Virtualizzazione preludio al cloud

Il tema della razionalizzazione e della virtualizzazione dell’infrastruttura «oggi si pone sul mercato in modo nuovo rispetto al passato per tre motivi – esordisce Giuseppe Gorla responsabile System Integration & Technology di Accenture per una region …

Il tema della razionalizzazione e della virtualizzazione dell’infrastruttura «oggi si pone sul mercato in modo nuovo rispetto al passato per tre motivi – esordisce Giuseppe Gorla responsabile System Integration & Technology di Accenture per una region che oltre all’Italia comprende Grecia, Centro Est Europa e Medio Oriente -. Il primo è legato alla maturità dei prodotti con i quali si può gestire un processo di virtualizzazione, per cui sono stati superati alcuni problemi che si avevano in passato. Secondo motivo, la grande pressione che in questo momento c’è sul mercato, indotta dalla crisi, porta a ripensare in modo significativo il livello di costi che un’azienda deve sostenere, per gestire la propria infrastruttura, e quindi la virtualizzazione diventa un elemento chiave, in quanto consente dei margini di recupero che in alcuni casi possono andare dal 25 al 40%. Il terzo tema, invece, è l’evoluzione dell’offerta di servizi It che i diversi player stanno fornendo sul mercato».

Come osserva Gorla, di solito un’azienda affronta la razionalizzazione per recuperare efficienza al proprio interno in termini di costi, ma questo approccio è ritenuto ormai superato, in quanto sempre più le aziende, in particolare le grandi, legano questo tema a quello del cloud computing. Da qui nasce un altro ragionamento: se si prende un segmento di mercato come quello delle Pmi, è conveniente che debbano avere una propria infrastruttura o piuttosto è meglio che questa venga presa in service da un player che può garantire una maggior competenza e aggiornamento sulle tecnologie e sull’evoluzione dei prodotti, oltre a una maggior espansione in termini di capacità di elaborazione e quant’altro?

«Quindi – prosegue il manager – il tema è: se è vero che oggi una fetta sempre più ampia di mercato, partendo dalle Pmi ma spingendosi anche verso le grandi, si sta ponendo il problema di ritoccare i costi dell’infrastruttura e di valutare di gestirla in service, dall’altro lato bisogna chiedersi se le aziende che potrebbero fornire un servizio di cloud sono in grado di acquisire l’infrastruttura del potenziale cliente. In definitiva, di potergli offrire essenzialmente due servizi: farsi carico della sua infrastruttura, che inserisce nella propria organizzazione di virtualizzazione, riutilizzandola in un modo più esteso ed efficace e contemporaneamente fornire al cliente in service una parte della potenza che gli serve. Io sostengo che entro i prossimi tre anni o un’azienda usa la nuvola o è lei stessa la nuvola. Per cui saranno pochissime le realtà che, da un punto di vista del business, potranno permettersi il costo interno di una struttura di data center, con tutto quello che comporta in termini di aspetti organizzativi e di processo. Noi stiamo aiutando i nostri clienti a capire se, dal punto di vista del business, conviene loro cercare sul mercato chi offre servizi di cloud o se è meglio che diventino loro stessi un cloud».

In questo nuovo contesto che cosa farà la differenza? «L’affidabilità dei servizi forniti dai player che vanno sul mercato e la risposta iniziale dei piccoli e medi che inizieranno a usare questi servizi e quindi ad avviare il fenomeno – risponde Gorla -. Sul cloud ci sarebbe lo spazio per più player, per cui ci aspettiamo che operatori di telco, di utility o grossi gruppi bancari, avendo grandi data center già virtualizzati, possono offrire servizi al loro indotto di relazioni o di clienti, fidelizzandoli e incrementando il business».

