Unioncamere, 16.500 imprese in più tra luglio e settembre

Il numero di aperture è però il più basso degli ultimi dieci anni e i fallimenti sono oltre 10mila in 9 mesi, il 19% in più rispetto all’estate 2013.

L’analisi
della natalità e mortalità delle imprese, diffusa da Unioncamere sulla base di Movimprese
mostra un bilancio demografico dei mesi
estivi fra le imprese nate (72.833) e quelle che contemporaneamente hanno
dichiarato la cessazione delle attività (56.382) che termina con un saldo attivo
pari a 16.451 unità, quasi 4mila unità in più rispetto allo stesso trimestre dello
scorso anno. Il tasso di crescita del periodo (+0,3%), però, è il risultato del
più basso volume di iscrizioni rilevate nel terzo trimestre dell’anno dal 2005 e
uno dei più contenuti volumi di cessazioni del decennio, superato solo nel 2010.
Sono oltre 10mila, infatti, i fallimenti registrati nei primi 9 mesi
dell’anno,
il 19% in più rispetto al dato, già elevato, dell’analogo periodo
del 2013. Sul fronte artigiano, per il terzo trimestre consecutivo si registra
un saldo negativo tra aperture e chiusure, dovuto soprattutto alla forte
riduzione di iscrizioni (record negativo del decennio e oltre 1.000 unità in
meno rispetto a quelle, già modeste, registrate nello stesso periodo del 2013).

E’ proseguita anche nel trimestre da poco
concluso la diffusione delle società di capitali. Esse hanno determinato da
sole il 71,33% del saldo complessivo e hanno fatto registrare un tasso di
crescita (0,80%) di circa tre volte più alto del tasso di crescita nazionale
(0,27%). Le imprese individuali, che rappresentano il 54% delle imprese
italiane, crescono poco in termini assoluti (hanno inciso solo per il 24,20%
del saldo) e riducono, in modo molto graduale e con misure molto modeste, il
proprio peso complessivo sul totale delle imprese. Le Società di persone, da
tempo in netta flessione, presentano l’unico dato negativo, pari a -523 unità
nel trimestre. Positivi i dati delle “Altre forme”, che peraltro incidono solo
per il 3,41% sullo stock complessivo delle imprese.

Per quanto riguarda le imprese artigiane, se si
esclude un andamento positivo per quelle che adottano la forma delle Società di
capitali – che comunque rappresentano ancora solo il 4,7% del totale del
comparto -, tutte le altre forme giuridiche mettono in luce saldi negativi.

L’analisi dei settori evidenzia una maggiore
dinamicità della componente che opera nelle attività di servizi alle persone e
alle imprese
. I dati del trimestre, infatti, mostrano che ai grandi settori
produttivi “tradizionali”, Agricoltura, Manifattura, Costruzioni, Trasporti e
Commercio (3.949.731 imprese in totale), si deve il 65,29% dello stock imprenditoriale
ma solo il 27,61% del saldo positivo. I restanti tredici settori qualificabili
come “attività di servizio” (alle persone o alle imprese) complessivamente
mettono insieme uno stock pari a 1.715.097 imprese (il 28,35% del totale) ma hanno
generato un saldo pari a 12.092 nuove imprese e contribuito al 71,63% del saldo
nazionale.

Dinamiche analoghe, ma molto più marcate, si
registrano tra le imprese artigiane. In tale universo tre settori (Manifattura,
Costruzioni, Trasporto e magazzinaggio) determinano, con 960.343 imprese, il 69,14%
dello stock complessivo (1.388.938 unità). I restanti quindici settori, anche
questi operanti nell’area dei servizi alle persone o alle imprese (se si
escludono l’agricoltura, l’estrazione di minerali, la fornitura di energia
elettrica e la fornitura di acqua, dove però la presenza di imprese artigiane è
modesta sia in termini assoluti che relativi), determinano, con 427.063 imprese,
il 30,75% dello stock, con una variazione positiva pari allo 0,24% a fronte di
una variazione complessiva dello stock del -0,07%.

Per quanto riguarda le dinamiche territoriali, il contributo delle circoscrizioni del Nord al saldo
positivo è significativamente inferiore al peso dello stock: 37,99% contro un
peso sul totale delle imprese pari al 45,45%. Il Mezzogiorno presenta un sostanziale
allineamento: 32,02% il contributo alla formazione del saldo e il 32,89% a
quella dello stock. L’eccezione è rappresentata dal Centro (soprattutto grazie
alla prestazione del Lazio), che determina il 21,65% dello stock ma spiega il
29,99% del saldo, con una differenza fra le due diverse grandezze pari a 8,34
punti percentuali.

La situazione delle imprese artigiane a livello
territoriale conferma la negatività già messa in luce. Tutte e quattro le
circoscrizioni hanno fatto registrare un saldo e un tasso di crescita negativo.
Si coglie comunque la diversa dinamica del Centro che determina solo il 2,47%
del saldo negativo mentre incide per il 20,25% dello stock.

Tra le regioni, il risultato più positivo in
termini assoluti è quello del Lazio (+3.330 imprese in più tra luglio e
settembre), seguito dalla Lombardia (3.184) e dalla Campania (+2.084). In
termini relativi, il quadro non cambia aspetto e la più “prolifica” regione
risulta sempre il Lazio (+0,53%) seguita questa volta da un terzetto
ravvicinato composto da Campania (+0,37%), Trentino Alto Adige (+0,36) e
Lombardia (+0,34).

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