Michael Bublé

Ovvero, elogio dell’interpretazione in chiave open.

Forse abbiamo capito cos’è l’opensource.
E’ Michael Bublé.
Piace
come idea, basta ascoltarlo per esserne convinti.
Perché, in fatto di
capacità di esecuzione, nulla da dire: è vicino alle orecchie della gente.

Ma chi?
L’opensource o Michael Bublé?
Tutti e due.
Il canadese
non crea: intepreta, riproduce.
Lo fa bene e piace, nel senso che ha
successo fra i più, indipendentemente dal genere musicale che abbraccia.
Di
roba effettivamente sua ce n’è pochissima: è tutto un rimescolamento di
vocalizzi su creazioni di altri.
E piace agli stessi creatori, che, se vivi,
tributano elogi al crooner (dopo aver incassato le royalty, ovviamente).

L’opensource è un’interpretazione, una riproduzione, riveduta e
personalizzata, di creazioni software di altri, a cui viene aggiunto del
proprio. 
Piace agli stessi creatori, che tributano elogi ai
riproduttori.
Basti come esempio l’entusiasmo di Simon Phipps, un evangelist di Sun che, alla Java Conference di Assago ha sbandierato il fatto che dopo solo una settimana dal rilascio di OpenSolaris c’era già un gruppo di sviluppatori tedeschi (quattro) che ne aveva fatto una distribuzione, Schillix, che aggiunge a OpenSolaris il boot del sistema operativo da cd.

A prenscindere dal
problema del comprendere se Schillix sia bravo tanto quanto Michael Bublé, il
tema però sembra centrato. L’interpretazione di una creazione dell’ingegno serve
a rendere popolare proprio quest’ultima.
E se nel primo caso lo swing ben
cantato fa piovere diritti sui compositori di Spiderman, nel secondo apre il
campo alla fornitura di infrastrutture e servizi.
Ovvero: avere una bella
architettura hardware, ma con un sistema operativo poco usato, non produce.

Se questo, invece, è utilizzato e interpretato, da molte persone (e per far
che ciò avvenga, bisogna regalarlo) allora aumentano le probabilità di vendere
qualcos’altro.
Ecco perché a Microsoft non lo aprono (ancora) Windows, ma
nemmeno a Ibm aprono Aix.
Non perché sono cattivi e devono nascondere chissà
quale segreto.
Non lo fanno perché non ne hanno bisogno e le canzoni
preferiscono cantarsele in proprio.

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