Viaggio all’interno della tecnologia Rfid

Antonio Rizzi, uno dei massimi esperti italiani della Radio frequency identification, fa il punto sulle etichette intelligenti

Per ora ha la consistenza di un mercato di nicchia, ma le potenzialità dell’Rfid (Radio frequency identification), secondo gli addetti ai lavori, sono enormi. Infatti, secondo una recente valutazione della Commissione europea, a fine 2006 il mercato Rfid nell’Unione dovrebbe raggiungere i 2,5 miliardi di euro, per salire a 10 nel 2010 e raddoppiare nel 2016. La speranza è che all’interno di questa tecnologia (utilizzata per l’identificazione univoca di persone, animali o cose, sfruttando la radiofrequenza), l’Italia possa finalmente giocare un ruolo propositivo a livello internazionale e che non sia destinata a perdere l’ennesimo treno legato all’innovazione.


Nonostante esista un certo ottimismo presso gli operatori nazionali sui
benefici che questa tecnologia porterà in molti settori, da più parti si osserva
che il mercato nazionale potrebbe crescere molto di più se non avesse un
problema che già la penalizza rispetto ai paesi più industrializzati
dell’Europa. Infatti, in Italia esiste ancora il vincolo sull’uso delle
frequenze Uhf
(Ultra high frequency), in quanto sono utilizzate dal
ministero della Difesa, per cui non sono state ancora liberalizzate, anche se
Francesco Troisi, direttore generale della Pianificazione e gestione dello
spettro radioelettrico del ministero delle Telecomunicazioni, ha detto di aver
aperto in merito un tavolo di confronto e iniziato a fare sperimentazioni per
arrivare a risolvere questo problema. Indiscrezioni dell’ultima ora dicono che
le frequenze Uhf verranno liberalizzate entro fine anno, ma forse solo
all’interno di luoghi chiusi.


A oggi, tuttavia, ci sono altri nodi da sciogliere che sono legati al costo
dei tag, agli standard da adottare e anche alla privacy. Per avere un quadro
aggiornato della situazione su tutti questi fronti, abbiamo intervistato uno dei
massimi esperti del settore in Italia, Antonio Rizzi,
professore universitario di Logistica Industriale & Supply Chain
Management presso il dipartimento di Ingegneria Industriale di Par
ma,
dove ha avviato Rfid Lab, un laboratorio che si propone come un punto di
riferimento in ambito nazionale per quanto riguarda la ricerca, la formazione
delle risorse e la fornitura di servizi. Questo laboratorio, peraltro, trova un
corrispettivo altrettanto valido presso la Cattid (Centro per le Applicazioni
della Televisione e delle Tecniche di Istruzione a Distanza) dell’università La
Sapienza di Roma, con la quale, come ci anticipa Rizzi, è stata stipulata una
convenzione quadro di collaborazione e di mutuo riconoscimento su tematiche di
comune interesse.


Nell’analizzare il problema oggi maggiormente sentito nel
nostro paese, quello delle frequenze, Rizzi ha sottolineato che in tutto il
mondo l’Uhf sembra essere oramai lo standard di frequenza che si sta imponendo
per le applicazioni di filiera (Scm), quelle che hanno suscitato l’interesse
degli stakeholder. Va, inoltre, premesso che parlare di Rfid significa parlare
di tantissime cose, che vanno dalla tracciabilità degli animali al
controllo degli accessi, all’applicazione di Scm
. Sul fronte delle frequenze, secondo Rizzi, il problema è ben noto, in quanto in Italia le Uhf sono tutt’ora occupate dal ministero della Difesa, mentre in tutta Europa, soprattutto da parte delle principali nazioni, è già arrivata l’adesione alla richiesta di adeguamento alle normative che riguardano queste frequenze.


Inghilterra e Germania hanno già aderito da tempo, mentre Francia e Spagna hanno sciolto le riserve più di recente, perché avevano problemi simili ai nostri, in quanto la banda 865-868 MHz era in conflitto con le applicazioni militari in Francia e radiotelevisive in Spagna. A questi paesi si sono aggiunti anche tutti quelli più a ridosso dell’area scandinava, per cui di fatto l’Italia rimane ancora isolata. Tuttavia, ci sono molti tavoli aperti, affinché tutti i paesi si impegnino a ratificarla. “Per quanto ci riguarda – ha spiegato il docente – il nostro laboratorio è stato il primo a richiedere di far sperimentazione con le frequenze Uhf e a ottenere la licenza temporanea, seguito da quello dell’università di Roma. A oggi, dunque, sono consentiti progetti con una potenza massima di 25 mWatt, che però permette una distanza di lettura di 25/30 cm, per cui anche le attrezzature hardware non sono fatte per andare a questi bassi livelli di potenza: è come se usassimo una Ferrari per andare a passo d’uomo. La potenza che serve è di 2 Watt, necessari per attivare un tag privo di batteria, che è quanto propone la reccomandazione Cept 70-03 dell’European radiocommunications office“.


