Tutela dei diritti del lavoratore: prescizione e decadenza

Prescrizione e decadenza Diritti soggetti a prescrizione L’istituto della prescrizione riguarda l’estinzione del diritto soggettivo. La prescrizione (estintiva) si produce infatti a causa dell’inerzia nell’esercizio del diritto da parte del suo titolar …

Prescrizione e decadenza

Diritti soggetti a prescrizione
L’istituto della prescrizione riguarda l’estinzione del diritto soggettivo.
La prescrizione (estintiva) si produce infatti a causa dell’inerzia nell’esercizio del diritto da parte del suo titolare protrattasi per un periodo di tempo stabilito dalla legge. L’inerzia predetta determina per il nostro ordinamento giuridico un giustificabile affidamento circa l’abbandono del diritto in questione, reputato meritevole di tutela.
La legge attribuisce un rilievo assoluto all’istituto della prescrizione considerato che, secondo l’art. 2936 cod. civ., la relativa disciplina non può essere derogata in sede contrattuale, con nullità di ogni patto diretto a modificarla. Tuttavia, l’avvenuta prescrizione di un diritto non può mai essere rilevata autonomamente dal giudice dovendo essere opposta esclusivamente dal debitore della prestazione o da chiunque vi abbia interesse come, ad esempio, gli eventuali creditori dello stesso debitore.
Prescrizione presuntiva
Il nostro ordinamento prevede, per taluni tipi di crediti ed in ragione della natura del rapporto da cui essi derivano, la presunzione che essi siano stati soddisfatti decorso un breve e determinato periodo di tempo dal momento in cui sono sorti qualora il creditore non ne abbia lamentato il mancato soddisfacimento. Al riguardo può ricordarsi, a titolo di esempio, il diritto di credito dei prestatori di lavoro che si prescrive, secondo l’art. 2955 n. 2, cod. civ., nel termine di un anno per le retribuzioni corrisposte a periodi non superiori ad un mese e, a mente dell’art. 2956, n. 1, cod. civ., nel termine di tre anni quando è relativo alle retribuzioni corrisposte a periodi superiori al mese.
Proprio con riferimento a tale ipotesi la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli stessi artt. 2955 e 2956 nella parte in cui consentivano che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorresse durante il rapporto di lavoro (Corte cost. 10.6.1966, n. 63) sempreché non assistito da stabilità reale (Corte cost. 5.12.1972, n. 174). A riguardo la Suprema Corte ha peraltro precisato che il principio della sospensione della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro non assistito da stabilità reale non trova applicazione nei confronti dell’impresa familiare relativamente al diritto del partecipante al riparto dei conferimenti, in quanto la stabilità del rapporto è assicurata non solo dal vincolo familiare ma anche dall’onerosità della liquidazione (Cass. 20.3.2007, n. 6631).
Trascorso tale termine il creditore a cui viene opposta la prescrizione presuntiva per far valere le sue ragioni può esclusivamente deferire al debitore il giuramento decisorio per asseverare o meno l’estinzione del debito.
Ovviamente della prescrizione presuntiva non può giovarsi il debitore che in giudizio abbia in qualche modo confermato la mancata estinzione della sua obbligazione; se, ad esempio, il debitore sostenesse che l’obbligazione non sia addirittura sorta, non potrebbe successivamente affermare che quella stessa obbligazione si è estinta in quanto trascorso il termine della prescrizione presuntiva (Cass. 28.11.2001, n. 15132).
Diritti imprescrittibili
Secondo quanto stabilito dall’art. 2934 cod. civ. tutti i diritti sono soggetti a prescrizione, salvo i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge come imprescrittibili; tra questi ultimi possono citarsi, ad esempio, i diritti relativi allo stato e alle capacità delle persone.

