Der (digital) kommissar

Neelie Kroes nella Silicon Valley, fra nerd, hippy e qualche idea confusa.

Terra di nerd e di hippy. Così titolava l’articolo che Neelie Kroes ha postato sul proprio blog istituzionale per raccontare il suo viaggio nella Silicon Valley.
Un articolo che presenta spunti interessanti, altri meno, considerazioni condivisibili, altre ancora meno.

Intanto il Commissario all’Agenda digitale ha fatto bene a prendere contatto con quelle realtà che stanno cambiando, prima il mondo Ict, e in seguito anche il mondo nel complesso. Così come ha fatto bene a ribadire che una cosa è la Silicon Valley, altra è il resto.

Noi che lo seguiamo da vent’anni e lo abbiamo visto crescere sappiamo che questo straordinario terroir tecnologico californiano è unico e non ripetibile e quanto più le istituzioni ne prendono coscienza e meglio è.
Il che serve a dire che gli sforzi dello sviluppo vanno diretti non all’emulazione, ma alla creazione, nell’alveo delle proprie possibilità.
E quindi tutto quanto si può fare per facilitare il processo di innovazione a casa nostra è benvenuto.
A partire dall’avvicinamento fra il mondo della ricerca a quello imprenditoriale, per arrivare alla semplificazione del meccanismo dei finanziamenti e, perché no, all’aumento del loro volume.
Cose note, trite, ma che ribadire male non fa.

Fin qui la ricetta Kroes convince.

Lo fanno un po’ meno le considerazioni fatte dal Commissario riguardo i presunti vantaggi che avremmo rispetto al mondo americano e il modus operandi su alcuni versanti dell’innovazione.

Facciamo riferimento alle valutazioni sullo stato del sistema dei brevetti, che metterebbe l’Europa in posizione favorevole rispetto agli Usa (forse accadrà domani, con il brevetto unico, ma ancora non ci siamo arrivati) ma ancora di più a quelle sullo stato delle reti. Aver individuato nella connettività broadband l’asset su cui puntare non ci fa migliori degli americani, a qualsiasi livello: tecnico, geografico e gestionale. Per capirlo basta pensare alla considerazione che si ha del wireless pubblico da questa parte dell’Oceano e dall’altra.

Ancora: dichiarare l’eccellenza Europea in campo scientifico e formativo in un momento in cui gli investimenti degli Stati membri in istruzione si contraggono e il raggiungimento del rapporto 3% fra investimenti in R&D e Pil è fortemente in dubbio ci pare forzato. Investimenti come quelli recentemente stanziati servono, ma non bastano a decretare primati.

E poi l’esempio indiano.
Dire che le nostre farraginose politiche migratorie ci impediscono di attirare quelle teste che ci servirebbero per competere, per esempio con l’India, nell’attrarre investimenti tecnologici, compiuti tutti i percorsi può portare solamente a due conclusioni: o che l’Europa deve pagare di meno il lavoro intellettuale, allineandosi ai paesi offshore, o che da noi non esiste la formazione necessaria per svolgere quel lavoro.
Non si sa se preferire la seconda contraddizione o la prima provocazione.

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