Trasferimento d’azienda

Un’analisi dell’ordinamento che regola il trasferimento d’azienda, partendo dalla definizione e arrivando ai diversi casi di applicazione delle normative.

Nozione
Ricorre l’ipotesi del trasferimento di azienda quando, in conseguenza di una vicenda traslativa (vendita, affitto, comodato, usufrutto), muta il titolare del complesso dei beni aziendali.
L’ordinamento, come vedremo, prende in considerazione il trasferimento di azienda in funzione dell’esigenza di apprestare una particolare tutela ai lavoratori. Tale tutela si estrinseca fondamentalmente nel senso di garantire al lavoratore la continuità del rapporto di lavoro alle dipendenze del cessionario, rafforzando (con la previsione della responsabilità solidale del cedente e del cessionario), la tutela dei crediti che il lavoratore aveva al momento del trasferimento dell’azienda.
In particolare, alla luce dell’articolo 2112 cod. civ. come novellato dall’art. 32, D.Lgs. n. 276/2003, per trasferimento di azienda si intende qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento della titolarità di una attività economica organizzata, con o senza fini di lucro, preesistente al trasferimento e che con il trasferimento stesso conserva la sua identità.

Elementi costitutivi
La definizione offerta dalla legge consente di enucleare gli elementi costitutivi della fattispecie.
In buona sostanza il trasferimento di azienda presuppone che, indipendentemente dallo strumento negoziale all’uopo utilizzato, muti la titolarità del complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’attività economica.
L’elemento caratterizzante del trasferimento di azienda è pertanto costituito dalla sostituzione del soggetto titolare dei beni destinati all’esercizio dell’impresa.
Tale mutamento può essere conseguito, come già evidenziato, attraverso le più diverse fattispecie traslative (vendita, affitto, usufrutto, comodato).
Non è necessario che il trasferimento avvenga attraverso un unico atto di cessione, ben potendo la successione nella titolarità del complesso dei beni aziendali essere realizzata attraverso una pluralità di negozi traslativi. L’importante è che tra la posizione del cessionario e quella del cedente sussista un vincolo di derivazione giuridica.

Trasferimento di ramo di azienda
L’art. 2555 del codice civile definisce l’azienda come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
L’art. 2112 del codice civile, peraltro, si applica non solo al trasferimento dell’intero complesso dei beni aziendali, ma anche al trasferimento di un singolo ramo di azienda, come già riteneva, prima del D.Lgs. n. 276/2003, un consolidato orientamento della giurisprudenza. La Corte di cassazione, infatti, aveva da tempo sottolineato l’applicabilità dell’articolo 2112 cod. civ. anche all’ipotesi del trasferimento di una singola unità produttiva (Cass. 14.12.1998, n. 12554), precisando altresì che ai fini della configurabilità di un trasferimento di ramo di azienda fosse necessaria la cessione di un complesso di beni dotati di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionale allo svolgimento di una attività di produzione di beni e servizi (Cass. 4.12.2002, n. 17207).
Per singolo ramo di azienda, alla luce della novella del D.Lgs. n. 276/2003, si intende per espressa previsione normativa una articolazione dotata di autonomia funzionale, ancorché priva di beni materiali (Cass. 10.1.2004, n. 206), che venga identificata come tale dal cedente e dal cessionario all’atto di procedere al suo trasferimento.
Il trasferimento di un ramo di azienda può avvenire anche attraverso il trasferimento di singoli beni aziendali ovvero anche solamente di un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare known how (o comunque dall’utilizzo di brevetti, marchi etc.) (Cass. 5 .3. 2008, n. 5932; Cass. 17.6.2005, n. 13068).
Per comprendere se in concreto siamo di fronte o meno ad una ipotesi di trasferimento di azienda, occorre accertare quale sia stata nel caso specifico la volontà del cedente e del cessionario e cioè se le parti abbiano voluto operare il trasferimento della titolarità dei beni aziendali considerati nel loro collegamento funzionale, oppure se abbiano più semplicemente inteso trasferire la titolarità di singoli beni considerati nella loro individualità (Cass. 30.12.1999, n. 14775).
La cessione di singoli beni aziendali o di singoli macchinari indipendentemente dal loro collegamento funzionale, infatti, si colloca al di fuori della fattispecie del trasferimento di azienda.

