Ciao a tutti, sono Vincenzo Lomonaco ricercatore e docente all’Università di Pisa.
Nella puntata di oggi parliamo dell’importanza dell’insegnamento dell’intelligenza artificiale per la sua democratizzazione.
Chi può sviluppare davvero l’AI di frontiera oggi? Quali sono i veri limiti che impediscono una sua democratizzazione effettiva? Che ruolo ha in tutto questo l’educazione delle idee? Quando e come è più utile insegnarla? Scopriamolo insieme in questa puntata di Le Voci dell’AI.
Negli ultimi anni lo sviluppo dell’intelligenza artificiale di frontiera ha conosciuto uno spostamento geografico e istituzionale molto marcato, da un lato verso gli Stati Uniti e la Cina, dall’altro dall’ambito accademico verso le grandi organizzazioni private.
Questo fenomeno si spiega principalmente attraverso tre motivi strutturali.
Il primo riguarda la centralità dei dati.
Gli algoritmi di apprendimento automatico, soprattutto quelli di deep learning, hanno bisogno di enormi quantità di informazioni per essere addestrati e questi dati non si trovano più prevalentemente all’interno delle università, ma presso grandi piattaforme digitali, aziende tecnologiche e società con milioni, miliardi di utenti.
Solo attori come Google, Meta, Microsoft, Baidu, Alibaba, eccetera possiedono flussi di dati così estesi da poter costituire la base per modelli di frontiera.
Il secondo fattore è di tipo infrastrutturale: l’addestramento e l’esecuzione dei modelli di avanzata richiedono risorse computazionali e di memoria senza precedenti, dalle GPU di ultima generazione ai super computer dedicati.
Queste infrastrutture hanno costi elevatissimi e raramente possono essere sostenute da dipartimenti universitari o centri di ricerca pubblici che devono invece affidarsi a finanziamenti più limitati e competitivi.
Le grandi aziende private, al contrario, possono permettersi di costruire cluster di calcolo massicci e di affittare capacità su cloud distribuiti, rendendo possibile lo sviluppo di modelli con miliardi, come sappiamo, trilioni di parametri.
Infine, il terzo motivo è di natura umana ed economica.
I talenti migliori nel campo dell’AI, dai ricercatori di machine learning agli ingegneri specializzati in architetture di reti neurali, sono oggi attratti dal settore privato, dove stipendi, benefit e risorse disponibili per la ricerca superano ampiamente quelli offerti dal mondo accademico.
Le università mantengono certamente un ruolo fondamentale nella formazione di base e nella produzione di idee innovative, ma spesso in questo ambito faticano a trattenere i propri talenti che vengono rapidamente reclutati da giganti tecnologici in grado di offrire laboratori avanzati e budget miliardari anche per la ricerca, ricerca e sviluppo.
Questa dinamica, concentrandosi soprattutto su Stati Uniti e Cina, alimenta una competizione geopolitica industriale che ridisegna le mappe dell’innovazione globale.
l’AI di frontiera non nasce più nei piccoli laboratori universitari finanziati con fondi pubblici, ma dentro i centri di ricerca aziendali, sostenuti da capitali privati e legati a strategie economiche e di potere tecnologico su scala planetaria.
In questa immagine vediamo due grafici a torta che illustrano la distribuzione geografica dei ricercatori di intelligenza artificiale di alto livello, distinguendo tra il luogo in cui lavorano oggi e il paese da cui provengono.
Dal primo grafico, relativo alla sede attuale, emerge una concentrazione fortissima negli Stati Uniti, che ospitano il 59% delle migliori menti di intelligenza artificiale.
Seguono a distanza Cina – 11%, l’Europa – 10%, il Canada – 6%, il Regno Unito – 4%, mentre il restante 10% è distribuito in altri Paesi.
Questo dato riflette chiaramente il ruolo dominante degli Stati Uniti e della Cina, sempre più preponderante come polo d’attrazione per la ricerca di frontiera, grazie alla presenza di grandi aziende tecnologiche e infrastrutture avanzate.
Il grafico a destra mostra invece l’origine accademica, cioè il paese dove i ricercatori hanno conseguito la loro laurea triennale.
