Ovvero, la lotta di classe al profumo di mela.
Come ogni anno l’Epifania non porta via ma riporta. Il Macworld, nella Bay
area. Nel luogo fricchettone per eccellenza degli americani, dove tutto è
concesso, libero amore, libere sostanze, libera musica e libera tecnologia, va
in scena l’appuntamento trendy dell’hi-tech al silicio.
E puntualmente, anche quest’anno San Francisco è stato teatro della sfilata di begli abiti, belle abitudini, bei pensieri che l’anima Mac ha saputo portare in scena.
Attore protagonista, il solito: Steve Jobs.
In buona compagnia nel club degli imperituri (managerialmente parlando) con i billgates, i larryellison, gli scottmcnealy, il capo di Apple si è ripreso il palcoscenico che più gli è consono e ha sciorinato una rassegna di novità che, per destinazione e costi sembrano proprio create per il popolo, ma che, non c’è niente da fare, sono e saranno utilizzati da un’elite.
O, meglio: la piccola borghesia e la classe operaia li utilizzeranno anche, ma in silenzio, come loro solito.
Se, invece, qualcuno di una casta (tipo quella di cui ci onoriamo di appartenere) ne fa uso, sente l’insopprimibile bisogno di dirlo al mondo, di scriverne, di dare il buon esempio.
Una cosa come il Mac Mini, che costa 500 dollari (quindi non 500 euro, vero?) vuoi che non possa essere la panacea, per esempio, per il figlio di un operaio, per consentirgli di usare il Web una volta tanto in maniera sicura, senza che il babbo abbia a preoccuparsi se il pargolo scarica inavvertitamente un dialer che gli spara alle vette la bolletta telefonica?
Certo che lo è.
Ma quanto scommettete che non ci sarà un’intervista fatta in una casa popolare del Gratosoglio a testimoniare la validità dell’operazione e che, piuttosto, l’oggettino farà mostra di se in un servizio del tipo “le case della gente giusta della Milano che non beve più ma insegna il gusto e lo stare al mondo”?
Dai, tempo tre mesi.
E lasciamo pure perdere l’iPod, che oramai ce l’hanno anche i bambini, che lo usano, zitti e stanno tranquilli.
Ma se per caso ti fai tirare la schiena da un chiropratico che ti cura a 100 euro a botta, intanto che ti maneggia ti senti declamare le virtù del poter disporre di tutta la musica che vuoi in uno scatolotto grande come un pacchetto di sigarette (ah, già, che tanto non si può più fumare).
E il bello è che Apple fa anche cose più complicate, che meriterebbero di essere portate alla luce, con pari disincanto, come le San, ma invece passano sotto silenzio.
Insomma, viene quasi il sospetto che ci sia un herpes zoster
che colpisce chiunque faccia uso di un sistema Apple e faccia un lavoro che lo
mette in relazione con il pubblico, tipo lo scrittore, l’attore, il diggei, il
cantante, lo stilista, il giornalista, e che lo spinga a dire che lo sta
facendo.
Come questo articolo: scritto con un Mac.
Oddio!
Ma allora
è vero…