Esternalizzazione
Al giorno d’oggi peraltro si assiste di frequente a processi di cosiddetta “esternalizzazione”, cioè a dire di affidamento e di svolgimento all’esterno dell’azienda di processi produttivi, fasi di lavorazione o ancora di particolari servizi (cosiddetto outsourcing).
In proposito la Suprema Corte ha precisato che rientrano nello schema della esternalizzazione tutte quelle fattispecie nelle quali l’impresa dismette l’esercizio diretto di fasi accessorie del proprio ciclo produttivo ovvero di segmenti della propria organizzazione aziendale.
Tale risultato può essere indifferentemente perseguito con molteplici strumenti giuridici quali, in primo luogo, il trasferimento di azienda ovvero l’appalto di opere o servizi.
Ricorrerà la prima ipotesi nel caso in cui oggetto della cessione sia una frazione del ciclo produttivo, connotata da autonomia e funzionalità, la quale mantenga tali caratteristiche anche dopo la cessione. Di contro ricorrerà l’ipotesi del contratto di appalto nel caso in cui l’imprenditore affidi ad un soggetto esterno, in possesso di una propria organizzazione aziendale e per il tramite di questa, l’esecuzione di un’opera o di un servizio (Cass. 21.10.2006, n. 21287).

Fusione
Può accadere che due o più società si estinguano per dare vita ad un nuovo soggetto societario (fusione). La fusione può aver luogo anche per incorporazione. La giurisprudenza, in difetto di una espressa previsione normativa, aveva già avuto modo di ricondurre le ipotesi della fusione e della incorporazione nell’ambito della fattispecie del trasferimento di azienda (Cass. 23.8.1996, n. 7771).
A tale risultato la giurisprudenza era giunta sul presupposto che, anche in tal caso, indipendentemente dallo strumento tecnico giuridico, si realizzava la sostituzione del soggetto titolare dei beni destinati all’esercizio dell’impresa.
Pure in tale ipotesi si produceva, dunque, l’effetto tipico del trasferimento di azienda, cioè a dire la continuazione dei rapporti di lavoro già facenti capo alle società estinte con la società risultante dalla fusione o con la società incorporante.
L’art. 32 del D.Lgs. n. 276/2003, nel novellare il testo dell’art. 2112 cod. civ., ha ora espressamente ricompreso l’ipotesi della fusione nell’ambito del trasferimento di azienda.

Fattispecie escluse
Trasferimento di azioni
Estraneo al concetto di trasferimento di azienda è il caso del trasferimento del pacchetto azionario (Cass. 6.9.1993, n. 9339; App. Milano 9.7.2004).
In tal caso, infatti, non si determina alcun mutamento del soggetto titolare dei beni aziendali. La società, infatti, mantiene inalterata la sua soggettività giuridica e, pertanto, la titolarità del complesso dei beni destinati all’esercizio dell’impresa.
Il trasferimento del pacchetto azionario comporta unicamente una modifica nella titolarità delle azioni, passibile di esercitare influenza sulle relazioni di controllo, ma non di determinare un trasferimento di azienda.
Gruppi di società
Parimenti estraneo al concetto di trasferimento di azienda deve ritenersi l’ipotesi di collegamento societario e del gruppo societario.
Le singole società, infatti, indipendentemente dal collegamento societario ovvero dalla appartenenza a un medesimo gruppo economico, mantengono la propria autonomia soggettiva e la propria distinta personalità giuridica e restano pertanto esclusive titolari dei rispettivi rapporti di lavoro.
Ne consegue che la circostanza che un dipendente possa prestare nel tempo la sua attività lavorativa alle dipendenze di diverse società del gruppo non comporta la unificazione dei singoli rapporti di lavoro (Cass. 2.7.1981, n. 4312).
È evidente, tuttavia, che ove una società del gruppo trasferisca ad un’altra società del gruppo un settore di attività o un ramo di azienda, l’ipotesi sarà senz’altro riconducibile ad un trasferimento di azienda.
Mutamento di forma giuridica
Ancora estraneo al concetto di trasferimento di azienda è l’ipotesi del mutamento di forma giuridica della società (Cass. 16.2.1986, n. 2697).
Ed infatti, alla modificazione della forma giuridica della società attraverso la trasformazione da uno ad un altro dei tipi legislativi, è estraneo l’elemento caratterizzante del trasferimento di azienda, che abbiamo visto consistere nel mutamento del soggetto titolare del complesso dei beni aziendali.
In tal caso, invece, il soggetto resta lo stesso e ciò che muta è soltanto la sua veste giuridica.
Impresa in regime di concessione
Si è posto infine il problema se la fattispecie del trasferimento di azienda ricorra nell’ipotesi di impresa il cui esercizio è subordinato a concessione da parte della Pubblica Autorità. Al riguardo la giurisprudenza ha in passato ritenuto la inconfigurabilità di un trasferimento d’azienda (Cass. 25.7.2000, n. 9764).
Infatti, nel caso di scadenza o revoca delle concessione e di affidamento della concessione ad un nuovo soggetto, lo svolgimento della attività imprenditoriale da parte di quest’ultimo non ripeterebbe la sua origine a titolo derivativo dalla posizione del precedente concessionario, bensì a titolo originario dalla concessione amministrativa (vedi più oltre).
Personale già impiegato nell’appalto
L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito del subentro di nuovo appaltatore, in forza di legge, contratto collettivo ovvero clausola del contratto di appalto, non costituisce trasferimento di azienda ovvero di parte di essa (art. 29, c.3, D.Lgs. n. 276/2003).

