Voglia di cambiamento

Ma quante risorse vogliono oggi effettivamente cambiare ruolo? Non sono poche, quasi il 60% dei rispondenti. Questo dato, in sé, potrebbe essere indice di una vivacità che ancora caratterizza il settore e che ne fa la sua forza. Un settore, infatti, le …

Ma quante risorse vogliono oggi effettivamente
cambiare ruolo?
Non sono poche, quasi il 60% dei
rispondenti
. Questo dato, in sé, potrebbe essere indice di una vivacità
che ancora caratterizza il settore e che ne fa la sua forza.
Un settore,
infatti, le cui risorse non abbiano voglia di crescere è destinato a sua volta a
restare fermo. Tabella


Tuttavia, è significativo come circa il 46% delle
risorse voglia cambiare non solo ruolo, ma anche azienda
, sintomo non
solo di una voglia di crescita, ma anche di un certo disagio
che accompagna oggi una buona parte (circa la metà) delle figure professionali.

Peraltro, l’impressione è che sia proprio la volontà di cambiare ruolo una
delle molle che spinge a voler cambiare anche azienda, e infatti, è molto bassa
la percentuale, ad esempio, di figure dirigenziali (amministratori delegati,
direttori generali), che aspirano a cambiare azienda (meno del 20%).

La tendenza a cambiare è, invece, più forte nelle risorse
maggiormente legate al business aziendale
(che hanno quindi risentito,
forse dei cattivi andamenti del mercato e che sperano di poter migliorare la
propria situazione cambiando azienda), come account manager
(quasi il 60% vorrebbe cambiare), figure di vendita, product marketing
manager
, ma anche consulenti senior, che hanno forse
risentito della mancanza di grandi progetti, registrata nell’ultimo anno (anche
il mercato della consulenza ha perso, dati Assinform 2004, un -4,2% rispetto
all’anno precedente), e quindi di motivazioni professionali.
Un dato
interessante è quello relativo agli sviluppatori Web che si
rilevano essere in assoluto i più soddisfatti: ben il 47,8% non intende cambiare
oggi il proprio ruolo.
Esiste una correlazione tra la staticità in
un ruolo e la voglia di cambiare
?
Sembrerebbe di sì, anche se
bisogna fare delle distinzioni. In generale, chi ricopre da molto tempo (anche
più di 10 anni) lo stesso ruolo, probabilmente è anche soddisfatto di quello che
fa e per questa ragione non vorrebbe, nella maggioranza dei casi, cambiarlo.

Lo stesso discorso può essere fatto per chi ricopre un ruolo da poco meno di
un anno che, salvo errori nella scelta, non intende mutare la propria posizione.

La situazione cambia con intensità direttamente proporzionale quanto più ci
si allontana da questi due estremi, fino a raggiungere il suo acme nella
fascia di chi ricopre lo stesso ruolo da 3-5 anni, dove solo una risorsa
su tre sembra voler mantenere l’attuale posizione
.

Si può,
quindi, affermare che per l’Ict esista una “crisi del quarto anno”,
punto di arrivo per fare i primi bilanci sulla propria professione
.


Abbiamo insistito molto sulle aspirazioni di carriera perché rappresenta
oggi uno degli elementi chiave per la soddisfazione professionale delle risorse.
Infatti, tutte le considerazioni fino a qui fatte ci aiutano a meglio
comprendere anche quali siano gli aspetti ritenuti fondamentali dalle diverse
figure.
Non stupisce se al primo posto, tra gli elementi che determinano il
grado di soddisfazione nei confronti dell’attuale occupazione, ci siano la
formazione e le opportunità di crescita professionale, fattore
tenuto in considerazione da quasi tutte le risorse, prima ancora della
retribuzione e anche del clima aziendale, entrambi comunque fattori che
intervengono in maniera sensibile.
In generale, le risorse non si possono
dire insoddisfatte del proprio lavoro, sebbene solo una risorsa su cinque
esprima un giudizio assolutamente positivo.

In generale, si
rileva una soddisfazione maggiore rispetto all’anno scorso
(quando le
risorse molto soddisfatte erano il 21%, ma molto più alta era la quota degli
insoddisfatti, pari al 28%); probabilmente le aziende hanno capito su
quali elementi fare leva per motivare le proprie risorse
, sebbene non
sempre siano riuscite a passare all’applicazione della teoria.
Le risorse
sembrano essere maggiormente soddisfatte di aziende che riescono a garantire una
giusta combinazione di formazione e opportunità di crescita (anche favorendo la
mobilità interna delle risorse), livelli retributivi (anche
attraverso benefit, come visto in precedenza) e clima
aziendale
, spesso associato anche a garanzie di stabilità aziendale.

La stabilità, tuttavia, non rappresenta più un
elemento discriminante la scelta
di un impiego, se vengono meno tutti
gli altri fattori ritenuti più importanti.
È, quindi, su altre
leve
che deve operare l’azienda, per raggiungere un pieno accordo tra
le parti.
In termini di interventi per mantenere alta la soddisfazione dei
dipendenti, le aziende oggi sembrano essersi mosse più a favore delle aree
manageriali, forse in parte trascurando le divisioni più operative che quindi
oggi sono quelle con le quali bisogna maggiormente recuperare i rapporti.

D’altra parte, in un periodo di stabilità del settore, che non riesce ad
investire per sviluppare al meglio le competenze, proprio le aree più tecniche,
ovvero quelle per le quali l’aggiornamento continuo delle proprie conoscenze
rappresenta la chiave di successo per le proprie attività, risultano essere
maggiormente svantaggiate. Quanto detto emerge con ancora maggiore chiarezza
guardando ad alcune figure professionali: figure dirigenziali, marketing o di
alto profilo, ovvero quelle che godono di una retribuzione mediamente più alta,
non necessitano di formazione continua e sono incentivati con tutta una serie di
benefit, presentano la percentuale di risorse insoddisfatte più bassa; un terzo
degli account manager, che come detto già più volte, hanno risentito della
difficile situazione del settore, si dichiarano poco soddisfatti della loro
posizione; hanno diverse recriminazioni da fare le risorse di tipo
tecnico
, che, sebbene, con intensità diverse, non sembrano essere
particolarmente soddisfatte.

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