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L’Italia ha paura della trasformazione?

Giunto alla sua sedicesima edizione, anche quest’anno Forum It, organizzato da Grandangolo, si è posto l’obiettivo di costruire, con il contributo di una società di analisi di mercato, vendor, distributori e rivenditori presenti sulla scena nazionale, uno spaccato non solo dello stato di salute dell’It nel nostro Paese, ma anche delle tendenze in atto in termini di innovazione e opportunità di crescita.

Ad aprire i lavori Isabel Aranda, country manager di Context Italy, che ha portato in evidenza quanto emerge dal panel della società di ricerca, che copre 320.000 rivenditori in tutta Europa e del quale fanno parte sia realtà internazionali, sia operatori di respiro prettamente locale.
Di primo acchito, i dati sono incoraggianti.
Aranda parla di un mercato italiano in crescita a due cifre, attestato a 1,463 miliardi di euro, con un +13,4 per cento anno su anno, quasi il doppio della media europea.
Parliamo di distribuzione, naturalmente, e in questo ambito, e sempre relativamente al panel d riferimento, sono le Tlc a fare la parte del leone: grazie agli smartphone mettono a segno un +112 per cento, seguite dalle soluzioni per datacenter, networking e sicurezza, che crescono del 27 per cento, dai server, con un +16 per cento.
Decisamente più modeste le crescite sul versante software, con un contenuto +2%, mentre l’area stampanti risulta in calo dell’1%.

È uno scenario in completa trasformazione, nel quale nuovi paradigmi di fatto influenzano i comportamenti di acquisto delle imprese e dei privati.
Così, è pur vero che per un corporate dealer come Centro Computer, la vendita di pc, stampanti e toner resta ancora parte centrale del business, tuttavia il suo ruolo emerge chiaro, come spiga il vice presidente Roberto Vicenzi, quando si tratta di “convincere i clienti che è necessario innovare per crescere, tenendo conto dei loro bisogni di risparmi, ma anche delle loro necessità”.
E questo ruolo di supporto alla crescita dei suoi clienti, Centro Computer se lo è ricavato investendo, ad esempio, in ambiti strategici, a partire dal cloud, dalle unified communication, dal software defined datacenter o ancora dal networking e dalla sicurezza.
E un po’ ironicamente Vincenzi chiosa: “dopo anni in cui le imprese hanno continuato a tagliare e risparmiare, oggi devono per forza tornare a investire”.

Che si torni a investire lo sottolinea anche Emiliano Cevenini, Vice President Sales AC Power di Emerson Network Power Emea, che evidenzia nel contempo come stia cambiando la direzione di spesa. Nel caso della sua azienda, che opera nell’ambito delle soluzioni per la continuità, la dissipazione termica e l’efficienza energetica, i Cio che prima si focalizzavano soprattutto sulla disponibilità, “oggi guardano all’efficientamento con investimenti anche di lungo respiro, E questo nonostante oggi la potenza richiesta in rapoporto alla capacità elaborativa sia decisamente inferiore rispetto al passato. Sono, semplicemente, entrati in gioco altri parametri: anche per quanto riguarda i big data, si è passati dalla potenza computazionale, alla conservazione e all’accessibilità”.