Normativa italiana e orientamenti comunitari
La disciplina del trasferimento di azienda è ispirata come detto alla esigenza di tutelare la continuità del rapporto di lavoro e di apprestare tutela ai crediti del lavoratore. Sulla materia si registrano numerosi interventi della Commissione europea (direttiva 77/187/CEE del 14.2.1997; direttiva 98/50/CE del 29.6.1998 e la direttiva 2001/23/CE del 12.3.2001) con l’intento di addivenire ad un riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di tutela dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda.
La Corte di giustizia delle Comunità europee si è peraltro espressa nel senso della applicabilità dei presidi posti a garanzia dei diritti del lavoratore in caso di trasferimento di azienda anche nella ipotesi in cui la successione nella titolarità della azienda sia intervenuta in forza di una autonoma concessione.
L’art. 1, D.Lgs. n. 18/2001, emanato in attuazione della direttiva 98/50/CE, aveva in effetti previsto che il trasferimento di azienda potesse avvenire anche per il tramite di provvedimento amministrativo.
L’art. 32, D.Lgs. n. 276/2003 ha tuttavia espunto dalla nuova formulazione dell’art. 2112 cod. civ. ogni riferimento al trasferimento di azienda operato tramite provvedimento autoritativo della pubblica amministrazione.
Allo stato, pertanto, ed indipendentemente dagli eventuali profili di inadempimento agli obblighi derivanti dalla appartenenza alla Unione europea che una tale disciplina potrebbe sollevare, il vigente testo dell’art. 2112 cod. civ. sembrerebbe collocarsi nel solco della giurisprudenza formatasi in punto di esclusione dall’ambito di applicazione della disciplina dettata per il trasferimento di azienda della ipotesi di trasferimento operato in via originaria per il tramite di una concessione amministrativa.
Se non che, in pronunzie rese con riferimento al testo dell’art. 2112 antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 276/2003 ma a valenza generale per il loro iter argomentativo, la Suprema Corte, in applicazione del principio secondo cui le norme comunitarie siccome interpretate dalla Corte di Giustizia si impongono su quelle nazionali con esse contrastanti, ha sottolineato come l’art. 2112 in parola trovi applicazione anche nel caso di trasferimento di impresa conseguente ad atto unilaterale e autoritativo della P.A. sempreché i lavoratori interessati siano soggetti allo statuto di diritto comune del lavoro e non a quello pubblico (Cass. 8.11.2004, n. 21248) e si accerti la cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese (Cass. 27.4.2004, n. 8054).