Oltre ai laboratori universitari, è partita la sperimentazione dell’Uhf anche
presso aziende, istituzioni, enti e associazioni che stanno spingendo presso il
ministero per liberare le frequenze. Tra queste c’è Indicod- Ecr (Istituto per
le imprese di beni di consumo) che in Italia gestirà i numeri Epc codificati sul
tag Rfid (Electronic Product Code, lo standard internazionale gestito
dall’organismo EpcGlobal e dalle organizzazioni Gsi/EpcGlobal nazionali, di cui
Indicod-Ecr per l’Italia, a supporto della tecnologia Rfid).


Un altro nodo da sciogliere è il costo dei tag. “Si parla tanto di etichette molto più economiche, stampate con inchiostri conduttori che offrono la possibilità di sostituire il rame, però qui siamo ancora nel campo della ricerca pura – ha affermato Rizzi -. Va tuttavia detto che sul mercato si sta assistendo a un trend in caduta libera dei prezzi dei tag, perché si è passati dai 30/40 centesimi di qualche anno fa, ai 7/8 centesimi di oggi, per antenna più chip assemblato, in quantità di almeno un milione di pezzi venduti. Quello che, invece, non è diminuito, e che in prospettiva potrebbe diventare un problema per certi tipi di applicazioni, e comunque renderà importante la fase di reingegnerizzazione dei processi, è il prezzo dei lettori. Molti parlavano di arrivare ad avere reader da cento euro, ma siamo invece molto lontani da questa cifra: si tratta di una macchina molto sofisticata, con una significativa intelligenza anche interna, che oggi costa ancora tra i duemila e tremila euro“.


Poi, osserviamo, si deve anche considerare come
vengono utilizzati tutti i dati raccolti
. “Questo è tutto un altro discorso – ha risposto il docente -. Sono due gli step della tecnologia Rfid che si
possono individuare: il primo, dove siamo noi oggi, e che rappresenta ancora la
fase iniziale, è quello di riuscire ad addomesticare la tecnologia: come
leggere, con che materiale, a quali distanze e con che condizioni. Una volta
esaurita questa fase, bisogna chiedersi che cosa si possa fare con tutti i dati
raccolti, e questa fase ci appresteremo ad affrontarla penso tra due, tre anni.
Ma va anche sottolineato che questo è esattamente il gap che ci separa dagli
Stati Uniti, dove hanno già superato la fase di technolgy practice, in quanto
sanno esattamente quali sono i modelli di reingegnerizzazione dei
processi per ottimizzare le prestazioni
, in che condizioni si legge e come integrare tutti i dispositivi hardware nei loro sistemi. Per cui Oltreoceano sono nella fase in cui possono ricavare dei dati sufficientemente affidabili e strutturati per poterne poi ottenere delle informazioni a valore aggiunto. Nel nostro laboratorio di Parma abbiamo avviato due progetti che ci consentono di affrontare entrambi gli aspetti. Infatti, uno si chiama Technology Test, ed è indirizzato a valutare il ruolo della tecnologia sulle prestazioni, in termini di distanze e di impatto di prodotti, tipo metallo/acqua, mentre l’altro si chiama Rfid Warehouse e ha l’obiettivo di sviluppare dei modelli di processi logistici di magazzino e di supply chain, gestiti con tecnologia Rfid e integrati tra loro. Di fatto, vogliamo mettere già insieme da un lato la parte hardware, cioè verificare di far funzionare la tecnologia per gestire il ricevimento merci e quant’altro e, una volta che il prototipo di magazzino sarà realizzato, analizzare la generazione dei dati che si ottengono, come se in concreto si fosse gestito il “magazzino virtuale” per un anno. Il tutto dovrebbe consentirci di ottenere delle informazioni a maggior valore aggiunto. Il primo progetto si sta concludendo e verrà presentato a un convegno ad Amsterdam sull’Rfid, l’altro, che stiamo sviluppando in partnership con Intermec, Sun Microsystems e Sap, dovrebbe concludersi nel primo trimestre del 2007
“.

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