Qui il quadro cambia la quota maggiore proviene dalla Cina – 21%, seguita da Stati Uniti – 20%, Europa – 18%, infine l’India – 8%, il Canada – 5%, Regno Unito – 4%, eccetera. Quindi il 10% ricade su tutte le altre nazioni.
Si osserva quindi un fenomeno di migrazione di talenti.
Molti ricercatori formati in Cina, India, Europa, scelgono di trasferirsi negli Stati Uniti per lavorare, alimentando la concentrazione di competenze, consolidando la leadership americana nell’AI.
L’attuale squilibrio nella distribuzione delle competenze sull’intelligenza artificiale solleva questioni cruciali non solo sul piano geopolitico ed economico, ma anche su quello educativo e sociale.
Se i migliori ricercatori e docenti tendono a concentrarsi in pochi poli di eccellenza, prevalentemente attratti da grandi aziende tecnologiche, team e centri privati, le università e le scuole rischiano di rimanere privi delle figure più qualificate in grado di trasmettere conoscenze aggiornate.
Questo crea un effetto domino meno ricercatori nelle istituzioni accademiche significa meno possibilità di formare nuove generazioni di studenti con una solida preparazione di base, riducendo così la diffusione capillare delle conoscenze in Italia artificiale.
Il legame tra ricerca avanzata e didattica è fondamentale.
Un buon docente non solo insegna concetti teorici, ma trasferisce anche la capacità critica di valutare rischi, limiti e implicazioni etiche dell’AI, elementi indispensabili per una società che vuole governare la tecnologia invece di subirla.
Proprio per questo il concetto di alfabetizzazione all’intelligenza artificiale, ovvero la diffusione di una cultura minima e condivisa sull’uso, sul funzionamento e sugli impatti dei sistemi intelligenti deve diventare una priorità.
Non si tratta di trasformare ovviamente tutti in esperti di apprendimento automatico, ma di permettere a studenti, lavoratori e cittadini di comprendere i principi fondamentali e di partecipare in modo consapevole e attivo a un dibattito che riguarda tutti.
Per raggiungere questo obiettivo è necessario un impegno collettivo a integrare intelligenza artificiale nei curricula scolastici a ogni livello, garantire formazione continua per docenti e insegnanti, promuovere corsi accessibili anche fuori dall’Università.
Solo così sarà possibile democratizzare realmente la conoscenza, riducendo il divario che sussiste tra chi sviluppa e controlla queste tecnologie e chi la utilizza.
L’alfabetizzazione diffusa diventa quindi la condizione per evitare che l’AI rimanga appannaggio di pochi e per assicurare che il suo sviluppo risponda agli interessi comuni della collettività e non soltanto a logiche di mercato o di potere concentrato.
Questa pagina è tratta dall’articolo Exploring Public Attitudes Toward Generative AI for News Across Four Countries. A titolo esemplificativo mostra il livello di conoscenze fattuali sull’AI generativa in America, Germania, Svizzera e Giappone, con circa 1.000 partecipanti per Paese.
I risultati evidenziano un quadro di forte disomogeneità e soprattutto di diffusa incertezza rispetto al funzionamento reale di queste tecnologie.
Solo poco più di un quarto degli intervistati, ad esempio, sa che la qualità dei testi generati non è uguale in tutte le lingue, riflettendo una scarsa consapevolezza del fatto che i modelli si basano su quantità variabili di dati disponibili.
Circa il 41% crede erroneamente che sia sempre possibile distinguere un testo umano da uno prodotto dall’AI, sottovalutando, per esempio, la capacità dei sistemi di imitare lo stile naturale della scrittura umana.
Ancor più significativo è che circa metà del campione ritiene che i contenuti siano sempre corretti e che i sistemi siano sempre trasparenti, ignorando sia la possibilità di errori e distorsioni e allucinazioni, sia l’opacità intrinseca dei modelli.
Solo sulla questione del bias emerge una consapevolezza leggermente migliore, che riconosce la possibilità di pregiudizi incorporati nei testi, ma comunque non sufficiente.
Questo insieme di fraintendimenti rileva una limitata alfabetizzazione, con conseguenze particolarmente rilevanti sul piano sociale, informativo e democratico.
Solo una responsabilizzazione collettiva su questi temi potrà realmente darci la possibilità, come società tutta, di governare il cambiamento epocale introdotto da questa tecnologia.
Ciao! Alla prossima puntata di Le Voci dell’AI.

