L’onda lunga del mercato impatta sull’occupazione Ict

Anasin, Assinform e Federcomin hanno analizzato il settore. I dati positivi, letti in profondità fanno emergere le difficoltà di un Sistema Paese che non investe in formazione.

12 luglio 2004

A un contenuto miglioramento dei tassi di occupazione e un aumento della flessibilità degli addetti, fanno da contraltare la crescente difficoltà in cui si dibattono le imprese, il mancato aumento dei power user nelle aziende utenti e la contrazione degli investimenti in formazione.


Questi sono i primi messaggi chiave che emergono dal Rapporto 2004 "Occupazione e formazione nell’Ict" condotta da Federcomin, An@sin e Assinform (in collaborazione con NetConsulting, Unioncamere, Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università di Milano Bicocca).


Il Rapporto, come ha sottolineato Giancarlo Capitani, amministratore delegato di NetConsulting, ha voluto, innanzitutto, monitorare la dinamica dell’occupazione generata dall’Ict e i processi ad essa collegati, come per esempio la mortalità/nascita delle aziende.


Infatti, le imprese che in Italia operano nel settore sono passate da 80.900 unità nel 2000 a 85.600 nel 2004.


Ma questa crescita, secondo Capitani, nasconde una realtà più complessa.


Infatti, al suo interno è in aumento il numero di aziende che si trovano in situazioni di criticità, salito a 8.300, rispetto alle 7.900 del 2002.


Inoltre all’interno delle nuove società nate è elevato il numero di imprese a capitale individuale, dato questo che conferma che il fenomeno nel tempo si è estremizzato, in quanto per la maggior parte è rappresentato da persone che cercano in questo modo di supplire alla perdita di lavoro.


All’interno delle 85.600 aziende, il Rapporto ha evidenziato che 25.100 sono ditte individuali, 25.200 società di persone e 35.300 società di capitali ed altre persone. Nel complesso 53.200 hanno addetti indipendenti e 32.356 addetti dipendenti e indipendenti.


Anche il numero di 608mila addetti che nel 2003 hanno operato nel settore, se da un lato evidenzia una crescita dell’1,5% sul 2002, dall’altro, se analizzato in tutte le sue componenti, evidenzia altresì che è aumentato il differenziale tra gli addetti nominali e addetti full-time equivalent (Fte), passando da 17mila unità nel 2000 a 30mila nel 2003.


Questo sta a significare che è in crescita il numero degli addetti, ma anche che questi ultimi, per scelte proprie o per cause esterne, come la cassa integrazione e la mobilità, non lavorano a tempo pieno, per cui, secondo Capitani, nell’Ict aumenta l’area di precarietà. Se ai valori prima citati si aggiungono anche i professionisti dell’Ict che operano presso le aziende utenti, circa 400mila, si ottiene un totale di oltre un milione di lavoratori che rappresenta il 5% della forza lavoro italiana.


Tuttavia, nonostante presso le aziende utenti il ruolo dell’Ict stia assumendo sempre maggior importanza non solo dal punto di vista operativo ma anche strategico, le aziende, in generale, non hanno aumentato le risorse Ict.


Nel complesso della forza lavoro nazionale è rimasto fermo al palo il numero dei lavoratori definiti power user (quelli, cioè, che sono capaci di utilizzare in modo autonomo molteplici soluzioni applicative, specifiche del proprio lavoro), stimati in poco meno di quattro milioni di unità, per cui sta calando il livello medio di esperti presso le aziende utenti, mentre sono aumenti (+2%) i generic user, quasi sette milioni.


A questi si deve aggiungere anche quella classe di lavoratori no user, oltre 4 milioni, che non fanno alcun uso di tecnologie Ict.


Se dividiamo il mondo dei lavoratori tra uomoni e donne, vediamo che queste ultime sono più in crescita tra i power user rispetto agli uomini, perché il loro livello di scolarizzazione è più elevato, come pure aumenta il livello nei giovani occupati.


Capitani ha anche sottolineato che il Rapporto ha cercato di sondare come le aziende creano le competenze.


La formazione, che è uno dei primi strumenti cui ricorrere, di fatto viene poco utilizzata, come testimonia la cifra spesa nel 2003, circa 630 milioni di euro, in decremento del 10,4% rispetto all’anno precedente.


E questo, come è stato più volte ribadito, è un dato preoccupante, perché la formazione non viene percepita come un investimento strategico, a tutto discapito della competitività delle aziende e del Sistema Paese.


In molti casi si supplisce alla mancanza di competenze interne con il ricorso all’outsourcing, il cui primo motivo, però è dato dalla convinzione di ridurre i costi o annullare il costo di mantenimento delle competenze.


Da tutti questi dati citati, secondo Capitani, si possono trarre alcune considerazioni: l’onda lunga del mercato è arrivata a impattare in modo negativo sull’occupazione.


Il numero in aumento di aziende che si trovano in situazioni critiche è allarmante e dimostra la difficoltà per le imprese di crescere, evidenziando ancora una volta una forte debolezza del tessuto produttivo nazionale; a ciò si aggiunge anche il calo delle persone specializzate che, come conseguenza, non aiuta certo le aziende a un maggior ricorso alle tecnologie It. L’occupazione, quindi, diventa sempre più una variabile che dipende dall’andamento del mercato.


In questa situazione, quali, quindi, possono essere le contromisure da adottare? Capitani ha evidenziato quattro driver per spingere la crescita: favorire il consolidamento delle imprese; favorire la loro traiettoria di aggregazione, che deve essere attentamente pianificata; aiutare le imprese a cogliere nuove opportunità; favorire la pervasività dell’Ict e il numero degli utilizzatori.


E su tutto questo, ancora una volta una grande spinta è attesa dal Governo, che deve spingere sull’innovazione molto più di quanto ora stia facendo.

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