Oro nero

Petrolio alle stelle. Austerity? No, voglia di giocare.

Fanno notare da più parti (anche l’ottimo Alfonso Tuor, il Turani del
Canton Ticino, che a differenza del vogherese non ha un blog su Repubblica) che
era dal 1973 che non si avvertiva una dinamica così forte sul petrolio, attorno
al petrolio, da e per il petrolio. Pare che tutto ruoti attorno all’oro nero.

Ma non nel modo in cui naturalmente debba essere, centrando in pieno
l’ovvio.
Di più.
Il barile oltre il 60 dollari chiama a gran voce una
scenografia composta da di austerity, petrodollari, sceicchi cattivi, Opec,
Vienna, America, Gheddafi, tutti-in-bici-la-domenica-di-targhe-alterne.
Un
clima di parole che, però, ora non attechisce, perché non ha spazio.
Perché,
a differenza del 1973, nelle case, negli uffici, in giro, c’è la tecnologia.

La tesi di Tuor è che il petrolio che sale non è indice di inflazione, dato
che cresce perché crescono i consumi di paesi che nel 73 nemmeno se lo sognavano
il petrolio.
Lo sarà quando chi ne fa uso produttivo dirà che non potrà più
tenere i prezzi fermi.
E poi sarà causa di recessione quando, a lungo
andare, il suo prezzo si fermerà o calerà, e in virtù dell’avvenuto aumento dei
prezzi dei beni, si spenderà veramente di meno, perché non ci saranno più soldi.

Ma ora quelli ci sono.
Ci sono e ce li spendiamo tutti in iPod,
videotelefoni e ammenicoli vari.
Noi, insomma, i soldi li buttiamo nel
gioco.
Ha voglia Billé a dire che il commerciante ha l’acqua alla gola.
Quello che vende imbuti per l’olio, forse.
Il negoziante di fuffa vende, e
se è un buon gestore, prospera.
Nel dopo-73 ci mettemmo una mano sulla
coscienza, per risparmiare, tutti assieme.
Oggi che ci mettiamo, e dove
soprattutto?
Per questo, come diceva uno slogan di una catena di negozi che
vendono roba che il più delle volte non fa pensare, non ci sono paragoni con il
dopo-73.
Oggi, suggerisce uno psichiatra normale come Vittorino Andreoli,
manca lo spazio, quotidiano, per la meditazione.
Ecco: una cosa che fa
risparmiare.
Anche il petrolio.

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