Le Voci dell’AI – Episodio 112: Intelligenza artificiale ed educazione: un’integrazione armoniosa o un contrasto inconciliabile?

Ciao a tutti, sono Vincenzo Lomonaco, ricercatore e docente all’Università di Pisa.

Nella puntata di oggi parliamo di intelligenza artificiale, assistenti personali e di come questi strumenti stiano cambiando inesorabilmente il mondo dell’educazione a ogni livello, dalle scuole primarie all’università, dalle scuole medie al dottorato sia per i docenti sia per gli alunni.

Si tratta di un’integrazione armoniosa che ci consentirà di raggiungere vette didattiche mai viste prima o di un contrasto inconciliabile di strumenti che attivamente inibiscono abilità alla base dell’apprendimento? Scopriamolo insieme in questa puntata di Le Voci dell’AI.

Per secoli l’istruzione è stata caratterizzata da un modello monodirezionale: il sapere scorreva dal docente verso lo studente in un flusso univoco che lasciava poco spazio alla personalizzazione. Le lezioni frontali, i seminari universitari o le classiche conferenze ne sono l’esempio più evidente. L’insegnante trasmetteva conoscenza a un gruppo eterogeneo, con ritmi e livelli di comprensione inevitabilmente diversi.

Questo modello, pur avendo garantito per lungo, lunghissimo tempo la diffusione del sapere, mostra dei limiti nel rispondere alle esigenze specifiche di ciascun discente.

Con l’evoluzione della pedagogia e delle tecnologie educative si è iniziato a comprendere l’importanza di un apprendimento più flessibile e personalizzato, capace quindi di adattarsi alle inclinazioni, alle capacità e ai bisogni individuali.

Il passaggio all’educazione digitale ha segnato un cambiamento cruciale. Le piattaforme online, i corsi a distanza e gli strumenti interattivi hanno moltiplicato le possibilità di accesso alla conoscenza, rendendola più democratica e capillare.

Tuttavia, questa trasformazione non è priva di sfide e complicazioni: la distanza fisica riduce il contatto umano; l’eccesso di stimoli digitali può compromettere la concentrazione e non tutti gli studenti dispongono delle stesse risorse tecnologiche.

Ciononostante, i vantaggi sono significativi: maggiore flessibilità nei tempi e nei luoghi di studio, possibilità di interagire con materiali multimediali molto vari e accesso a una grande quantità di contenuti prima impensabile.

In questo contesto si inserisce l’intelligenza artificiale con un potenziale trasformativo senza precedenti.

Una delle sue applicazioni più promettenti riguarda la didattica personalizzata: attraverso l’analisi dei dati sugli studenti l’AI può adattare i contenuti e le modalità di insegnamento sia a gruppi con background omogenei, sia addirittura al singolo individuo.

Questo significa, ad esempio, proporre esercizi calibrati sul livello di preparazione, suggerire percorsi di approfondimento mirati o fornire feedback immediati, creando un’esperienza di apprendimento più coinvolgente ed efficace.

In pratica l’AI può fungere da docente personale virtuale, capace di accompagnare lo studente nel proprio percorso, rispettando i suoi tempi e colmando le sue lacune.

Non meno importante è il supporto che l’AI può offrire ai docenti, oltre a facilitare la gestione amministrativa, come il monitoraggio dei progressi, la valutazione automatica dei compiti o l’organizzazione dei registri.

Essa può diventare un alleato prezioso nella creazione dei materiali didattici. Generare quiz, esercitazioni o contenuti multimediali adatti a livello della classe consente agli insegnanti di risparmiare tempo e di dedicarsi maggiormente all’aspetto relazionale ed educativo del loro lavoro.

In definitiva, l’integrazione dell’AI nell’educazione non sostituisce il ruolo umano dell’insegnante, chiaramente, ma lo amplifica aprendo la strada a un sistema formativo più dinamico, inclusivo e orientato al futuro.

Se da un lato l’uso di assistenti personalizzati basati sull’AI come ChatGPT apre nuove prospettive per l’educazione, dall’altro non si possono ignorare i rischi connessi a un loro impiego massiccio.