Concorda Paolo Lossa Brocade, Regional Director di Brocade Italia e Iberia: “Ci sono aziende – racocnta – che, malgrado la situazione complessiva resti difficile sotto il profilo finanziario, continua a investire su It”. Il tema caldo è quello dell’It transformation, che si affianca alla gestione dello status quo.
“Il rischio è che per mantenere e manutenere l’esistente, resti sempre meno budget dell’innovazione. La chiave è identificare le nuove componenti tecnologiche che consentono di innovare pur spendendo meno”.
Si parla dunque di virtualizzazione dell’infrastruttura di rete, in direzione Software Defined Networking (SDN) e Network Functions Virtualization (NFV): “E’ la New IP, tutta costruita secondo un modello pay per use”.
Meno positivo è invece il riscontro di Walter Villa, country manager di Riverbed, secondo il quale nonostante tecnologicamente si siano fatti passi da gigante – nel caso della sua azienda parliamo di soluzioni per l’analisi del traffico di rete e la Wan Optimisation – “per molte aziende resta difficile abbracciare il cambiamento. L’ottimizzazione, ad esempio, non è più solo compressione, ma alla fine quando è il momento di decidere si preferisce magari acquistare la banda maggiore dai carrier, nonostante le evidenze dei benefici significativi”.
Qualche perplessità la solleva anche Franco Coin, Ceo di Gruppo MHT. A suo vedere un certo numero di imprese, purtroppo ancora piccolo, ha colto il momento di trasformazione. “Queste imprese stanno andando benissimo. Per altro molte si sono aperte all’internazionalizzazone: chi ha prodotti sofisticati e appetibili fuori Italia, ha aperto all’estero mantenendo una forte presenza nel Paese. Parliamo però di un 20 per cento delle imprese italiane e purtroppo quasi tutte al Nord Ovest, poche nel Nord Est e quasi nessuna al Sud”.
Quello che manca, continua la sua riflessione, è l’altra staffa della trasformazione, ovvero le aziende estere che vengono in Italia.
Ma c’è anche un problema di atteggiamento mentale: “Abbiamo troppi caporali coraggiosi, abbiamo bisogno di capitani, gente che è capace di mettersi davvero in gioco, aziende in grado di costituire una vera infrastruttura It che tenga conto che è cambiato l’interlocutore. Siamo nell’era delle digital people e con il fatto che tutti cominciano ad avere un minimo di cultura digitale, parte il modello confusionario. Chi ha un telefonino vuole diventare Cio,e il Cio, di converso, si chiude in difesa e pone come ostacolo i soldi e la loro mancanza”.
Non c’è tuttavia pessimismo nelle sue parole: “I nostri imprenditori illuminati sanno che gli investimenti nel sistema informativo sono per il loro bene. C’è paura ma non chiusura. Siamo disposti a soffrire se poi le cose funzionano: abbiamo bisogno di esempi positivi, non fermiamoci solo alle startup”.
A una delle leve considerate più significative oggi, vale a dire l’Internet delle cose, guarda ad esempio Sin Tau, azienda con sede a L’Aquila, nata nel post terremoto sulle ceneri di quelloc he era il polo tecnologico del capoluogo.
Ercole Tina racconta delle attività nell’ambito dello sviluppo e della ricerca, ma confessa che la sua azienda è oggi al bivio: “Dobbiamo decidere se diventare produttori o restare sulla ricerca e sviluppo – dichiara, mettendo il luce il punto dolente – . In italia è difficile fare impresa e impresa innovativa. Non troviamo un sistema trainante, ma ostacoli: il nostro tempo lo impieghiamo a saltare gli ostacoli, questo significa distrarre risorse dall’innovazione. Deve cambiare un po’ la visione”.
Gli fa eco Piera Loche, managing director di Zycko, che, dal suo osservatorio di distributore sottolinea: “Innovare fa paura, l’ italiano per natura non è un innovatore, guarda con curiosità, capisce che ci sono opportunità, ma non si butta. Da distributore paneuropeo vedo che l’Italia è fanalino di cosa. Gli altri Paesi quando arrivano nuove soluzioni hanno pipeline, hanno progetti. A noi ci vogliono due anni per partire. La chiave di volta è far capire i vantaggi competitivi, anche quando non è un vendor di primo livello a presentare soluzioni innovative”.

Antonio Falzoni, Product Marketing Manager di Panda Security, torna sull’innovazione portata dall’Internet delle Cose e sottolinea come fare innovazione significhi prendere in considerazione tutti gli aspetti legati ai nuovi paradigmi. E dal suo punto di vista non può non citare la sicurezza: “Andiamo verso un mondo dove non si parla più di quanti dispositivi per utente, ma di migliaia, milioni di oggetti, con sistemi operativi e applicazioni tra le più disparate. Nell’IoT è importante che la sicurezza sia integrata nell’hardware e che si pensi a funzioni e scopi delimitati e definiti per ciascun oggetto connesso. È evidente che c’è spazio per nuove soluzioni e servizi, anche in modalità SaaS, in grado di gestire questa complessità”.
Chiosa Franco Coin: “Ci piace l’Internet of Everything, ma non possiamo dimenticare che serve anche il management of everything; non basta mettere l’intelligenza su un oggetto, devo trovare la logica per cui queste cose diventino non solo una montagna di big data siano occasione di trasformazione, di reazione, di business”.

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