Deve cambiare il ruolo del Cio

Visti i cambiamenti in atto, secondo Gorla, «il ruolo dell’It si deve trasformare, in quanto nelle medio-piccole aziende deve diventare una struttura più legata alla governance, e che quindi abbia le competenze e le conoscenze del mercato It, per guidare l’azienda nella scelta di nuovi servizi, che però non deve gestire. Anche il mestiere dei Cio, a nostro avviso, è giusto che cambi: mentre prima erano incaricati di decidere gli investimenti e poi seguire l’implementazione o creare l’infrastruttura e poi rincorrere l’evoluzione tecnologica, oggi il loro compito è quello di valutare l’affidabilità del fornitore, il livello dei servizi, la qualità e la tempestività, ma non l’implementazione, anche perché oggi un progetto di virtualizzazione, affinché sia condotto con maggior affidabilità rispetto al passato, non ha ritorni immediati. Nel caso, invece, di servizi presi dall’esterno, i ritorni sono immediati. Il punto su cui stiamo dibattendo con i nostri clienti è che oggi non devono vedere la virtualizzazione come un fatto tecnologico, ma come un qualche cosa che in realtà ha un impatto sui processi e sull’organizzazione, e che quindi può permettere di affrontare il business in un modo nuovo».

La situazione in Italia

Le aziende nazionali, anziché cogliere quello che potrebbe essere un momento di vantaggio economico nei confronti di una competizione più ampia, in questo momento sono tutte attendiste. Ecco perché, curiosamente, come sottolinea Giuseppe Gorla, «la virtualizzazione e il cloud sono un motore che nasce dall’It e che sta spingendo le aziende a fare dell’altro e di più, e a non avere paura di affrontare il nuovo. Dal punto di vista tecnologico non ci sono problemi, e un’azienda come Accenture ha un ruolo importante nell’aiutare a superare le paure o le incognite di questo nuovo approccio. Contemporaneamente, però, trovo che ci sia un tema più ampio di business che deve maturare, e qui bisognerebbe guardare dentro le diverse industry per capire cosa significa questo nuovo fronte. Per esempio, se guardiamo al mondo bancario, ci sono di sicuro alcuni vincoli, nel mondo assicurativo il salto è già stato fatto, perché è stato costretto ad affrontare una relazione diretta con il mercato e quindi a rompere le intermediazioni. Se parliamo del manufacturing, o in generale del mondo produttivo, è evidente che alcune intermediazioni ancora non si riescono a eliminare e, probabilmente, si dovrà attendere una maturazione del contesto».

Gorla sottolinea inoltre che Accenture ha cambiato approccio nell’affrontare questo tipo di attività: «Oggi sempre più con il cliente partiamo con il definire qual è la baseline dei costi attuali, ci impegniamo su un obiettivo di risparmio e lo garantiamo al cliente, che ci paga in base agli obiettivi raggiunti e quindi condividiamo con lui il rischio del progetto ma anche i ritorni. Peraltro, è evidente che il cliente ha sempre anche l’alternativa di coinvolgere un hardware vendor, il che significa interpretare il progetto da un puro punto di vista tecnologico, però spesso i livelli di saving che si raggiungono non sono quelli che si possono ottenere là dove c’è una visione più ampia, come può essere quella che noi offriamo, in quanto il progetto che presentiamo non è mai solo tecnologico ma tocca l’organizzazione di tutti i processi It, che devono essere in linea con il business. Peraltro, le applicazioni che avrebbero dovuto trascinare questo mondo di servizi, di fatto, hanno avuto un’inerzia interna spaventosa, e quindi oggi l’infrastruttura le ha scavalcate e trascina i servizi. Quindi i veri saving si ottengono riallocando in modo corretto le applicazioni sulla struttura virtualizzata, ma così facendo si induce il mondo applicativo, che per primo ha insegnato questi principi, ad applicarli a casa sua e a ripensare l’applicazione stessa, aprendosi a componenti esterni, anche per una questione di costi. La stessa rete, che è sempre vissuta in un concetto di installazione di prodotti nudi e crudi, oggi sta cambiando, perché sulla rete possono transitare dei servizi e chi gestisce la rete si ritrova oggi una complessità che è pari a chi gestiva l’It tradizionale». Secondo il manager oggi c’è una grande opportunità in atto da cavalcare, ma in Italia persiste un’inerzia che è dovuta a un problema storico: il mancato dialogo tra la struttura It e il business. «In molti contesti – osserva – l’It non è abituata a spingere e a promuovere nuove idee, mentre è valutata e premiata per l’affidabilità con cui esegue i servizi. Questa situazione deve essere ribaltata e in azienda ci deve essere la disponibilità e la flessibilità ad affrontare il nuovo anche quando viene dall’It».

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