Ancora una volta, lo Smau impronta la propria strategia di comunicazione su un recupero del mercato per ora assai più ipotizzato che concreto.
15 luglio 2004 Sono almeno tre anni che lo Smau tenta di farsi
portavoce o volano di una ripresa del mercato informatico italiano, che, almeno
finora, non c’è stata.
Rispetto agli anni passati, in cui i messaggi erano
assertivi fino all’imbarazzo, l’edizione 2004 è stata lanciata dal suo
presidente, Antonio Emmanueli, con un tono di maggiore realismo, certamente
negando la tesi del declino inarrestabile, ma anche ammettendo che senza una
scossa che nasca dal pubblico come dal privato sarà difficile pensare a un
rapido recupero di competitività per il nostro sistema.
Finché si resta sul
piano delle constatazioni, c’è poco da dibattere: a fronte di una ridotta
disponibilità di risorse da investire, causa la congiuntura sfavorevole, la
realtà tecnologica italiana presenta ancora ampi margini di potenziamento, che
possono essere sviluppati solo in presenza di una cultura dell’innovazione che
permane per ora scarsa.
L’oggetto principe di attenzione resta il mondo
della piccola e media impresa, tanto esteso quanto poco ricettivo
all’acquisizione di nuove tecnologie, che dovrebbero dare slancio al loro
business. Se però si passa sul piano delle azioni concrete, dalle certezze delle
teorie si sfocia solo nel regno della vaghezza, segno che un’idea dirompente per
risolvere l’enigma non è stata ancora trovata.
Quello che sappiamo è che il
99% delle aziende italiane contribuisce per meno del 30% al totale degli
investimenti informatici.
Ma in questo numero sono racchiuse tre milioni e
mezzo di realtà, un magma troppo esteso e indefinito per essere considerato come
un unico interlocutore.
E allora come trovare un punto di svolta?
Qui lo
Smau non può far altro che proporre, come farà nella prossima edizione, spazi
abbondanti dedicati al mondo delle Pmi, sperando che il pubblico di questa fetta
del business sciami verso i padiglioni della Fiera in cerca di un’idea geniale
per crescere.
La direzione di Emmanueli, tuttavia, è stata sempre improntata
a un attivismo nel mondo dell’Ict che nasconde l’obiettivo di fare della
manifestazione milanese una sorta di centro nevralgico del futuro sviluppo del
Paese.
Quindi, occorrerebbe aspettarsi qualcosa di più delle idee che
semplicemente riconducono alla natura del salone stesso ed entrino, invece,
direttamente nel tessuto economico che si vorrebbe ribaltare.
Se le idee,
tuttavia, si limitano all’annunciato “patto per lo sviluppo e l’innovazione”,
che parte da Milano per espandersi al resto del Paese, ma non si capisce con chi
dovrebbe essere siglato e che ricorda tanto il fantomatico “contratto con gli
italiani” a suo tempo inventato dall’accoppiata Berlusconi-Vespa, allora si
capisce che la strada da percorrere per uscire dal ristagno è ancora lunga e
priva di una guida ispiratrice.





