Secondo i dati Cgia Mestre, tasse, burocrazia, costo del lavoro, inefficienza della pubblica amministrazione e mancanza di credito hanno indotto molti imprenditori a trasferirsi in Paesi dove il clima nei confronti dell’azienda è più favorevole.
Le tasse, la burocrazia, il costo del lavoro, il
deficit logistico-infrastrutturale, l’inefficienza della Pubblica amministrazione la mancanza di credito e i costi dell’energia rappresentano degli ostacoli spesso
insuperabili per le imprese italiane tali da aver indotto molti imprenditori a
trasferirsi in Paesi dove il clima nei confronti dell’azienda è più favorevole.
Secondo l’Ufficio studi della Cgia di
Mestre sono oltre 27mila imprese che,al 31 dicembre 2011, hanno trasferito
all’estero una parte della loro attività produttiva. Sebbene la crescita del numero dei gruppi interessati dal fenomeno
della delocalizzazione è stato abbastanza contenuto, pari al +4,5% tra il 2008
e il 2011, ha sottolineato l’Associazione, nell’arco temporale che va dal 2000 al 2011, invece, l’incremento è
stato molto consistente: +65%. Alla fine del 2011 ammontavano a poco più di
1.557.000 i posti di lavoro creati da queste aziende oltre confine.
“Premesso che in questi ultimi decenni la
delocalizzazione produttiva ha interessato tutti i Paesi più industrializzati
del mondo – sottolinea il segretario della Cgia di Mestrew, Giuseppe Bortolussi –
fare impresa in Italia è molto più difficile che altrove. Un elemento di
forte richiamo è la certezza del
diritto. In Francia, ad esempio, i tempi di pagamento sono più puntuali e
più rapidi di quanto avviene da noi. La giustizia francese funziona e chi non
paga viene perseguito e sanzionato. Senza contare che i tempi di risposta delle
autorità locali sono strettissimi, al contrario di quanto succede
in Italia dove l’unica certezza sono i ritardi che accompagnano quasi ogni
pratica pubblica”.
Dopo la Francia, tra i Paesi che hanno attratto gli
interessi delle nostre imprese troviamo gli Stati Uniti (2.408 aziende), la
Germania (2.099 imprese), la Romania (1.992 unità produttive) e la Spagna
(1.925 aziende). La Cina è al settimo posto, con 1.103 imprese italiane che
hanno scelto di proseguire la propria attività produttiva in estremo oriente.
Le Regioni più investite dalla “fuga” delle proprie
aziende verso l’estero sono quelle del Nord. In Lombardia se ne contano 9.647,
in Veneto 3.679 in Emilia Romagna 3.554 e in Piemonte 2.806. Messe tutte
assieme costituiscono oltre il 72% del totale delle imprese che hanno lasciato
il nostro Paese.
Quasi un’impresa su due (48,3% del totale) opera nel
commercio all’ingrosso (in valore assoluto sono 13.124 aziende). Si tratta, ad
esempio, di attività legate agli intermediari del commercio, del commercio
all’ingrosso di prodotti alimentari e bevande, di apparecchiature high-tech e
di altri macchinari e attrezzature. Attività prevalentemente costituite dalle
filiali commerciali di imprese manifatturiere. Segue l’industria manifatturiera
(28,6% del totale) e la logistica (6,2% del totale).





