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Podcast | Il Welfare aziendale fra utility, telco e finance

Ascolta l’undicesima puntata del podcast CX, il Welfare aziendale

Un servizio, secondo il dizionario Treccani, è “una prestazione, organizzata su vasta scala, destinata a soddisfare le esigenze della collettività”. Qual è il grado di soddisfazione della collettività e come mantenerlo? Quale relazione innovativa si può instaurare con questa collettività e quanto si può (o deve) personalizzare il servizio sui singoli individui? Alcune tipologie di servizio particolarmente pervasive e in rapida evoluzione sono ancora più toccate da queste riflessioni.

Ad esempio, una città in cui si deve poter vivere bene, implica anche potervi lavorare bene. Affrontando come sempre con il pensiero laterale l’argomento che potrebbe affiancarsi alla considerazione dei servizi, delle utilità e delle ricadute sul cittadino (che è – ricordiamolo sempre – anche un cliente, con un’esperienza di vita e commerciale) uno degli argomenti è quello che viene comunemente definito Modello Svedese di welfare.

Cos’è il Modello svedese?

È un sistema virtuoso basato su uno uno stato sociale con istruzione e assistenza sanitaria gratuite e di alta qualità; un modello di “flessicurezza”, cioè di flessibilità nell’assunzione e nel licenziamento dei dipendenti, ma con la sicurezza di un sostegno statale dignitoso per chi perda (temporaneamente) il lavoro e soprattutto quello che in termini tecnici viene definito il un nazionalismo costruttivo, un nazionalismo che non è definito dal luogo di origine o dal colore della pelle, ma dal contributo di ciascuno al benessere della comunità.

Ma cos’è il welfare aziendale e soprattutto, come si evolve e alla fine e quanto può avere una relazione con il concetto di CX di cui parliamo da 11 puntate?

Il welfare aziendale: gli esempi storici

Il welfare aziendale prende le mosse nei primi del ‘900 con quella geniale iniziativa che prende il nome di Company town e il cui esempio più emblematico è il villaggio Crespi d’Adda, eletto a patrimonio dell’UNESCO. Si tratta di un villaggio operaio per le maestranze operanti nel settore tessile cotoniero sorto a opera di Cristoforo Benigno Crespi a partire dal 1877 il quale lo arricchì con una serie di servizi cercando di attrarre i lavoratori e le famiglie degli stessi, formandoli e quindi mantenendoli legati al territorio in cui producevano e in cui vivevano.

Fu questo il frutto di una sensibilità che segna un passaggio importante nel concetto delle relazioni fra lavoratore e azienda, un concetto che conobbe una particolare evoluzione nel corso del ‘900.

Tralasciando il concetto di Welfare state nel periodo fra le due guerre, importante comunque per le sue ricadute economiche e sociali, un momento di sviluppo del concetto di WA è sicuramente da attribuire a quella personalità lungimirante, innovativa e fortemente anticipatrice dei tempi che fu Adriano Olivetti.

Nella sua azienda, proprio a partire dagli anni 30, si sviluppò un concetto fortemente innovativo, che è quello del “benessere organizzativo”: cioè “Se le persone stanno bene in azienda rendono di più e meglio, perché si sentono parte dell’azienda stessa a quindi il successo di questa diventa motivo di realizzazione personale e professionale”. Un concetto ancora non totalmente diffuso e che invece sarebbe bene riconsiderare, perché vincente sotto tutti gli aspetti.

Attenzione perché questo atteggiamento ha portato nel corso del tempo a far sì che le aziende virtuose abbiano iniziato a influire positivamente anche sul territorio circostante, così come nel caso degli esempi che abbiamo già trattato in una precedente puntata, citando il caso del territorio di Parma.

Esatto, torniamo agli anni 60. Proprio in questo periodo prende il via l’attività di quella che probabilmente può essere considerato oggi l’esempio più emblematico di WA in Italia, Luxottica. Un’azienda fortemente radicata sul territorio (quello agordino), Luxottica fa praticamente da sempre del welfare aziendale il principale motore del successo aziendale, anche se solo recentemente le strategie aziendali hanno iniziato a riferirsi a questo concetto come modello di sviluppo prioritario.

Dal 2009 è partito il carrello della spesa e il rimborso dei libri scolastici per i figli dei dipendenti, evolvendosi successivamente nei servizi per il sostegno del reddito, nel sostegno all’istruzione, negli interventi a favore dei servizi di trasporto migliori, nell’assistenza sanitaria e in un impegno sempre più diretto sul territorio (contribuendo al sostegno di scuole e istituti di preparazione professionale).

Tale sistema è stato perfezionato ulteriormente nel corso del tempo e nel 2013, con una survey interna allargata a tutti i dipendenti di Luxottica, sono state acquisite indicazioni circa la soddisfazione sul benessere percepito dai dipendenti nel far parte dell’azienda. I risultati sono stati elaborati e sono state introdotti tutti i correttivi affinché il “benessere organizzativo” venga mantenuto ai massimi livelli.

Ma quanto questo atteggiamento, che si basa su un legame che – se vogliamo dire – trova un suo riflesso nei concetti di relazione fra il fornitore e il cliente finale che stanno alla base della CX (qui visti naturalmente nel loro ruolo di datore di lavoro e dipendente), è stato di esempio anche per altre realtà?

Secondo un dato trasmesso da una ricerca congiunta dell’IRES (Istituto ricerche economiche e sociali) e Università Politecnica delle Marche nel 2012 su un campione di 318 aziende di grandi dimensioni, il 92,5% delle aziende considerate ha dichiarato di aver introdotto una qualche forma di welfare.

Un concetto che si estende dimensionalmente (e ciò vale tanto per il Welfare statale che per quello aziendale) e che non può prescindere dalle tre colonne portanti fondamentali: la fiducia, la trasparenza e l’accesso ai dati.

Ascolta l’undicesima puntata del podcast CX, tecnologie per l’esperienza

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