Anni trascorsi nelle multinazionali hanno affilato la penna a Enrico Negroni, un trascorso importante in Sap, Ibm, Hp. Che oggi pubblica un libro di aneddoti, attraverso i quali punta a stimolare la visione laterale.
”Chi si aspettava da me un libro-totem sulla storia dell’Erp rimarrà deluso”. Così Enrico Negroni, un passato importante in Sap, dove ha rivestito ruoli di responsabilità a livello Emea, e trascorsi in Hp, Unisys, Techedge, Engineering, Ibm, anticipa i contenuti della sua fatica letteraria: una raccolta di aneddoti, di racconti brevi, di pensieri dal titolo ”La scrivania obliqua” ed edito da Pietro Macchione.
Negroni rivendica per sé la definizione di manager atipico e così spiega la scelta di scrivere: ”Ho voluto dilettarmi su qualcosa di interessante. Qualcosa che porti a riflettere su cosa, nella vita di una azienda, è effimero e cosa è invece superfluo”.
Già teorico dell’impresa agile, Negroni parla oggi di visione laterale, quella visione, cioè ”disincantata e obiettiva di comportamenti e situazioni”, che aiuta a distinguere cosa davvero porta valore ai propri collaboratori e ai propri clienti.
”Una scrivania obliqua – sostiene, spiegando così il titolo del libro – non porta valore. Eppure, quante volte in azienda ci imbattiamo in qualcuno convinto che ruotare la sua scrivania sia dichiarazione di leadership”.
Il libro è dunque una raccolta di aneddoti attraverso i quali Negroni invita a lasciare aperta la visione laterale in tutto il quotidiano, perché consente di ritagliare anche nella routine momenti di leggerezza e svago, e perché in questa leggerezza ciascuno può trovare una fonte di arricchimento personale e professionale.
”Vogliamo parlare delle azioni di accaparramento dei ficus benjamin in azienda? – ironizza – . Quasi che il ficus sia una dimostrazione di empowerment”.
Raccontare ciò che si vede e come lo si vive diventa leva di buonumore secondo il manager che punta il dito contro il pragmatismo americano, contro l’approssimazione, contro l’impoverimento culturale.
Lancia la sua crociata contro gli ”assolutamente si” e gli ”assolutamente no”, stigmatizza l’impoverimento culturale e poi svela l’atout: pur rifiutando a priori la definizione di manager ”no global”, le multinazionali sono dritte nel suo mirino.
”Il cancro è la standardizzazione. L’omogeneità non può esistere perché i bacini culturali dai quali proveniamo sono diversi. Non bastano i master: bisogna sviluppare una cultura interiore che ci renda sensibili e ci faccia osservare la realtà con disincanto e senza paraocchi”.
Laddove il paraocchi, stringi stringi, si chiama quarter.
Il quarter che impedisce di vedere oltre e che ha fatto perdere, nella visione di Negroni, il buon senso, trasformando le risorse delle imprese in soggetti ”che corrono trafelati, troppo concentrati sul business, portati ad applicare decisioni senza poter accendere il cervello. Si trasforma la filiera un una catena di terminali senza intelligenza senza capacità di discernimento e valutazione. Si applicano regole senza vedere che sono inapplicabili”.
Così, il libro vuol rappresentare una prima boccata d’aria, per imparare a guardare con più disincanto il quotidiano, per poi provare a cambiarlo un po’.





