Un futuro senza certezze per Raisat senza Sky

Le ipotesi al vaglio di Viale Mazzini per piazzare le reti tematiche satellitari

Perché Raisat avrebbe scelto di scendere dalla piattaforma di Sky e trasferire – forse – i suoi sei canali tematici sul Digitale terrestre? Le voci di corridoio, le interviste a labbra frenate e i rumors sul web non lasciano spazio a colpi di scena finali. Dal 30 giugno per Raisat Extra, Premium, Cinema, Gambero, Smash e Yoyo è arrivato il trasloco per andare in vacanza. Quando torneranno, se torneranno, non si sa ancora di preciso. Il “dove” è un mistero, perché non sempre quello che si butta dalla finestra del satellite ritorna dalla porta del Digitale terrestre.

Un “gioiellino” molto invidiato
L’esperienza Raisat è nata nel 1999 con molte interessanti novità. Per la prima volta alla Tv di Stato si affiancava, in un progetto commerciale, del capitale privato: la Rcs. Paolo Mieli, due volte direttore del quotidiano Corriere della Sera, aveva definito l’asse televisivo “un gioiellino”. L’accordo strategico con l’allora pay-tv satellitare Tele+, guidata dai francesi di Canal+, era stato messo in piedi in soli sei mesi. Raisat, nata per cessione di ramo d’azienda, guadagnava circa 60 miliardi di lire e ne faceva tornare in viale Mazzini almeno 40 tra utile, acquisto di prodotti e servizi e assorbimento di personale ex-Rai. Tutti felici e contenti, spettatori compresi.

L’esperienza voluta dal direttore generale Pierluigi Celli superava lo stile burocratizzato e lottizzato della “solita” Rai e tantomeno dipendeva da Tele+. Il risultato era sotto gli occhi di tutti e a portata di telecomando: canali tematici, contenuti di qualità e un pubblico di élite come target di riferimento. Erano gli albori della Tv via satellite. Gli abbonati erano un po’ più di un milione. Un pubblico disposto a spendere oltre un milione delle vecchie lire per vedere la Tv di qualità. Un canale per bambini, uno dedicato al cinema di nicchia, un altro all’arte, uno d’intrattenimento “alto”, l’ormai mitico Gambero Rosso sulla gastronomia e uno sul repertorio Rai.

Consensi e critiche bizantine
La nascita di Raisat non è stata, però solo rose, c’erano anche le spine. Non tutti hanno gradito gli appalti esterni a strutture specializzate (in primis l’editore Gambero Rosso) come anche la troppa “libertà” di gestione economica e strategica dello spin-off satellitare della Tv pubblica. Critiche e bastoni tra le ruote. Nonostante i fiori all’occhiello della proposta Raisat fossero diventati dei must per i telespettatori del satellite. Gli chef del canale dedicato al cibo e al vino hanno iniziato a diventare volti conosciuti e Dave Letterman, con il suo show da New York, era un appuntamento irrinunciabile. Il talk show più caustico e famoso d’America era a portata di telecomando e sottotitolato in tempo (quasi) reale.

Poi sono arrivate le ispezioni, le indagini sugli ascolti e tutto il contorno di azioni per limitare l’indipendenza del giocattolo che piace a critica e pubblico e mette in imbarazzo i piani alti della Rai. La riconquista di Raisat da parte di viale Mazzini fu realizzata per gradi, ma in modo inarrestabile: prima con la nomina di Carlo Sartori come amministratore delegato e poi con la separazione e contrapposizione delle responsabilità culturali da quelle gestionali. Con il passaggio della proprietà della piattaforma satellitare da Tele+ a Sky è arrivato anche il “colpo di mano” con la chiusura dei canali culturali e la fusione di quelli dedicati a cinema e fiction in un’unica rete. Sono anche arrivate le lottizzazioni e i conflitti dirigenziali.

L’azienda è così giunta al traguardo dei dieci anni con l’incerta caratterizzazione culturale e strategica dei suoi canali. Il momento non è dei migliori: i nuovi media digitali impongono di fare scelte precise di business e non solo assegnazioni di poltrone. La scadenza del contratto con Sky è il classico bivio: quale strada prendere? Ci sarebbero tre soluzioni. Vediamole.

Dirigenza Rai al trivio: che fare?
Il direttore generale Mauro Masi e il presidente Paolo Garimberti dovranno pesare attentamente l’offerta di rinnovo di Rupert Murdoch. Il precedente accordo valeva 60 milioni di euro l’anno e ne generava anche otto di pubblicità (fonte: Il Sole 24 Ore) a fronte di 45 milioni di costi della struttura. La prima strada possibile per i nuovi vertici della Tv di Stato potrebbe essere quello di rinnovare l’attuale contratto, chiedendo un congruo adeguamento che valorizzi magari anche Rai4, che ora va in onda solo sul Digitale terrestre con ottimi risultati.

La seconda strada è che la Rai “affitti” solo il mini-bouquet Raisat e si riprenda le tre reti generaliste per trasmetterle su Tivù Sat. Questa possibilità – già si sa – non sarà negoziata da Sky e la cosa porterebbe alla terza strada: switch-off totale di Raisat. I manager della pay-tv sostengono che RaiUno, RaiDue e RaiTre siano canali di servizio pubblico e la Rai li deve concedere gratis alle piattaforme televisive. Viale Mazzini e Mediaset hanno già disdetto lo scorso inverno, con sei mesi d’anticipo, gli standard di criptaggio NDS per poter abbandonare Sky già a partire da giugno. Masi e Garimberti dovranno decidere se perdere pubblico e introiti subito, ma recuperarli nel tempo con la nuova piattaforma TivùSat. Scelta non facile, che rischia di far morire Raisat due volte: la prima sul satellite a pagamento e la seconda su quello in chiaro, se la nuova piattaforma per sviluppare il Digitale terrestre stenterà a decollare.

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