De innovazione

Visioni d’Oltreoceano, su un tema che ci riguarda da vicino.

A quanto dice Gartner, l’80% dei Cio sostiene che l’innovazione a forte contenuto tecnologico è importante per il business. Solo il 40%, però, fa di questa convinzione un imperativo all’azione. Per esempio per impostare un progetto, o nominando qualcuno come responsabile organizzativo per l’innovazione. Cosa che accade, invece, presso i fornitori di tecnologia, come Oracle.

E stando alle conclusioni a cui giunge Deloitte, 7 su 10 dei prodotti presenti sul mercato lo scorso anno saranno obsoleti fra quattro. Se ne deduce che il bisogno di innovazione è più che palpabile. Quasi un’urgenza.

Queste considerazioni arrivano da Oltreoceano, dove, per esempio, si è tenuto il Gartner Symposium It Expo, consesso in cui il tema dell’innovazione è stato affrontato in lungo e in largo.

Diverse aziende innovano per uscire da una crisi, generalmente correlata a fatturati in calo o a costi in aumento, fattori che, all’unisono, provocano perdite.

Rari sono i casi di aziende che innovano partendo da situazioni floride. Una è sempre citata da tutti: la Ibm di Sam Palmisano, che ha saputo innovarsi e innovare da una posizione di successo.

Gartner evidenzia tre forme di attitudine all’innovazione.

La prima è quella delle società che rivedono il proprio modo di raggiungere i risultati di business e operativi. Chiamiamola innovazione funzionale, cioè efficientismo.

La seconda è propria delle società che rivedono la propria struttura organizzativa, che chiameremmo innovazione territoriale.

La terza è quella delle aziende che si legano a doppio filo con i propri clienti. Basata sullo zoccolo duro del business, fa dei clienti i veri partner per lo sviluppo di soluzioni. La si potrebbe chiamare innovazione sul campo. Viene indicata come processo facile a seguirsi, dato che non si tratta di creare prodotti “al buio”, ma consente di verificare passo passo processi e progressi. Ma porta con se il rischio, da evitare, che il cliente si senta “intrappolato”.

Ma innovazione è anche aprire nuovi mercati, rispettando l’etimo della parola. I primi della classe lo fanno con la ricerca e sviluppo, investendovi ingenti somme. Ma, osserva Gartner, lo possono fare anche “i comuni mortali”, semplicemente andando a capire i nuovi bisogni e cercando una via per la loro soddisfazione. Questa è un’innovazione, quindi, che nasce dal saper intelligere il mercato, quello più vicino alla propria realtà e alle proprie conoscenze. Non si tratta di un’innovazione di “serie B”, piuttosto di un’innovazione sana, reale e non indotta.

Lo confermano i big: Bank of America ha stabilito che aumentare dell’1% la soddisfazione del cliente genera il 3% di crescita nel fatturato. E un rapporto di uno a tre non è male, specie se il tutto viene fatto con un processo conoscitivo del cliente.

Da Oltreoceano arriva anche un’esortazione a ribellarsi alla cosiddetta “tirannia delle idee”. Spesso, si fa notare, le aziende hanno in mano decine di idee di presunta innovazione. Il loro alto numero genera un collo di bottiglia all’azione. Meglio, invece, sforzarsi di selezionare la migliore e poi, finalmente, agire. Sembra filosofia, e forse lo è.

Allora, l’invito, pragmatico, che viene rivolto ai Cio è quello di abbandonare l’istinto “perfezionista”. Ossia: i dipartimenti It non dovrebbero perdere mesi di lavoro a cercare di rendere perfetta una tecnologia che si ritiene legata a un processo innovativo. Meglio partire con l’implementazione, perché, bene che vada, una tecnologia è sempre e solo avanti di un quarto d’ora rispetto a coloro che la utilizzano. Cioè, ci sarà sempre qualcosa da mettere a posto.

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