Termini di prescrizione
Il termine di prescrizione ordinario, e cioè quello previsto per la generalità dei diritti, ivi compreso quello per il risarcimento dei danni subiti a seguito di inadempimento contrattuale, è decennale secondo quanto stabilito dall’art. 2946 cod. civ. Pertanto, a titolo esemplificativo, il diritto del lavoratore che reclami il riconoscimento della qualifica superiore ed il risarcimento del danno per mancata promozione assumendo l’irregolare svolgimento della procedura di selezione si prescrive in dieci anni (Cass. 22.7.2004, n. 13717).Per alcuni diritti tuttavia il codice civile prevede dei termini prescrizionali di durata inferiore(prescrizioni brevi).In particolare, l’art. 2948 stabilisce che si prescrivono in cinque anni le indennità per la cessazione del rapporto di lavoro nonché il diritto a percepire tutte le somme che devono essere corrisposte periodicamente ad anno o in termini più brevi ed anche il diritto a percepire gli interessi maturati.
Conseguentemente, tutti i crediti di natura retributiva maturati periodicamente sono soggetti indistintamente a tale forma di prescrizione (Cass. 10.11.2004, n. 21377). A riguardo c’è da aggiungere, però, che l’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti viene ritenuta da una parte della giurisprudenza una indennità di natura risarcitoria e non retributiva (Cass. 13.3.1997, n. 2231) e, per l’effetto, soggetta alla prescrizione ordinaria decennale. Inoltre l’art. 2953 cod. civ. stabilisce per i diritti riconosciuti con sentenza passata in giudicato il termine prescrizionale di dieci anni anche se per essi la legge prevede un termine inferiore.
Pertanto, ad esempio, il diritto del lavoratore a percepire gli interessi legali sulle retribuzioni corrisposte tardivamente, così come le retribuzioni medesime, una volta che sia stato riconosciuto con sentenza di condanna del datore di lavoro passata in giudicato, si prescrive non in cinque bensì in dieci anni (Cass. 3.12.1996, n. 10805). Quanto all’anzianità di servizio, questa costituisce un mero fatto insuscettibile di autonoma prescrizione; la prescrizione infatti potrà eventualmente riguardare i diritti che, sulla base della rivendicata anzianità, si intendono azionare (Cass. 12.5.2004, n. 9060).
Termine iniziale
La prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Per la prescrizione presuntiva, in particolare, essa decorre dalla data di scadenza della retribuzione periodica,secondo quanto disposto dall’art. 2957 cod. civ. Va osservato che, con riferimento al termine iniziale per il decorso della prescrizione, rileva esclusivamente la possibilità legale di esercitare il diritto; conseguentemente il decorso della prescrizione non risulta impedito da eventuali impossibilità di fatto ad esercitare il diritto stesso(Cass. 23.7.2003, n. 11451). In particolare, la prescrizione dell’azione per il risarcimento del danno patito dalla persona del lavoratore inizia a decorrere non dal momento del compimento dell’atto pregiudizievole ma da quello dell’obiettivo manifestarsi all’esterno del danno medesimo (Cass. 20.7.2007, n. 16148).
La Corte costituzionale, come detto (sentenze n. 63/1966 e n. 174/1972), ha precisato, con riferimento al diritto alla retribuzione per i rapporti di lavoro subordinato non assistiti dalla c.d. stabilità reale del posto di lavoro (per i quali cioè il lavoratore illegittimamente licenziato non può chiedere al giudice la reintegrazione nell’azienda ma solamente il risarcimento del danno), che la prescrizione del diritto alle retribuzioni maturate decorre dalla data di cessazione del rapporto di lavoro;viceversa nel caso in cui il rapporto di lavoro sia assistito dalla garanzia dell’applicabilità del regime di stabilità reale la prescrizione decorre in pendenza del rapporto di lavoro stesso. A tal fine, ha precisato la giurisprudenza, la sussistenza del requisito della stabilità reale va verificato non in ragione della normativa che avrebbe dovuto regolare il rapporto di lavoro in astratto(come stabilito successivamente dal giudice), ma in relazione al concreto modellarsi di quest’ultimo e alla percezione che di tale requisito le parti hanno avuto durante il suo svolgimento(Cass. 21.5.2007, n. 11736; Cass. 22.6.2004, n. 11644).

Sospensione e interruzione dei termini
Abbiamo visto come la prescrizione presupponga una inerzia ingiustificata da parte del soggetto titolare del diritto; conseguentemente essa non opera laddove sopraggiunga un elemento che giustifichi tale inerzia o, addirittura, qualora
il soggetto interessato cessi di restare inerte. A tali situazioni corrispondono gli istituti della sospensione e dell’interruzione della prescrizione.
La sospensione della prescrizione è determinata da particolari rapporti tra le parti (ad esempio tra i coniugi, secondo quanto disposto dall’art. 2941 cod. civ.) ovvero dalla condizione del titolare del diritto (art. 2942 cod. civ.) come nel caso dei minori non emancipati per i quali la prescrizione resta sospesa per il tempo in cui essi non abbiano un rappresentante legale e nei sei mesi successivi alla sua nomina oppure sino alla cessazione dell’incapacità. Le cause di sospensione sono tassative e, quindi, gli impedimenti c.d. di fatto (ad esempio un semplice imprevisto che impedisce il materiale esercizio del diritto) non influiscono sul decorso del termine prescrizionale.
L’interruzione della prescrizione, invece, si verifica, secondo quanto stabilito dall’art. 2943 cod. civ., allorché il titolare del diritto si attiva esercitandolo ovvero allorché vi è un effettivo riconoscimento del diritto da parte del soggetto nei cui confronti può essere fatto valere (riconoscimento che può risultare anche da comportamenti univoci e concludenti: Cass. 1°.7.2003, n. 10342). Ad esempio, è considerato dalla legge atto interruttivo della prescrizione la comunicazione del tentativo di conciliazione della controversia di lavoro. Di contro, ad avviso della Suprema Corte, non costituisce atto di riconoscimento di un diritto l’emanazione da parte del datore di lavoro (nella specie la Rete Ferroviaria Italiana) di una circolare rivolta con carattere di generalità al complesso dei dipendenti e che non denoti piena consapevolezza di ogni singolo e distinto rapporto di lavoro (Cass. 16.11.2004, n. 21664).
Si può quindi concludere che la sospensione della prescrizione, avendo effetto per tutto il periodo durante il quale si manifesta la causa di sospensione, non annulla il periodo di prescrizione già eventualmente maturato prima del suo verificarsi. Pertanto venendo meno quest’ultima la prescrizione torna a decorrere sommandosi il periodo di tempo antecedente alla causa di sospensione a quello successivo alla stessa. L’interruzione, viceversa, proprio perché fa venir meno l’inerzia stessa, determina un vero e proprio “azzeramento” del periodo di prescrizione antecedente a tale causa; la prescrizione, quindi, successivamente all’atto interruttivo, tornerà a decorrere dall’inizio.

