Quando l’analista sbaglia. Perchè?
8 luglio 2004 Il secondo trimestre delle società informatiche è un
po’ come il primo quadrimestre al liceo.
I nodi vengono al pettine come le
note al plettro di B.B King: da soli.
Tanto poi si sa che ci sarà un secondo
quadrimestre per rimediare. E scatterà l’applauso finale.
Il secondo quarter
è un po’ il bacino di carenaggio per le aziende It, quel luogo temporale in cui
le magagne sono vere, ma si preparano e affilano anche gli strumenti per
metterle a posto. Insomma, ti arriva una pagella bruttina anzicheno, però un po’
lo sai, te lo aspetti, un po’ non te ne frega niente, perché tanto pensi che
rimedi nel secondo quadrimestre.
Il problema, semmai, è farla firmare ai
genitori, atto che impegna anche in un certo sforzo per blandire, giustificare,
promettere.
Poi ci si mettono anche quegli esigentoni dei professori, che le
interrogazioni di chiusura di quadrimestre le fanno difficili difficili
accidenti a loro. I professori dell’It sono gli analisti.
Che non perdono
occasione per non allinearsi con la realtà dei fatti, nel bene e nel male.
Il primo trimestre reale va a gonfie vele: fatturatoni e utiloni.
E gli
analisti erano rimasti sotto le previsioni.
Nel secondo cosa fanno?
Le
alzano.
E pure troppo: il mercato è più realista del re e rimane sotto la
linea.
Anzi, rimane nella linea giusta.
Insomma, i casi di Bmc,
PeopleSoft, Siebel, Veritas, che si sono dovute piegare all’umiliazione (perché
un po’ è così) dell’early warning, non fanno altro che confermare una cosa sola:
gli analisti non ci prendono.
E danno pagelle.
E i genitori-investitori
si aspettano di più dagli studenti-aziende. Come se a questi non interessasse
essere promossi e fare utili.
Ma sbagliano per cronica incapacità o perché è
utile a qualcuno che sia così?





