Spesso oggi gli attacchi cyber si concentrano su errori umani e sulle identità digitali. Investire nella loro protezione significa garantire continuità operativa e compliance. Una nostra survey farà luce sulla situazione nelle aziende: partecipando si ottiene una guida pratica alla cybersecurity.
Per decenni la sicurezza informatica aziendale è stata concepita attorno a un concetto fisico, il perimetro: firewall, antivirus e sistemi di rilevamento delle intrusioni erano barriere erette per difendere la rete corporate dall’esterno. Oggi questa concezione è superata. L’identità dell’utente, ossia il “chi” e il “cosa può fare”, è diventata il nuovo terreno di operazioni per i cybercriminali.
Il panorama delle minacce lo conferma con dati inequivocabili. Sebbene l’ultima edizione Rapporto Clusit mostri un aumento complessivo della gravità degli attacchi in Italia, una tendenza che preoccupa i CISO è lo spostamento del vettore d’attacco.
Il cybercrime (che rappresenta la maggior parte degli incidenti) non investe più solo in exploit complessi, ma sfrutta sistematicamente la vulnerabilità umana per ottenere l’accesso tramite il furto di credenziali valide. Tecniche come il phishing e l’ingegneria sociale (che agiscono sulla psicologia della vittima) sono in continua crescita, rendendo l’errore umano la causa principale di circa l’80% delle violazioni.
In questo scenario, la protezione dell’identità digitale non è più un componente della sicurezza, ma l’asse portante di una solida strategia di Cyber Resilience e di governance.
Per le PMI italiane, che spesso non dispongono di team di cybersecurity strutturati, l’adozione di un approccio metodologico di Identity Access Management (IAM) può sembrare un onere. È qui che le piattaforme as-a-service entrano in gioco.
Soluzioni come TeamSystem Cybersecurity sono progettate proprio per affrontare questa complessità, offrendo strumenti scalabili per la gestione centralizzata e il monitoraggio degli accessi, fungendo da primo e fondamentale pilastro per l’attuazione delle politiche di accesso, in linea con i futuri obblighi normativi.
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Protezione dell’identità digitale: autenticazione forte e principio Zero Trust
Con l’identità come nuovo perimetro da difendere, la prima contromisura tecnica che gli IT manager devono adottare è l’autenticazione multifattore (MFA), una misura di igiene cyber di base. L’MFA è in grado di ridurre drasticamente il rischio di accessi non autorizzati, rendendo inutile la sola password rubata.
Tuttavia, l’MFA deve evolvere. I sistemi basati su OTP (One-Time Password) via SMS sono ormai vulnerabili a sofisticate tecniche di phishing che intercettano i codici. La vera frontiera è l’adozione di soluzioni Phishing-Resistant MFA e l’integrazione con il paradigma Zero Trust.
Il modello Zero Trust (tradotto: mai fidarsi, verificare sempre) richiede che ogni richiesta di accesso venga autenticata, autorizzata e crittografata, indipendentemente dalla posizione dell’utente (sia esso in ufficio o da remoto).
Tecnicamente questo approccio si traduce in:
- Least Privilege Access (LOPA): concedere a ogni utente e sistema solamente i privilegi minimi strettamente necessari per svolgere le proprie mansioni, minimizzando l’impatto di una potenziale compromissione.
- Micro segmentazione: segmentare la rete in zone più piccole e isolate, in modo che un attaccante non possa muoversi lateralmente una volta rubate le credenziali.
L’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) e la Direttiva NIS2 rafforzano questa urgenza. In particolare, la NIS2, che estende il raggio d’azione alle Pmi, impone misure chiare di gestione degli accessi, privilegiando l’uso di identità digitali nominative e individuali e l’implementazione dell’MFA come parte integrante della governance aziendale. Adeguarsi a questi standard non è solo un obbligo, ma un investimento nella continuità operativa.
Protezione dell’identità digitale: le tecniche di attacco, dalle e-mail ai deepfake
Per difendere le proprie aziende è fondamentale che gli IT manager conoscano le tattiche più usate dai criminali per ingannare gli utenti e rubare le credenziali.