Rinunzia alla prescrizione
Abbiamo chiarito come le norme sulla prescrizione in quanto relative ad un istituto posto a tutela dell’ordine pubblico sono inderogabili e, conseguentemente, le parti non possono rinunciare preventivamente alla prescrizione né incidere sulla durata dei termini stabiliti dalla legge al riguardo.
La rinuncia non può essere effettuata nemmeno mentre sta decorrendo la prescrizione, avendo piuttosto tale condotta l’effetto di interromperla quale atto di riconoscimento del diritto soggetto a prescrizione (Cass. 15.2.1992, n. 1866).
La legge consente invece la rinuncia alla prescrizione maturata. L’art. 2937, c. 2, cod. civ. infatti, ammette la rinuncia effettuata dopo che la prescrizione si è compiuta. La rinuncia può essere in questo caso espressa oppure tacita, ossia effettuata attraverso un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi della prescrizione stessa (Cass. 15.7.2002, n. 10235). Proprio perché rimessa alla volontà della parte che se ne potrebbe giovare, l’art. 2938 cod. civ. stabilisce che il giudice non può rilevare autonomamente la prescrizione dovendo essere la parte a decidere se avvalersene o meno. Conseguentemente, il debitore non può comunque ottenere la restituzione di quanto abbia spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto.

Decadenza
L’istituto della decadenza è collegato alla necessità che il diritto sia esercitato da parte del suo titolare entro un determinato periodo di tempo, indipendentemente dalle circostanze soggettive connesse al decorso di tale termine.
È dunque l’oggettivo decorso del tempo che determina l’estinzione del diritto. La decadenza può quindi essere impedita soltanto con il compimento degli atti previsti per l’esercizio del diritto nel termine prescritto dalla legge. E così, ad esempio, l’art. 2113, cod. civ. concede al lavoratore il termine di sei mesi per impugnare le rinunzie e le transazioni che hanno avuto ad oggetto suoi diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge ovvero di contratto collettivo;
decorso tale termine il potere di impugnativa si estingue ed il diritto è considerato definitivamente ed irrimediabilmente rinunziato.
Sulla base di tali premesse la Suprema Corte ha ritenuto che sia irrilevante, al fine di impedire la decadenza dal potere di impugnare il licenziamento, la circostanza che il lavoratore non abbia proposto l’impugnativa nel termine di 60 giorni di cui all’art. 6, L. n. 604/1966 perché in asserito stato di incapacità naturale (Cass. 9.3.2007, n. 5545).
La decadenza può essere legale ovvero convenzionale e cioè stabilita dalle parti in un accordo tra le stesse intervenuto, sempreché i termini pattuiti non rendano eccessivamente difficile l’esercizio del diritto ad una delle parti. A riguardo la Suprema Corte ha sottolineato, a titolo esemplificativo, che costituisce decadenza tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto la clausola di un contratto collettivo che faccia decorrere il termine di decadenza per chiedere il pagamento della retribuzione in costanza di un rapporto di lavoro non assistito da specifica stabilità (Cass. 12.1.1981, n. 531).
La decadenza legale può essere prevista nell’interesse generale ovvero di una delle parti. Nel primo caso le parti non possono modificare le disposizioni in materia né rinunciare alla decadenza che il giudice deve addirittura rilevare d’ufficio.
Qualora essa sia prevista per tutelare gli interessi individuali, invece, il regime legale può essere modificato e le parti possono rinunziarvi, secondo quanto stabilito dall’art. 2968 cod. civ. La decadenza può essere inoltre impedita dal riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale il diritto medesimo dovrebbe essere fatto valere, qualora il relativo termine sia stabilito dal contratto o da norme di legge relative a diritti disponibili (Cass. 26.10.2001,
n. 13218).

Fonti – Estinzione dei diritti per prescrizione art. 2934 cod. civ.; Prescrizione estintiva art. 2935, cod. civ.; Prescrizione estintiva ordinaria art. 2946 cod. civ.; Prescrizione estintiva quinquennale art. 2948 cod. civ.; Effetti del giudicato art. 2953 cod. civ.; Prescrizione presuntiva artt. 2955, 2956 e 2957 cod. civ.; Sospensione della prescrizione artt. 2941 e 2942 cod. civ.. Interruzione della prescrizione artt. 2943 – 2945 cod civ.; Rinunzia alla prescrizione art. 2937, cod. civ.; Decadenza artt. 2964-2969, cod. civ.

(per maggiori approfondimenti vedi Manuale lavoro, Novecento Media)

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