Twitta che ti passa: Reti sociali come radio private

La semplificazione del software rende semplice aprire una rete sociale, se non a tutti certo a molti. Ma sarà vero che the online crowd determinerà il vostro successo? L’avevo già sentito per il sito, l’e-commerce, la coda lunga, il blog…

La diffusione delle reti sociali è enorme e continua a crescere, incessantemente. Apparentemente la giustificazione è che “the online crowd”, purché sia sufficientemente estesa, converga socialmente verso un risultato analogo a quello delle strutture malamente burocratizzate. Anzi, lo migliori, attingendo dinamicamente alle migliori idee e mettendo insieme i tantissimi contributi volontari disponibili.
Beh, secondo me non è vero. Esistono casi di successo, ma non sono né esportabili né ripetibili. Un frequente errore che si fa è di confondere l’eccezione con la regola, fin da questa stessa frase, che in origine voleva dire “l’eccezione va verificata in laboratorio (per scoprire che tale non è)”.
Andando a leggere con attenzione alcuni dei dati recentemente raccolti sull’argomento, spesso si scopre che le statistiche vengono presentate con un’euforia non accettabile. Partiamo dall’attuale Occidente delle reti sociali, ovvero i location-based systems.
Qualche giorno fa Pew  ha dichiarato che negli States il 4% degli utenti di Internet usa sistemi Lbs quali Foursquare o Gowalla: una percentuale molto alta, mai commentatori sono seccati perché si aspettavano un valore molto più alto. Ma andando a leggere i dati il 4% è riferito al totale di chi ne fa uso anche sporadico, mentre la vera percentuale di uso quotidiano riguarda solo l’1% della popolazione. E il campione usato da Pew è di circa 3 mila persone, delle quali 2 mila su internet e di queste mille su cellulare: sono dati significativi di 300 milioni di abitanti? Pew dichiara un errore massimo del 3%, ma se io avessi soldi da investire questi numeri non mi basterebbero.

Né Bbs né blog
Il continuo fiorire di reti sociali, più che le antesignane Bbs o il fenomeno dei blog, mi ricorda molto da vicino l’epopea delle radio private e la scoperta del canale di ritorno nel telefono. Inseritesi in un vuoto normativo per il quale si poteva accroccare una tecnologia sufficiente, si scatenò un pandemonio tutto italico che in dieci anni modificò il panorama della comunicazione, allargando la fascia di persone che potevano farsi sentire alla radio (la Rai e OndaPuzza erano uguali, per chi ascoltava) e generando migliaia di piccole ipotesi di distorsione della realtà.
Quando il nebbione si diradò si scoprì che qualcuno ne aveva fatto un business ma che il paradigma non aveva funzionato in sé, ma solo se s’erano incontrati imprenditori capaci.
Faccio un altro esempio. Gran parte degli eventi televisivi è accompagnato da un flusso di tweet, spesso imponente. Andando a leggerli, si scopre che per la maggior parte sono entusiastiche ripetizioni di frasi dette dai televisti, spesso senza citare la fonte ma non di loro invenzione, che l’ascoltatore trova interessante perché le ignora. Ovviamente ignorare è lecito, ma non è il punto di vista migliore per giudicare gli altri o costruire qualcosa. Questo uso della socialità in Rete è ovviamente accettabile come passatempo, ma dal punto di vista della comunicazione è solo rumore di fondo, e a sua volta sta generando null’altro che piccole distorsioni locali.

Il vostro successo è unico
Non voglio essere pessimista, anche perché a mia volta lavoro nel settore che ieri era del Web, poi dei blog, oggi dei social network. Ma tre anni fa si plaudiva al modello di business di MySpace, che oggi versa in cattive acque. YouTube, alle volte proposto come rete sociale (ma è più una OneManBand-Tv), è stato salvato dall’acquisizione di Google, ma due anni fa le sue perdite erano elevatissime.
Bravi imprenditori e attenti dirigenti sanno usare il paradigma sociale per migliorare i risultati, avvicinando le competenze oltre la spersonalizzazione burocratica. Ma sono loro ad essere bravi, non il modello standard a funzionare. Diceva Rodney Zacks, hardware designer dei ruggenti anni ‘60 (vedete, campioni televisivi? le fonti vanno citate!), che “uno standard è una cosa talmente semplice che chiunque, ovunque nel mondo, può seguirlo” e, aggiungo io, avere successo. Ad oggi l’unico successo ripetibile e non occasionale delle reti sociali è nel ciclo di vita del talento. Non è poco.
Per qualsiasi altro uso si può tentare, e anche riuscire. Ma dipende da voi, non c’è l’aiuto di una tecnologia che garantisca il successo. Se riuscirete, the online crowd twitterà anche le vostre frasi.

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