il problema dello spazio, del
raffreddamento e della corrente elettrica consumata
– fa notare Bullani
-. Basta guardare i bandi di gara della pubblica amministrazione: dove una
volta c’era la corsa al MegaHertz, oggi c’è il limite di
Watt che la Cpu deve consumare. È un cambio epocale
». E cosa
fanno le Pmi? «Più della metà del nostro fatturato mondiale
arriva da ordini sotto i 20.000 dollari e anche da noi i progetti piccoli sono
in aumento. Gli obiettivi sono gli stessi: il consolidamento per il risparmio
e la semplificazione. Bisogna pensare che passare da 20 a 4 server per una piccola
realtà non è poco
».

Per il futuro, poi, c’è un campo di applicazione dal quale Vmware
si attende molto: la virtualizzazione desktop.
«In Italia stiamo assistendo ai primi progetti pilota e prevedo un’ondata
nel 2007
– dice il responsabile -. Centralizzare la gestione dei desktop
e sostituirli con terminali “stupidi” permette di risparmiare molto
sull’assistenza. È interessane soprattutto nella Pa
».
Vi sono situazioni, invece, dove virtualizzare non conviene. «Le controindicazioni
ci sono e noi stessi le evidenziamo
– ammette il manager -. Per esempio,
con le applicazioni molto intense, come un grande database che occupa quasi
tutte le risorse di un server multiprocessore
». Il single point of
failure è poi un elemento di rischio da considerare: se cade un server
fisico cadono tutte le macchine virtuali e le applicazioni ospitate. Per contro,
Vmware rende più semplici ed economici proprio i processi di recovery:
al limite si perdono i dati relativi alla finestra temporale precedente l’ultimo
snapshot.

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