Si torna a parlare di formazione, vera discriminante per la buona salute del tessuto economico del Paese.
Ma perché dobbiamo essere assillati solo dalla patente a punti?
La
moderna civiltà occidentale, con una mano vara norme che fanno della privacy il
caposaldo insondabile e inespugnabile, con l’altra mette in pista meccanismi di
controllo dei movimenti, della personalità, delle abitudini: autovelox,
telefonia tracciata, carte fedeltà.
Alla faccia della privacy.
Ma visto
che la facciata ormai è andata, puntiamo almeno alle fondamenta.
Da più
parti (ne citiamo solo due: Federcomin, Bocconi) si sostiene che oramai nel
nostro tessuto economico la formazione è l’unica àncora che ancòra ci può tenere
a galla (volgare ossimoro, ma non ci rinunciamo).
Vogliamo, allora, una
buona volta capire cosa fanno le persone, specie quelle che lavorano in quello
che una volta si chiamava terziario, per la propria mente, per il proprio
sapere?
Vogliamo, cioè, capire come si informano, nutrono il proprio sapere,
coltivano la propria formazione?
Ma non con domande da macchina del caffè.
No: con un questionario che dia anche un punteggio vero e proprio.
Dieci, cinquanta, cento domande.
Un test che faccia capire quanto su una
persona si può contare, per il futuro.
Troppo facile godere di una posizione
costruita negli anni d’oro dell’economia.
Oggi non può più dare valore: chi
è sotto la linea fissata dal test, prego si accomodi e vada a studiare.
Ognuno ha l’obbligo, verso il prossimo, ma soprattutto verso se stesso, di
arricchire la propria cultura, tramite la libera circolazione delle idee, specie
con i mezzi che la tecnologia oggi mette a disposizione.
È sufficiente dire
blog.
Esattamente come richiede la medicina, disciplina in perenne
formazione.
E la medicina per la mente, per chi questa ce l’ha, è la
formazione intellettuale.
Oltre che guardarsi da chi dispensa consigli, come
quelli contenuti in questa pagina.





