Spy story

Tra gli “spioni”, spiati e consenzienti c’è di mezzo una legge: la 231.

Ormai è chiaro, a tutti piace spiare tutti.
Giornalisti, arbitri,
calciatori, politici, presunti terroristi, imprenditori, senza essere d’accordo
sono regolarmente oggetto di gruppi d’ascolto.
Poi ci sono gli “spiati”
consenzienti: la tribù dei reality show (non quelli che li guardano, ma quelli
che li fanno) e il popolo dei consumatori, che autorizzano a mettere le loro
abitudini d’acquisto nelle carte fedeltà, e forse un po’ ne traggono piacere.
Insomma, il nostro mondo occidentale è dominato da un senso di voyeurismo
sociale, più o meno lecito.

Anni fa inorridivamo al pensiero di Echelon.

Adesso ce l’abbiamo in casa e non ce ne siamo accorti.
C’è entrato un
pezzo alla volta, ora è accomodato nel salotto e non ne può uscire, se non
smantellandolo.
Ma è dura.
Dura per dura, allora, l’unica cosa che
possiamo fare è affidarci alla legge.
Come la cosiddetta 231, la cui
emanazione risale all’8 giugno del 2001 e che non ci risulta essere stata
abrogata.
Quel decreto legislativo, che ha anche una rivista su Web apposita
(www.rivista231.it) tratta della responsabilità amministrativa delle società e
degli enti. In sostanza fa obbligo alle aziende di evitare la commissione di
reati, perché ciò che di delittuoso fanno i dipendenti può ricadere su di loro.

Non è una legge bulgara.
È italiana e civile.
Invochiamone
l’applicazione e stiamo a vedere.
A vedere, sia chiaro, non a spiare.

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