I bilanci infrannuali 2009, piegati dalla recessione, finiscono per incidere negativamente sui rating assegnati dalle banche nel 2009, con effetti a cascata sulla concessione di credito contribuirebbe a ridurre il “credit crunch”
Nove mesi di crisi. Da ottobre 2008 gli ordinativi hanno cominciato a scendere (crollare sarebbe il termine più idoneo).
Il 2009 si è aperto all’insegna dell’utilizzo continuo degli ammortizzatori sociali, come mai prima d’ora (Cassa integrazione, mobilità, ecc. ). Timidamente negli ultimi giorni qualcuno comincia a parlare di ripresa, ma nessuno può realisticamente affermare che si tratti di autentico recupero o più semplicemente della necessità di rimpolpare i magazzini, ridotti all’osso da mesi di mancato ripristino delle scorte.
I bilanci 2008 delle piccole e medie imprese hanno tenuto, grazie al fatto che l’esercizio passato per 8/9 dodicesimi (fino a settembre) si è dimostrato un anno contraddistinto da ordini e fatturato in crescita.
Il crollo nell’ultimo trimestre è stato assorbito dal buon andamento dei tre precedenti.
Il rating interno assegnato dalle banche sui dati 2008, quindi, non dovrebbe penalizzare in maniera eccessiva le aziende. Il problema verrà dopo, con i primi bilanci infrannuali 2009, che evidenziano in molti casi crolli del fatturato pari al 30 – 50% rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente.
Quando il rating comincerà a impattare sull’anno in corso, il problema dell’affidabilità finanziaria di tante imprese comincerà a prendere corpo. La discesa della classe di rating si porterà appresso un incremento del costo del denaro e nelle ipotesi più gravi una diminuzione della capacità di accesso al credito. La forbice dei tassi ormai, a fronte di un euribor ai minimi storici, (sotto il punto l’euribor a un mese media mese di giugno) è in grado di esprimere valori molti distanti a seconda della valutazione finanziaria del prenditore.
Pagare una linea di smobilizzo crediti l’1,5% piuttosto che il 7% diventa la norma. A cattivo rating, cattive condizioni e affidamenti negati. Il problema è che in una situazione di crisi perdurante i rating negativi non sono il risultato di un malgoverno imprenditoriale, ma uno stato di fatto non modificabile per volontà dei singoli.
Da qui l’analisi effettuata da più parti che Basilea 2 necessiti di una rivisitazione per limitare una caratteristica molto pericolosa che proprio oggi si sta manifestando in modo dirompente: la sua prociclicità, ovvero la tendenza a creare condizioni di credit crunch, di limitazione del credito, proprio nel momento in cui invece servirebbe allentare i cordoni della borsa. Una revisione dell’accordo appare inevitabile, anche se probabilmente non si tratterà di una rivoluzione. Dai primi documenti appare evidente il tentativo di migliorare la veridicità dei sistemi di rating, spingendo sulle metodologie di valutazione del rischio derivante dai sistemi interni.
Viene evidenziato il rafforzamento della disciplina di mercato, spingendo gli operatori verso una maggiore trasparenza nel reporting e nella condivisione delle informazioni. L’attenzione del comitato di Basilea 2 appare centrato sul fatto di evitare l’imposizione dall’alto di modelli e metodologie, lasciando ampio campo alle singole realtà di auto regolamentarsi, entro determinati limiti.
Effetti della crisi sul bilancio…
La conseguenza più ovvia del perdurare della crisi è il crollo del fatturato per le imprese, con effetti deleteri su tutti gli indici correlati, a cominciare dal rapporto tra indebitamento bancario e vendite.
Tale rapporto dovrebbe essere contenuto entro un terzo, considerando anche le linee di smobilizzo crediti.
Il rapporto potrebbe subire anche un innalzamento nel caso in cui una grossa fetta del debito sia costituita da linee di anticipo crediti e che la qualità dei clienti dell’impresa sia elevata (pagatori puntuali).
Più si innalza la quota non auto liquidante del debito (finanziamenti a medio termine, a 18 mesi e linee di cassa) e più i clienti sono da annoverare nella categoria dei cattivi pagatori, più il rapporto deve essere rivisto al ribasso.
La crisi colpisce simultaneamente entrambe le grandezze del rapporto, falcidiando il denominatore (fatturato) e innalzando il numeratore (debiti bancari destinati a salire per incapacità di rimborso e per mantenere in azienda un minimo di liquidità).
Un deterioramento progressivo dell’indice verso la soglia drammatica dell’uno a uno (fatturato pari ai debiti finanziari) significa crollo del rating e crisi di liquidità aziendale. Ma il perdurare della crisi sta creando situazioni inedite e comportamenti fino ad oggi inusuali anche su altri fronti nel mondo delle Pmi. In particolare si rileva una crescita abnorme del livello degli insoluti. Chi fino ad oggi era considerato un buon pagatore, si trasforma come per incanto in un soggetto che non rispetta più le scadenze, che rinvia i propri impegni.
