Gli shared service nelle strategie di sourcing

Le società che sono in grado di sviluppare servizi standardizzati per la propria realtà interna, possono pensare di offrirli anche a terzi

Per il secondo anno consecutivo si è tenuta a Cernobbio (Co) la Sap Executive Conference, una manifestazione che ha l’obiettivo di discutere su temi che travalichino l’ambito di attività di Sap, mettendo a confronto da un lato l’It e le organizzazioni che ne fanno parte e dall’altro i “C-level”, (Cio, Cfo, Coo, Ceo), cioè tutti coloro che vedono nella tecnologia informatica una leva che abilita la gestione delle operazioni quotidiane aziendali e l’innovazione. Per definire i contenuti di quest’anno è stato istituito un advisor council, che ha visto la partecipazione sia di clienti che di partner Sap, per identificare un percorso attraverso il quale costruire i contenuti del meeting, quindi con una visione non necessariamente coincidente con quella di Sap.


Alla fine gli argomenti selezionati dal panel hanno riguardato l’identificazione di come dovesse essere il nuovo Erp, come l’It sia capace di generare economie di scala e innovazione e le politiche di sourcing, con un particolare focus sullo shared service.


Affrontiamo quanto emerso su quest’ultimo tema con Alessandro Giaume, direttore Large Enterprise di Sap Italia. Il manager ci spiega come lo spunto di partenza della discussione sia venuto dalla considerazione che in Italia l’obiettivo di contenimento dei costi e di ricerca di efficienza, evidenziato dai partecipanti alla discussione, rappresentati da It manager di aziende italiane di grandi dimensioni, rimane primario. «In effetti è emerso che tra i primi fronti sui quali i Cio stanno lavorando – osserva Giaume – c’è quello di consolidare e razionalizzare l’infrastruttura tecnologica, seguito dal desiderio di rinnovamento del parco applicativo e da un’apertura a quelli che sono gli strumenti di integrazione applicativa, che pur non facendo ancora parte di una architettura service oriented completamente strutturata, tuttavia ne rappresentano alcuni elementi base di abilitazione. Nella discussione è in parte entrato anche il tema della governance e come si stia spostando anche verso la compliance. Per cui, da un lato avanza la possibilità di avere una centralizzazione di quelli che sono i processi più standard presenti nelle aziende, e attraverso questi il raggiungimento di una compliance richiesta da normative che travalicano le frontiere nazionali, come per esempio la Sox, dall’altro la tendenza a sottolineare comunque la necessità di avere, nella gestione dei processi, una qualità e una eccellenza che fino a oggi non erano state prese in debita considerazione». Da queste premesse generali, il panel è passato a discutere su quali fossero le opportunità di una centralizzazione di erogazione di quei servizi che non sono core business (e che sostanzialmente sono gestione delle Hr e amministrativo-finanziari) attraverso gli shared service.


«Un altro elemento di dibattito – riprende il manager di Sap – è stata la necessità di poter rispondere, attraverso la standardizzazione, anche a quella che un tempo si chiamava “glocalization” (fusione di globalization e localization, ndr), cioè la capacità di delocalizzare certi processi e di andare a localizzarli nel paese in cui sono, mantenendo però una standardizzazione alta. Per cui la necessità di recepire attività e processi locali, e di inserirli in un ambito multinazionale, nasce da tutte le operazioni di merger e consolidamento che oggi sono all’ordine del giorno e che vanno in direzione di un innalzamento delle sinergie e riduzione dei costi associati. In Italia abbiamo alcuni esempi di grandi gruppi industriali che hanno consolidato all’interno di società dedicate non solo tutte le componenti It, ma anche quelle legate all’erogazione di servizi veri e propri, per cui si è avuta la concentrazione di risorse in un ambito aziendale ben circoscritto, che si può addirittura porre sul mercato come una realtà capace di erogare a terzi questi servizi».


Se, per esempio, un’azienda gravita attorno a un distretto industriale o a un grande gruppo di cui in qualche modo fa parte, può pensare di attingere ai servizi offerti da quest’ultimo, che a tutti gli effetti possono rientrare in una strategia di sourcing, e che quindi per esempio la libera dal problema di dover realizzare internamente una propria piattaforma di gestione delle Hr.


«È chiaro che le caratteristiche che queste installazioni devono avere per poter rispondere alle nuove esigenze di shared service sono diverse da quelle presenti oggi, in quanto devono essere dotate di flessibilità e della capacità di aprirsi all’esterno per poter colloquiare con i futuri partner – sottolinea il nostro interlocutore -. Quindi gli shared service hanno delle motivazioni anche di tipo economico, in quanto devono essere strutture che di solito derivano dall’It, ma devono avere anche competenze di processi e di business per meglio interagire con le realtà a cui si rivolgono, e tutto questo serve anche da stimolo per far nascere nuove professionalità».


I problemi sul tappeto


In questo momento in Italia, secondo Alessandro Giaume, direttore Large Enterprise di Sap Italia, mancano ancora dei tasselli da riempire per avviare una strategia di shared service e riguardano soprattutto la gestione della dinamica delle relazioni, che va vista più come un nuovo modo di gestire le alleanze strategiche, che non come un problema di gestione delle tecnologie. «Le aziende che sono interessate a questo approccio – afferma – devono avere l’abilità di riappropriarsi della capacità di generare valore utilizzando gli skill adeguati, ambito nel quale Sap può dare un notevole contributo. Il discorso degli shared service, tuttavia, è un passo ulteriore rispetto alla classica attitudine dell’outsourcer, perché consente di mantenere all’interno dell’azienda le professionalità sulle quali costruire nuovi servizi. Presso le imprese, il trend che vedo emergere nei prossimi cinque anni va nella direzione di una “ibridazione dell’It” dove esiste una componente che viene mantenuta dall’azienda, che è quella più core business, una componente che viene da terzi fornitori esterni, che è quella più standard, dove il valore aggiunto è più difficile da valutare, e poi c’è la componente orientata agli shared service, standardizzata, ma che è di supporto al core business. Dopo un periodo di attenzione sui costi e sull’efficientamento da parte delle aziende, le risorse It che sono state liberate da questo approccio possono così essere investite su fronti di maggiore innovazione».

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