“Un modo d’essere per ogni figura manageriale”

Così Matteo Bonifacio, project manager del progetto Edamok, presso il centro di ricerca dell’Università di Trento, definisce il ruolo del gestore di conoscenza. L’iniziativa dimostra che c’è spazio per vedere il Km in azienda, come conferma l’imminente traduzione in business di Dthink

Esiste, oggi, una figura assimilabile al knowledge manager? “Il
knowledge manager
– sostiene Matteo Bonifacio, Edamok project manager
dell’Itc-Irst (Istituto Trentino di Cultura – Centro per la Ricerca
Scientifica e Tecnologica) – è più un modo d’essere di ogni figura di
manager, che un ruolo a se stante. Per diversi motivi. Innanzitutto,
perché le aziende nei fatti danno primaria importanza ad altri
fattori tradizionali, come i ricavi. Chi conta vuole gestire ciò che
conta, e ci si trova spesso di fronte a K-manager che sono figure
senza potere reale, magari giovani di staff alle prime armi che
devono gestire una materia tanto delicata. Spesso sono generali senza
truppe, perché alla fine le persone hanno altro da fare. In secondo
luogo per motivi sostanziali. La conoscenza è più prospettiva,
capacità di interpretare le informazioni, che non contenuto, cioè le
informazioni da interpretare. Quando diciamo che una persona è
competente, non è perché ha tanto contenuto in mente, ma soprattutto
perché dato un problema complesso, è capace di farne una lettura
veloce, efficace, originale. Il vero sapere è saper interpretare. Il
compito del K-manager è quello di far emergere i punti di vista
diversi nell’organizzazione e, soprattutto, farli parlare tra loro.
Ma questo, è il manager di sempre. Allora, chi è responsabile
dell’organizzazione è al centro del Km. È la persona che, quando si
vuole vedere l’azienda in termini di conoscenza, deve spingere per
una lettura distribuita e non centralizzata delle cose. Il
responsabile dell’organizzazione, insieme al responsabile It, sono il
nucleo strategico che può abilitare una struttura-infrastruttura
distribuita della conoscenza. È sopra a questa che i manager, nello
svolgimento dei loro compiti, devono sviluppare una sensibilità
crescente per i temi dell’autonomia e del coordinamento, della
ricchezza dei punti di vista e del dialogo a tutti i costi. Il Km
distribuito è un modo per rendere tangibile questo percorso
“.


