Luci e ombre degli skill «in affitto»

Dalla voce di chi garantisce i servizi sul campo, una testimonianza del rapporto che lega azienda cliente, fornitore e professionista operativo

Di outsourcing tecnologico si parla molto. Meno di quello delle risorse umane, fenomeno legato alle società di servizi It che mettono il proprio personale a disposizione dei clienti. Una sorta di mercato in cui il “lavoratore in affitto” migra da un sistema informativo all’altro, con l’obiettivo di risolvere in tempi rapidi i problemi delle aziende utenti. Si crea, quindi, uno strano rapporto a tre, in cui il consulente si trova stretto tra due fuochi e, per non uscirne bruciato, deve praticare giochi di prestigio e quintuplicare il tempo.


Di questa relazione ibrida abbiamo parlato con chi i servizi li garantisce sul campo. Da più di dieci anni nel settore, il nostro “testimone oculare”(che preferisce non comparire) lavora per un grande gruppo di matrice italiana (con sedi anche all’estero) che propone consulenza, gestione operativa, soluzioni chiavi in mano, integrazione di prodotti e altro ancora, con un organico che supera i mille professionisti.


Lui, uno degli oltre mille, vive, quindi, l’It come una relazione d’amore, con i relativi dubbi, entusiasmi e tradimenti. Perché anche di questo si tratta. Che ciò sia ben chiaro ai responsabili dei sistemi informativi. Il rischio è che l’uomo (o la donna) dei servizi in outsourcing un giorno ci sia e quello successivo non più, spostato “temporaneamente” presso un’altra azienda, magari utilizzando i sotterfugi tipici degli amanti, con assenze strategiche ufficialmente imputate a malattie o parenti in difficoltà. «Ci sono progetti che possono durare una settimana, altri un mese, altri addirittura anni – spiega l’interlocutore -. In alcuni dovremmo essere “stanziali”, ma capita di essere chiamati a coprire urgentemente incarichi in altre imprese, perché le nostre competenze su certi ambienti sono necessarie altrove». Addirittura i tempi per organizzare “la migrazione” diventano sempre più brevi; i preavvisi si riducono e spesso capita di ricevere la notifica solo con poche ore di anticipo. E non importa quanto grande e di peso sia il committente. «Nell’azienda in cui mi trovo ora sono stato trasferito a titolo di favore per un periodo limitato e sono già mesi che mi trovo qui – continua il nostro osservatore speciale -, nonostante fossi occupato su un’altra commessa. Nella pratica lavoriamo quotidianamente presso un’azienda, ma se il nostro datore di lavoro ci sposta, non possiamo opporci, e non tocca a noi risolvere la questione con il cliente che resta sguarnito». Certo, ci sono casi in cui l’appoggio a una società terza avviene via telefono o, al limite, “staccandosi” per un paio di giorni al massimo e ce ne sono altri in cui, nonostante il progetto sia lungo, il lavoro effettivo è solamente di alcuni mesi e si riesce a tenere il piede in più scarpe. Nel caso si decida di affidarsi a una società di servizi, quindi, la condivisione delle risorse deve essere un rischio calcolato.


D’altronde, è la competenza a fare la differenza; a quella non si comanda. Il girotondo di risorse umane ha, infatti, lo scopo di risolvere i problemi impiegando il professionista più appropriato. Ma qui sta un altro dei nodi della questione: talvolta la conoscenza si crea sul campo, pur essendo usata come arma dal system integrator per aggiudicarsi la commessa.

«Spesso le imprese clienti si aspettano un po’ troppo e molto dipende da come i nostri responsabili ci “vendono” – precisa l’intervistato -. Tendenzialmente, ognuno di noi si arrangia a fare un po’ di tutto e se non ci si riesce, si interpellano i colleghi con più esperienza, anche perché, da un po’ di tempo a questa parte, ci formiamo strada facendo. Fino a qualche anno fa, infatti, seguivamo dei corsi di aggiornamento, ma ultimamente molto meno, almeno per quanto riguarda i decani, non so per i neo assunti. Non è piacevole, però, sentirsi impreparati o dover passare le proprie sere leggendo manuali per non fare brutta figura presso il cliente».


L’arte dell’arrangiarsi, dunque. Una prassi molto italica, ma, finché il rapporto funziona, nessun problema. I problemi sorgono quando la società cliente non si accontenta o quando il professionista inizia a sentirsi poco considerato. «A volte stiamo in ufficio 10/11 ore consecutive, adattandoci di volta in volta alle abitudini delle imprese in cui siamo inseriti – indica -. Fino ad ora non mi è mai capitato di sentirmi sfruttato, se non per gli orari. Le aziende sono consapevoli che creiamo un risparmio, ma è capitato che le risorse interne che andavamo a sostituire ci abbiano ostacolato, anche se, in linea di massima, sono sempre stato trattato come un collega». Complice, forse, la stretta nei budget, è il lato economico a deludere maggiormente il consulente It: «Sono anni che non riceviamo gratificazioni economiche e, spesso, la soddisfazione personale o lo stimolo di riuscire a gestire in prima persona un cliente non bastano».

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