Fare chiarezza sulla convergenza

La “rivoluzione” digitale si presenta con varie sfaccettature e in azienda va governata in modo adeguato, per fronteggiare le eventuali criticità

Di convergenza digitale se ne parla ormai da qualche anno, ma c’è da chiedersi se le aziende siano già mature e pronte ad accogliere questa “rivoluzione”.


Lo chiediamo ad Arrigo Andreoni che, oltre a essere Presidente del ClubTI di Milano, è un manager di grande esperienza nell’It e oggi svolge in Telecom Italia un’attività di advisory per la messa a punto di servizi relativi alla convergenza tra informatica e rete. «La sensazione che abbiamo oggi – osserva Andreoni – è che la convergenza sia spesso percepita come un complesso di sistemi e tecnologie da dover mettere insieme di cui non si capisce bene la portata. In realtà, convergenza significa, più semplicemente, sfruttare appieno le capacità dei singoli mezzi in maniera integrata tra loro. Avere, ad esempio un telefono che può essere sia fisso che mobile, un palmare che diventa anche cellulare, un PC che diventa il nostro televisore o ancora avere un accesso più semplice alla rete per tutti quei lavoratori, oggi numerosi, che sono sempre collegati all’azienda pur non essendo in ufficio. Oggi siamo ancora in una fase in cui, a volte, si ha la sensazione che tutto questo debba ancora avvenire. Da qui la necessità di stimolare momenti di dibattito su questo argomento, come faremo l’8 giugno presso la sede di Assolombarda. Infatti noi del ClubTI di Milano, insieme a Fida Inform, abbiamo organizzato un convegno, per fare il punto della situazione e nello stesso tempo presentare dei casi concreti di aziende che si sono già mosse in questa direzione. Riassumendo, oggi ci troviamo ad affrontare 5 grandi convergenze: quella tra voce e dati, quella tra telecomunicazioni fisse e mobili, quella tra telecomunicazioni e informatica, quella tra telecomunicazioni e media e quella tra telecomunicazioni ed elettronica di consumo, il tutto al servizio di un cliente sempre più esigente ma anche attento alla semplicità e facilità di utilizzo. Oggi, infatti, contrariamente a qualche anno fa, è proprio il mondo consumer il più attento a cogliere e ad adottare le soluzioni più innovative, mentre le aziende a volte faticano un po’ nell’adattarsi a questa rivoluzione».


Perché ci sono molti It manager che lamentano come la convergenza aumenti la complessità di gestione anche sul fronte sicurezza all’interno dell’impresa?


«C’è sicuramente un aspetto di incertezza per la non completa maturità delle soluzioni e dei servizi, però se si portano in azienda le soluzioni della convergenza in modo adeguato, vuol dire che si sono anche sapute fronteggiare le eventuali criticità, ad esempio la vulnerabilità, in quanto la convergenza comporta per necessità un forte aumento dell’attenzione verso la sicurezza. Per questo mi sembra interessante far conoscere l’esperienza di aziende che per prime si sono mosse in questa direzione ed evidenziare come hanno approcciato il problema. Dalle loro testimonianze potrebbero emergere casi in cui si sono centrati importanti obiettivi, sia in termini di costi sia in termini di sviluppo del business».


Secondo lei anche le piccole-medie aziende potranno trarre benefici dalla convergenza?


«Certamente, e visto che buona parte dell’innovazione parte prima dal mondo consumer, appena la convergenza diventerà più fruibile saranno proprio le Pmi ad adottarla e a trarre maggiori spunti di utilizzo. Oggi la tecnologia è molto avanti, va piuttosto stimolata sul mercato la definizione di una valida offerta di servizi che incontri le aspettative della domanda. Tutte le aziende che operano a livello geografico diffuso e vogliono crescere, con risorse umane limitate, troveranno che le soluzioni di convergenza offrono notevoli opportunità per supportare la mobilità del dipendente o collaboratore “nomadico”, rendendogli sempre più ampia e facile la possibilità di operare come se fosse dietro la scrivania del suo ufficio».

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