La crisi diventa anche alibi: aziende comunque liquide approfittano della situazione per non pagare comunque i propri fornitori, per allungare le scadenze. Il livello dei crediti verso clienti in bilancio si innalza, peggiorando la rotazione dei medesimi, con riflessi nefasti sulla valutazione finanziaria dell’impresa.
Il crollo nella domanda si porta appresso una discesa dei prezzi, per tentare comunque di catturare qualche ordine. L’effetto sui margini operativi (in particolare sul Margine operativo lordo) è immediato e dirompente, con una discesa preoccupante della redditività industriale. Il taglio dei costi (costo del lavoro in primis) non è altrettanto immediato. Gli ammortizzatori sociali ci mettono parecchio tempo a trasformarsi in miglioramenti del conto economico aziendale, sono temporalmente sfasati e non riescono a compensare completamente la discesa di fatturato e Mol.
Sul fronte delle materie prime poi, non è così scontata una discesa dei prezzi. Situazioni di monopolio e speculazione finanziaria hanno rilanciato negli ultimi sei mesi verso l’alto il prezzo di numerose commodities. Non è assolutamente assodato che le imprese riescano a recuperare valore aggiunto su questo terreno. Parallelamente, riguardo alle materie prime dove invece la discesa dei prezzi si è verificata, il problema per le aziende manifatturiere è rappresentato dal magazzino, dove probabilmente si trovano stoccati beni valorizzati a prezzi superiori a quelli attuali e non vendibili se non con rivisitazione al ribasso.
Anche la gestione finanziaria subisce l’impatto della crisi. Le banche tendono a rivedere in aumento spread e commissioni.
Gli oneri finanziari galoppano e a poco valgono le buone intenzioni del Governo, stile eliminazione della commissione di massimo scoperto. Il sistema finanziario reagisce al mancato introito derivante dall’abolizione, con la costituzione di un nuovo balzello, la commissione di messa a disposizione, dove al cliente viene fatto pagare un costo (in percentuale;
indicativamente 1% del fido accordato) in funzione del fatto che l’istituto ha deliberato una linea di credito a suo favore.
Anche se la linea dovesse di fatto essere inutilizzata (si parla anche qui di scoperto di conto o di castelletti import, export e in generale di smobilizzo crediti), il cliente si vedrà comunque addebitato l’importo. La giustificazione del sistema finanziario sta nel fatto che la banca in ogni caso, deliberando una linea, ha impegnato del capitale, che in qualche
modo deve far fruttare. Uno scoperto di 100.000 euro non utilizzato dall’impresa potrebbe portare un onere all’azienda di mille euro.
…e sui rating
Il rapporto tra l’ammontare degli oneri finanziari (in crescita), e il fatturato (in discesa) rientra in tutti i sistemi di internal rating. Il livello soglia da non oltrepassare è rappresentato dal 5%, ma in una situazione come quella attuale, non è poi così scontato rimanere al di sotto, (il debito cresce e costa di più e contestualmente le vendite flettono).
Il conto economico punta decisamente al rosso e le perdite d’esercizio cominciano a presentarsi con una numerosità superiore al passato.
Ma le Pmi avranno il capitale necessario per coprirle e per rilanciare il business? Tutte quelle che presentano un patrimonio netto pari almeno al 25% del totale di stato patrimoniale e che detengono un leverage (rapporto tra debiti finanziari e patrimonio netto) inferiore a 4 avranno sicuramente maggiori chance di rimanere sul mercato e di mantenere buoni rating. Viceversa le imprese sottocapitalizzate, identificate da livelli patrimoniali bassi se non addirittura nulli si vedranno espellere dal mercato del credito a causa del loro basso rating, derivante appunto dalla sottocapitalizzazione.
Non troveranno più istituti bancari disposti a concedere loro credito o se li troveranno, il denaro costerà loro almeno il triplo dei loro concorrenti patrimonialmente equilibrati. La crisi inasprirà il divario, mettendo ancora di più alle corde la aziende con scarse disponibilità.
Il binomio scarsa capitalizzazione – scarsa redditività poi, costituirà per le imprese un cocktail micidiale.
Scenari futuri
L’auspicio è che entro la fine dell’anno qualcosa cambi veramente in termini di ripresa e di ritorno di ordinativi, in modo da diminuire l’effetto negativo sui bilanci 2009, altrimenti la stretta creditizia sarà ancora peggiore di quella in atto.
Inoltre sarebbe opportuno che le imprese sfruttassero al meglio le opportunità ancora offerte dal sistema bancario per ottenere liquidità a medio termine, consolidando i propri debiti di breve e cercando di ottenere periodi di preammortamento i più lunghi possibili, magari con l’ausilio di un intervento consortile (garanzia confidi), sempre più richiesta dalle banche.
(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti e credito, Novecento Media)





