Lo storage si fa rete

Si parla di storage e si pensa, giustamente, ai modelli San e Nas. Si pensa, anche, di trovarsi di fronte a due schieramenti contrapposti pronti a sostenere le proprie ragioni tecnologiche e i propri investimenti. Si pensa, pure, che il terreno degli “ …

Si parla di storage e si pensa, giustamente, ai modelli San e Nas. Si pensa, anche, di trovarsi di fronte a due schieramenti contrapposti pronti a sostenere le proprie ragioni tecnologiche e i propri investimenti. Si pensa, pure, che il terreno degli “storage evangelist” sia irto di difficoltà. Nulla di tutto questo. Scandagliando il panorama di mercato si trovano molti punti di consonanza tra le visioni dei vendor, anche se ognuno mantiene la propria identità tecnologica. Prima convergenza fra tutti, è quella relativa a San e Nas. Ormai si parla comunemente di convivenza fra le due metodologie, proprio perché di natura tecnologica differente (anche se c’è già qualcuno che si sta adoperando per standardizzare le loro comunicazioni). E la conseguenza diretta di questo incontro di idee è la nascita del concetto del networked storage (o dello storage networking). Seconda convergenza è quella relativa agli investimenti: tutte le società mettono sotto il capitolo di spesa R&D chiamato “storage” centinaia di milioni di dollari all’anno. Terza convergenza è quella inerente un assunto: mancano, nelle aziende, le competenze tecniche per gestire il networked storage. Ergo, i vendor intravedono buoni profitti soprattutto nel campo della consulenza ai progetti. Tutto questo senza che si adoperino poi molto a educare l’utenza: quello dello storage è un concetto che passa facilmente. È subito chiaro a tutti, all’aumentare della mole di dati, che meglio li si conserva, meglio è.

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