Le più comuni e note sono il phishing e il social engineering. Non si tratta solamente di e-mail con allegati malevoli, ma di attacchi sempre più mirati (spear phishing e whaling, diretti ai dirigenti). L’uso dell’intelligenza artificiale generativa sta rendendo questi messaggi indistinguibili, personalizzando il tono e il contesto con estrema precisione.
L’ascesa di malware generici (InfoStealer), disponibili come servizio (malware-as-a-service) permette poi a gruppi criminali meno esperti di infettare i dispositivi e rubare credenziali salvate nei browser o nei file di sistema. Questo fenomeno abbassa drammaticamente la soglia di accesso alla frode.
Da tenere sempre più in considerazione ci sono lo spoofing e il vishing, perché l’inganno ormai non si limita alla scrittura. Lo spoofing (tecnica usata per falsificare l’identità di un mittente) del dominio aziendale e il vishing (ossia phishing vocale) usano la falsificazione dell’identità del chiamante o del mittente per estorcere informazioni sensibili.
Come mitigare l’esposizione al rischio: dalla gestione dei privilegi all’Itdr
Una strategia efficace di protezione dell’identità digitale, quindi, deve andare oltre la sola MFA e concentraersi sulla gestione del ciclo di vita completo dell’accesso e dei privilegi.
Si parla di PAM (Privileged Access Management) quando gli account con privilegi elevati (admin di sistema, account di servizio) sono l’obiettivo primario per gli attaccanti. Il PAM richiede una gestione rigorosa di queste credenziali, con sessioni monitorate, password che cambiano automaticamente dopo ogni utilizzo e accesso Just-in-Time (JIT), solo quando è strettamente necessario.
Un’altra tecnica di mitigazione del rischio è l’off-boarding rigoroso: la revoca immediata degli accessi al termine di un rapporto di lavoro o di fornitura è cruciale. La mancata disattivazione tempestiva degli account è una vulnerabilità spesso sfruttata dagli attori malevoli. Le linee guida dell’ACN per la protezione delle banche dati sottolineano esplicitamente la necessità di revocare gli accessi al termine di una fornitura.
Infine si deve parlare di ITDR (Identity Threat Detection and Response), perché non basta prevenire, bisogna saper reagire. L’ITDR è l’evoluzione necessaria per rilevare, analizzare e rispondere in tempo reale agli attacchi incentrati sull’identità.
Si tratta di sistemi che monitorano il comportamento anomalo dell’utente (ad esempio, un login da un’area geografica insolita o un accesso a un file che non è in linea con il ruolo), permettendo di bloccare l’attacco al primo segnale di abuso di credenziali.
Il futuro dell’identità digitale e l’impatto sul modello di sicurezza delle Pmi
L’identità digitale è, in definitiva, la risorsa più esposta di un’organizzazione. Per il management IT, l’investimento in questo ambito non è un centro di costo, ma una garanzia di resilienza operativa e un imperativo di compliance normativa.
La direttiv NIS2, con la sua enfasi sulla formazione del personale (Security Awareness Training) e sull’adozione di un approccio strutturato di risk management, sta spingendo anche le PMI a innalzare i propri standard.
In questo contesto, strumenti avanzati e di facile fruizione sono essenziali per supportare la trasformazione.
Teamsystem Cybersecurity si pone come la soluzione ideale per le imprese che devono affrontare queste sfide senza stravolgere le proprie infrastrutture.
Grazie al monitoraggio continuo e all’alerting proattivo, la piattaforma supporta attivamente la gestione e la protezione dell’identità digitale, identificando le vulnerabilità e fornendo azioni di remediation su misura, dalla raccomandazione di MFA alla correzione delle configurazioni di rete.
Investire in un modello di sicurezza come quello proposto da Teamsystem Cybersecurity, incentrato sull’identità non solo protegge l’azienda dagli attacchi più diffusi, ma la rende più agile, conforme e competitiva nel lungo periodo.
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