Ciao a tutti, sono Vincenzo Lomonaco, professore associato presso l’Università Luiss Guido Carli.
Nella puntata di oggi continuiamo la nostra discussione riguardo l’impatto sull’utilizzo degli assistenti virtuali nella nostra vita quotidiana.
In particolare, oggi vorrei parlarvi del debito cognitivo nel quale incorriamo, secondo un recentissimo studio del MIT, durante l’uso costante e ripetuto di questa tecnologia rivoluzionaria che aumenta così significativamente la nostra produttività e che abbiamo imparato ad amare al lavoro e nella vita personale.
Di cosa si tratta, in particolare, e perché dovreste interessarvi a questo argomento il prima possibile? Scopriamolo insieme in questa puntata di Le Voci dell’AI.
Negli ultimi anni l’emergere degli assistenti virtuali di nuova generazione come ChatGPT o Gemini ha segnato un punto di svolta radicale nella produttività individuale e aziendale, ben oltre quanto avevano fatto in precedenza i primi tentativi di interfacce vocali come Alexa o Google Assistant.
Se questi ultimi si erano imposti come curiosità tecnologiche più che come strumenti realmente incisivi, limitati da risposte rigide e interazioni abbastanza macchinose, oggi siamo di fronte a sistemi capaci di comprendere il linguaggio naturale con fluidità e di produrre testi, idee, codici e analisi complesse quasi in tempo reale.
Il cambiamento è quindi epocale: le aziende vedono ridursi drasticamente i tempi di elaborazione di report, ricerche o bozze creative, mentre i singoli professionisti possono contare su un supporto costante che accelera il loro lavoro, aumentando la precisione e liberando energie cognitive da destinare a compiti a più alto valore aggiunto.
La diffusione di questi strumenti non è confinata a una nicchia tecnologica, ma sta penetrando in modo trasversale in ogni dispositivo e contesto.
Ad esempio, smartphone e computer portatili integrano ormai nativamente interfacce conversazionali sempre più potenti, trasformandosi in hub intelligenti, pronti a supportare l’utente in ogni fase del lavoro e della vita quotidiana.
Allo stesso tempo, l’ambito domestico vede un’espansione continua dei dispositivi per la gestione della casa intelligente, che ora non si limitano più ad accendere luci o a regolare la temperatura, ma apprendono preferenze, anticipano necessità e integrano assistenza personalizzata, fino agli elettrodomestici connessi che offrono consigli, monitorano consumi e ottimizzano processi.
Ciò che rende queste tecnologie pervasivamente presenti non è solo la loro crescente accuratezza ed efficacia, ma la capacità di adattarsi a contesti diversi: dal customer service automatizzato alle piattaforme educative, dagli strumenti di programmazione assistita alle applicazioni creative di scrittura, design e musica.
L’effetto è una democratizzazione della produttività: competenze un tempo riservate a professionisti, esperti diventano accessibili a chiunque possa dialogare in linguaggio naturale con una macchina.
Questa tendenza non mostra segni di rallentamento; al contrario, man mano che gli algoritmi diventano più raffinati, che l’hardware si ottimizza, che le interfacce si fondono in maniera invisibile con i dispositivi quotidiani, la presenza degli assistenti virtuali diventerà ubiqua e quasi scontata, come l’accesso a Internet o l’uso degli smartphone.
Ci troviamo dunque all’inizio di una fase storica in cui l’AI conversazionale non è più un accessorio opzionale, ma un’infrastruttura invisibile, indispensabile per vivere, lavorare e creare nel mondo contemporaneo.
Ecco, nell’episodio 112 di questa rubrica abbiamo parlato dell’importanza e impatto di questi strumenti nel contesto educativo, in termini positivi ma anche negativi.
