Eataly, si gioca nel mondo la sfida della qualità

Oscar Farinetti, fondatore dello store alimentare piemontese, illustra la strategia di espansione del Gruppo

Eataly, il punto vendita di cibi di alta qualità lanciato lo scorso anno a Torino, dopo la recente apertura a Milano di una piccola bottega di prodotti selezionati, ha in programma un’ulteriore espansione della sua attività, sia a livello internazionale che nazionale. B2b24.it ne ha parlato con il fondatore di Eataly, Oscar Farinetti (nella foto).

Luca Baffigo Filangieri, consigliere di Eataly, ha recentemente annunciato l’apertura di due negozi Eataly a New York e in Giappone. Conferma questa notizia?
Sì, la notizia è vera. Pensiamo di aprire prima in Giappone: tra settembre e ottobre di questo anno dovrebbe già essere aperto il nostro negozio di Tokyo, mentre l’inaugurazione del nostro punto vendita di New York è stata in realtà posticipata al giugno del 2009, perché abbiamo deciso di prendere una location un po’ più grande e anche per via di alcune difficoltà da risolvere con la Food &Drug Administration. Esportare negli Stati Uniti è diventato complesso, e stiamo lavorando prodotto per prodotto perché vogliamo riuscire a dotare il nostro negozio americano del maggior numero di articoli possibile.

Avete soci locali o state facendo tutto da soli?
Eataly Japan per l’80% è posseduta da Eataly, e per il 20% da un socio italiano, Andrea Rasca, che vive nel Sol Levante da anni e conosce bene le tematiche locali. Per quanto riguarda Eataly Usa stiamo ancora definendo l’assetto, ma credo che ci avvarremo anche in questo caso di un socio locale americano.

Perché avete deciso di puntare su questi due particolari mercati?
Dopo Torino e prima di completare lo sviluppo in Italia, volevamo fornire un’immagine mondiale a Eataly, e abbiamo perciò scelto le due capitali più emblematiche dell’Occidente e dell’Oriente. Stati Uniti e Giappone sono paesi che ci assicurano potenzialità di sviluppo enormi, si tratta comunque dei due principali mercati del mondo. Forse Cina e India sono nazioni che offrono maggiori possibilità di business, ma dal punto di vista dell’immagine mondiale riteniamo che New York e Tokyo ci possano assicurare una più ampia risonanza mediatica e possano comunque funzionare bene sul mercato. Sicuramente allestire dei negozi in due città di questo tipo comporta dei costi molto alti, basti pensare alle spese per l’affitto dei locali, ma noi pensiamo che ne possa comunque valere la pena.

Avete già un’idea del layout e della struttura organizzativa di questi due negozi? E il target di riferimento?
Assolutamente sì, i progetti sono già stati realizzati. Per quanto riguarda Tokyo stiamo procedendo alla costruzione, a New York siamo un attimo più indietro ma il disegno di massima è pronto. Il concept sarà molto simile a quello di Torino, d’altronde la nostra idea è sempre la stessa, e cioè riunire in un unica offerta tre diversi aspetti: vendita, ristorazione (sia attraverso i ristorantini monotematici che con quelli di alta gamma) e didattica. In entrambi i locali ci sarà infatti un aula dove si terranno corsi che organizzeremo insieme al nostro partner Slow Food. Per quanto riguarda il target di riferimento, la mia risposta è molto semplice: tutti. La nostra ambizione è di servire ricchi, poveri, giovani, anziani. Pensiamo che tutte le famiglie – anche le meno abbienti – possano permettersi del cibo di maggior qualità, a patto di saper rinunciare a qualche bene durevole.

Questa decisione dell’apertura dei due punti vendita risponde a una precisa strategia di espansione sul mercato internazionale?
Certo, abbiamo una nostra precisa strategia di sviluppo internazionale, prima però di procedere a ulteriori aperture all’estero vogliamo portare a termine la nostra espansione in Italia. Entro il 2015 puntiamo a essere operativi nelle dieci principali città italiane, con l’apertura di punti Eataly a Roma, Napoli, Bari, Palermo, Bologna, Firenze, Genova, Milano e Verona.

Tracciamo un primo bilancio di questo primo anno di attività di Eataly: la vostra idea fondante di prodotti di alto livello a prezzi sostenibili è stata recepita come si aspettava dai consumatori?
Il bilancio di questo primo anno di attività è eccezionale, il nostro messaggio è passato alla grande. Nel 2008 stiamo crescendo rispetto all’anno di apertura, che già aveva fatto registrare dei numeri straordinari, che ci hanno permesso di chiudere il bilancio in utile. Stiamo parlando di qualcosa come 32 milioni di euro di fatturato nel 2007, per il 70% dovuti alle vendite di bevande e alimentari di alta qualità e per l’altro 30% alla ristorazione. Un altro motivo di orgoglio per noi è la Stella che abbiamo ricevuto dalla Guida Michelin per il nostro ristorante Guido per Eataly – Casa Vicina. Spesso, scherzando, dico che siamo l’unico supermercato con la stella Michelin.

Il web rappresenta per voi uno spazio interessante?
Internet è per noi già oggi molto interessante e in futuro lo sarà sempre di più. Attualmente operiamo on line con un discreto sito, ma stiamo lavorando per crearne uno nuovo di livello mondiale, che pensiamo di lanciare in contemporanea con l’apertura di Eataly New York del prossimo anno. Il web è un media sempre più frequentato, ed è impensabile non essere ben presenti.

A proposito di cibo di qualità: uno dei nostri prodotti Dop più celebri, la mozzarella di bufala, è finito sul banco degli imputati, ed è stato respinto alle frontiere da diversi paesi. Si tratta di una crisi passeggera ? Avete pensato a qualche iniziativa in proposito?
La prossima settimana usciremo con una grande campagna pubblicitaria dal titolo “È da pazzi buttare uno dei patrimoni del nostro paese”. Il sottotitolo sarà “Ci sono dei momenti in cui noi commercianti dobbiamo scegliere e garantire”. Noi infatti diremo i nomi dei nostri fornitori, spiegheremo al pubblico perché li abbiamo scelti e perché li garantiamo, e forniremo anche tutti i dati chimici delle nostre mozzarelle. Questa vicenda potrà avere sicuramente un impatto nel breve periodo, ma poi com’è accaduto per l’influenza dei polli, anche questa crisi passerà. Certo è che noi italiani dobbiamo cercare di rigare più dritto: l’agroalimentare è il nostro grande patrimonio, e dobbiamo curarlo con grandissima attenzione. È importante dunque che il prossimo Governo abbia un impegno forte su questo tema. Il problema dell’agroalimentare è che le leggi sui controlli sono troppe e troppo complicate, così come gli enti che fanno certificazione. Occorrerebbe quindi ridurre il numero delle norme e renderle più semplici e chiare, così come creare un unico organismo responsabile in materia di certificazione.












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