Trento fonte di conoscenza: Edamok

L’Università di Trento, per chi crede nel valore semantico dei fatti
storici, è simbolo di cambiamento. Le iniziative là condotte hanno la
matrice dell’innovazione, sono foriere di dinamismo. A Trento fu
costituita la prima facoltà di Sociologia in Italia. In quel consesso
fermentarono le idee e i tentativi di una nuova socialità, che, una
volta artatamente deviate dal loro corso, sfociarono nella pagina
nera del brigatismo rosso. Quello che si sta incubando a Trento,
oggi, è una via pacifica alla rivoluzione della conoscenza: il
progetto Edamok.
Acronimo inglese di ciò che in italiano significa “abilitare una
gestione distribuita e autonoma della conoscenza”, il progetto è nato
nell’ottobre del 2001, sotto il patrocinio della provincia di Trento
che ha finanziato l’Itc-Irst e l’Università di Trento per un importo
di circa 2,2 milioni di euro. Il progetto sul Km, affidato a Matteo
Bonifacio, ha una durata di tre anni e che, alla nascita aveva due
auspici. “Un primo obiettivo – racconta Bonifacio – attinente alla
ricerca, era sviluppare concretamente una visione distintiva sul Km
che, in breve, si potesse porre come alternativa a quella ortodossa.
Quest’ultima vede il sapere come una materia che deve essere
standardizzata e centralizzata al fine di generare valore. In questa
linea si inseriscono i temi degli enterprise portal e delle knowledge
base aziendali. La nostra idea, invece, nasce da una ipotesi opposta:
la conoscenza è una materia poco standardizzabile, contestuale e
distribuita nell’organizzazione e per generare innovazione tale deve
rimanere. Individui e comunità sviluppano localmente punti di vista
differenti che sono alla base del loro contributo al successo
d’impresa. Questi punti di vista prendono la forma, ad esempio, di
diversi modi di categorizzare i documenti e di diverse tecnologie per
gestirli. Il punto, allora, non è di eliminare queste diversità, ma
di valorizzarle mettendole in comunicazione. Questo approccio
affianca al sistema categoriale aziendale, tanti sistemi specifici ma
coordinati; al repository unico, tanti repository (dal singolo pc
alla knowledge base, al database) integrati; alla logica del portale
piattaforma che produce sapere e dell’utente che lo consuma, quella
delle tecnologie peer-to-peer dove ognuno è produttore e consumatore
di conoscenza. Il secondo obiettivo atteneva al business. Abbiamo
allora coinvolto una serie di persone afferenti a realtà
imprenditoriali rilevanti, in un board unico. Il rapporto fra ricerca
e impresa non l’abbiamo affrontato alla fine del progetto, ma
all’inizio, cercando di creare le basi per un confronto serrato,
critico, delle rispettive visioni. La logica ha pagato. Oggi,
infatti, nasce una start up che porterà sul mercato una parte
importante degli sviluppi nati attraverso la collaborazione con un
imprenditore illuminato, che ha saputo parlare con i ricercatori fin
dalle fasi iniziali del progetto, quando Edamok era ancora solo una
visione teorica. Ha investito aspettando che questo dialogo maturasse
generando innovazione. L’azienda che ne è nata, si chiama Dthink
(finanziata da una società di consulenza milanese specializzata in
ambito finance, Eusys Group, ndr), che sta per Distributed Thinking,
e realizza soluzioni software per la gestione distribuita della
conoscenza aziendale. La prima soluzione, denominata Keex, è un
sistema peer-to peer che permette di continuare a gestire la propria
conoscenza nei modi e nelle forme con cui lo hanno sempre fatto,
attraverso Outlook o un Db Lotus Notes. Keex si occupa di rendere i
diversi attori comunicanti sfruttando un algoritmo semantico dotato
di una logica originale. In breve, dati i diversi sistemi categoriali
con cui ciascun attore organizza localmente la propria conoscenza, i
peer di Keex cercano di tradurre al volo le categorie dell’uno in
quelle dell’altro
“.


La svolta è nella filosofia peer-to-peer

Dthink, quindi, è una visione del Km prima ancora di essere un
software, secondo la quale il Km deve essere gestito rintracciando e
abilitando la rete informale e distribuita dei knowledge worker e
delle comunità aziendali. Inoltre non sostituisce gli investimenti
fatti (portale e knowledge base), ma ci lavora sopra, senza creare
tassonomie o sistemi categoriali, ma facendo comunicare quelle
esistenti.
Da questa filosofia – spiega Bonifacio – emerge la la logica con cui
Dthink si rivolge alle imprese. Poiché vuole disegnare il sistema
distribuito di gestione della conoscenza calandosi nelle tecnologie e
nei processi esistenti, non è un’implementazione, ma un progetto che
ha una sua premessa organizzativa; per questo Dthink si rivolge a chi
pensa gli assetti aziendali, non solo all’It manager
“.
Ma come si orchestra fattivamente, con i system integrator o con lo
staff It interno, l’implementazione di un Km siffatto?
Una tecnologia del genere – sostiene Bonifacio – offre ai system
integrator una nuova lente per l’analisi e il disegno dei processi
aziendali. A livello di Keex, questo significa pensare al sito
intranet come a un peer di una rete di peer. Lo stesso vale per i
database Notes, per i folder condivisi così come per i singoli utenti
e i loro repository preziosi, come la posta e il file system. I
sistemi peer-to-peer sono tecnologie che in modo semplice, propongono
l’evoluzione dal paradigma client-server, a quello in cui ogni nodo
di una rete è sia cliente che servente, e ognuno offre servizi come
la ricerca di documenti che possono essere usati, più o meno
selettivamente, dagli altri. Il fatto che oggi il peer-to-peer sia
vissuto come una tecnologia pericolosa, è legato all’ambiente
anarcoide e piratesco in cui si è sviluppato, come la musica online.
Come piattaforma di partenza abbiamo scelto un protocollo opensource
ma solido e ben spalleggiato dal business. Mi riferisco a Jxta, il
protocollo peer-to- peer scritto in Java
“.

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