Ecco, oggi espandiamo meglio questo concetto del debito cognitivo, introdotto dall’uso smodato e non consapevole di questi strumenti, grazie a uno studio di recente pubblicazione di un gruppo di ricercatori del MIT, Your Brain on ChatGPT: Accumulation of Cognitive Debt when Using an AI Assistant for Essay Writing Task.
In sintesi, il lavoro mostra come l’assistenza di un modello linguistico possa certamente aumentare la produttività immediata, migliorando qualità, chiarezza e coerenza di un elaborato scritto, ma generi al tempo stesso una sorta di debito invisibile.
L’utente riduce progressivamente lo sforzo cognitivo attivo necessario per organizzare idee e strutturare argomentazioni e memorizzare concetti.
Nei test sperimentali gli studenti che si affidavano stabilmente all’AI producevano saggi più accurati, ma a distanza di tempo mostravano minori capacità di ricordare i contenuti, di riprodurre lo stesso tipo di ragionamento in autonomia e di sviluppare pensiero critico originale.
Questo perché la dipendenza dallo strumento porta a delegare non solo la scrittura, ma anche i processi mentali sottostanti, accumulando appunto debito cognitivo, cioè una fragilità nascosta che emerge quando la tecnologia non è disponibile.
Lo studio in generale non demonizza l’uso dell’AI, ma sottolinea la necessità di approcci equilibrati e consapevoli.
L’assistente va visto come supporto, non come sostituto e va integrato con pratiche educative che stimolino riflessione, analisi e apprendimento attivo, per evitare che la comodità immediata comprometta la crescita a lungo termine.
In questa immagine vediamo una rappresentazione delle differenze di connettività cerebrale misurate tramite EEG nella banda Alpha tra tre condizioni di scrittura: solo uso di cervello naturale (Brain-only), con motore di ricerca (Search) e con modello linguistico (LLM).
Le mappe mostrano come varia l’intensità e l’estensione delle connessioni neurali a seconda del tipo di supporto utilizzato.
Nel gruppo Brain Only emerge una rete di connettività più estesa e robusta, segno che senza assistenza esterna il cervello attiva in misura maggiore memoria, pensiero creativo e processi di monitoraggio esecutivo.
Al contrario, sia con il motore di ricerca sia con l’LLM si osserva un indebolimento generale delle connessioni, indice di un minor coinvolgimento cognitivo diretto.
È interessante notare però che l’uso del search engine attiva in modo marcato le aree occipitali e visive, coerentemente con la necessità di analizzare, filtrare, interpretare informazioni testuali grafiche sullo schermo.
Questa attivazione visiva non si riscontra invece nel gruppo LLM, che pure guarda uno schermo.
Ciò suggerisce che gli utenti, affidandosi alle risposte generate automaticamente, riducono l’analisi critica e la valutazione dei contenuti.
L’immagine quindi evidenzia come il grado di aiuto esterno moduli direttamente l’attività cerebrale e di conseguenza i processi cognitivi sottostanti alla scrittura.
I risultati comportamentali hanno confermato i risultati dell’attività neurale.
Il gruppo “solo cervello” ha mostrato una maggiore capacità di citare accuratamente i propri saggi e ha riportato un senso di proprietà dell’elaborato più forte rispetto agli altri gruppi.
In particolare, il 100% dei partecipanti in questo gruppo è riuscito a citare correttamente i propri testi già dalla terza sessione in una serie di sessioni ripetute.
Al contrario, tra gli utenti dei LLM, l’83% ha riferito difficoltà nel citare correttamente dopo la prima sessione, con una riduzione al 33% nella terza sessione.
Questi dati suggeriscono che, sebbene gli strumenti di AI possono facilitare la scrittura, potrebbero anche indebolire i processi cognitivi che rafforzano la memoria, la precisione e il senso di proprietà del proprio lavoro.
È quindi fondamentale sviluppare consapevolezza critica nell’interazione con queste tecnologie per non diventare schiavi delle idee, ma padroni delle nostre menti.
Ciao! Alla prossima puntata di Le Voci dell’AI.