Uno dei pericoli più evidenti è la possibilità di sviluppare quella che viene chiamata una dipendenza cognitiva. Se ogni domanda trova risposta immediata, gli studenti potrebbero progressivamente perdere la capacità di cercare, selezionare e verificare le informazioni in modo autonomo.

La ricerca tradizionale attraverso libri, articoli o esperimenti non rappresenta solo un mezzo per ottenere dati, ma costituisce un processo formativo che sviluppa pazienza, spirito critico e capacità di valutare propriamente le fonti. Delegare costantemente questo percorso a un assistente virtuale rischia di indebolire tali competenze fondamentali. Inoltre, affidarsi troppo a soluzioni già pronte può limitare la creatività e l’originalità.

Se l’AI suggerisce formule, idee o strutture, gli studenti potrebbero sentirsi meno motivati a esplorare strade nuove o a sviluppare un pensiero divergente.

Esiste infine un pericolo più sottile: l’omologazione culturale.

Strumenti come ChatGPT si basano su grandi quantità di dati preesistenti e tendono a proporre risposte nella media, riducendo la varietà di prospettive. Senza quindi un uso critico e guidato si rischia di favorire un apprendimento rapido ma superficiale, che sacrifica la profondità a vantaggio dell’immediatezza.

Un’altra questione cruciale è legata all’uso di assistenti basati su AI in ambito educativo riguarda il fenomeno delle cosiddette allucinazioni. Con questo termine si indicano quelle risposte che, pur presentandosi con un tono autorevole e coerente, risultino in realtà scorrette, inventati o fuorvianti.

Negli ultimi anni i modelli linguistici hanno compiuto progressi significativi, va detto, e la frequenza di tali errori si è ridotta notevolmente. Ma il problema non è stato eliminato del tutto. La criticità maggiore non risiede tanto nell’errore in sé, anche umano, quanto nella sua imprevedibilità e nella difficoltà per lo studente medio di distinguerlo da una risposta valida. Se un assistente fornisce contenuti accurati nel 90% dei casi, l’utente tende naturalmente a sviluppare fiducia nel sistema e a ridurre il proprio livello di vigilanza critica.

Questo comportamento, se non bilanciato da una costante verifica delle fonti, può portare ad assumere come vere informazioni errate proprio in quell’unico caso su dieci in cui il modello sbaglia.

Nel contesto educativo ciò comporta il rischio di consolidare concetti falsi o imprecisi con effetti a lungo termine sul processo di apprendimento.

Per questo motivo la formazione all’uso consapevole e critico dell’AI è tanto importante quanto la tecnologia stessa.

L’articolo pubblicato recentemente su Nature dal titolo “The effect of ChatGPT on students’ learning performance, learning perception, and higher-order thinking: insights from a meta-analysis” offre comunque conclusioni decisamente incoraggianti.

Gli autori hanno analizzato 51 studi pubblicati dal 2022 al 2025 che si sono occupati dell’uso di ChatGPT in contesti educativi. Hanno osservato che il suo impiego porta benefici tangibili agli studenti. Non solo migliora le loro prestazioni complessive, ma contribuisce anche a rendere più positiva la percezione stessa del processo di apprendimento e a stimolare capacità di pensiero critico e riflessivo.

Un aspetto interessante sottolineato nell’articolo è che l’efficacia di ChatGPT non è uniforme. Dipende molto dal tipo di corso, dal metodo di insegnamento e dalla durata con cui viene integrato nelle attività didattiche.

In particolare i risultati migliori emergono quando viene utilizzato in modo molto mirato come strumento di supporto in attività pratiche in percorsi di medio periodo.

Inoltre, lo studio evidenzia come ChatGPT possa funzionare bene come una sorta di tutor intelligente, capace di guidare gli studenti, proporre stimoli e facilitare l’apprendimento attivo.

In conclusione, l’articolo sottolinea che se usato consapevolmente e con un’integrazione adeguata, ChatGPT può diventare un alleato prezioso per rendere l’educazione più efficace, dinamica e coinvolgente.

Ciao! Alla prossima puntata di Le Voci dell’AI.

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