Conseguenze sui rapporti di lavoro
Prosecuzione del rapporto
Si è già accennato come la più rilevante tutela apprestata dall’ordinamento al lavoratore nel caso di trasferimento di azienda è costituita dalla prosecuzione del rapporto di lavoro con il cessionario.
Il passaggio dei lavoratori alle dipendenze del cessionario si produce automaticamente, senza necessità che i lavoratori manifestino il loro consenso (Cass. 30.7.2004, n. 14670), per effetto della disposizione di cui al primo comma dell’art. 2112 cod. civ. e quale che sia lo strumento tecnico giuridico attraverso il quale viene realizzato il trasferimento.
Il passaggio del lavoratore alle dipendenze del cessionario presuppone, evidentemente, che il rapporto di lavoro, all’atto del trasferimento, fosse in corso con il cedente (Cass. 2.3.1995, n. 2417); deve pertanto escludersi che l’effetto di prosecuzione automatica si produca con riferimento ai rapporti di lavoro che alla data del trasferimento fossero già esauriti, ovvero legittimamente risolti.
È evidente, peraltro, che ove la illegittimità del recesso sia dichiarata dopo la cessione, tale sentenza sarà opponibile al cessionario, il quale, subentrando nella medesima situazione giuridica del cedente, non potrà sottrarsi agli effetti derivanti dalla sentenza dichiarativa della nullità del licenziamento intimato dal datore di lavoro cedente prima del trasferimento.
Diritto di precedenza
I lavoratori che per qualsivoglia ragione non passano alle dipendenze dell’acquirente, dell’affittuario o del subentrante hanno diritto di precedenza nelle assunzioni che questi ultimi effettuino entro un anno dalla data del trasferimento, ovvero entro il periodo maggiore stabilito dagli accordi collettivi. Nei confronti dei lavoratori predetti, che vengano assunti dall’acquirente, dall’affittuario o dal subentrante in un momento successivo al trasferimento d’azienda, non trova applicazione l’articolo 2112 del codice civile (art. 47, c. 6, L. n. 428/1990).
Tutela della posizione dei lavoratori
Qualora il lavoratore sia interessato ad impedire l’automatica prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del cessionario, è tenuto a rassegnare le dimissioni (Trib. Milano 18.11.1999).
Dalla inderogabilità della disposizione in punto di prosecuzione del rapporto consegue la nullità della pattuizione che, in deroga ad essa, preveda che una quota parte di lavoratori non passi alle dipendenze del cessionario.
Si è peraltro sostenuta la liceità dell’accordo, con il quale, con il consenso del lavoratore, si convenga che a fronte della cessione di un ramo di azienda, il lavoratore continui a prestare la sua attività lavorativa alle dipendenze del cedente (Corte Giustizia CE 24.1.2002, n. 51). Tale problematica si intreccia con quella riguardante la questione se, nel caso di trasferimento di ramo d’azienda, il personale addetto debba necessariamente proseguire il suo rapporto di lavoro alle dipendenze del cessionario del ramo di azienda.
Si è infatti osservato che la norma tutelerebbe l’interesse del lavoratore a passare alle dipendenze del cessionario in caso di trasferimento della intera azienda, ma non l’eventuale interesse del lavoratore a che il suo rapporto prosegua con il cedente il ramo di azienda cui il lavoratore medesimo è addetto.
Il lavoratore invero potrebbe ritenere maggiormente garantiti il suo interesse alla continuità occupazionale e le sue ragioni di credito dalla permanenza alle dipendenze del cedente, il quale, nonostante la cessione del ramo di azienda, continui ad esercitare l’impresa. Sulla base di tale premessa si è concluso che la disciplina di cui all’art. 2112 cod. civ., non trova applicazione nei confronti di quei dipendenti che, nonostante la cessione, continuano a prestare la loro attività lavorativa in favore dell’imprenditore cedente senza passare al servizio del cessionario (Cass. 21.5.2002, n. 6103).
La legge non si limita a garantire la continuità occupazionale.
Il lavoratore, infatti, in caso di trasferimento di azienda, conserva tutti i diritti derivanti dal pregresso rapporto di lavoro alle dipendenze del cedente e non soltanto quelli derivanti dall’anzianità (Cass. 1°.7.1998, n. 6428).
Con riferimento precipuo all’anzianità, l’ordinamento vuole impedire che attraverso una fittizia e fraudolenta risoluzione del rapporto seguita dalla riassunzione alle dipendenze del cessionario possa violarsi il diritto alla infrazionabilità della anzianità, con conseguenze negative non solo sul piano del trattamento di fine rapporto, ma anche sulla determinazione della anzianità necessaria per l’accesso ai cosiddetti “ammortizzatori sociali” in caso di crisi aziendale (Cass. 2.10.1998, n. 9806).
Solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti del lavoratore
L’ordinamento prevede una particolare garanzia per i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento, consistente nella responsabilità solidale che per tali crediti grava sul cedente e sul cessionario.
Si tratta di una tutela assai intensa; essa, infatti, nei confronti del cessionario, opera indipendentemente dalla conoscenza che questi abbia dei crediti.
È peraltro controverso se la responsabilità del cessionario si estenda anche ai crediti relativi a rapporti di lavoro cessati prima del trasferimento, ovvero unicamente ai crediti relativi ai soli rapporti di lavoro vigenti alla data del trasferimento.
Al riguardo la giurisprudenza di legittimità e quella di merito (e ciò anche in relazione alle numerose riscritture dell’art. 2112 cod. civ.) oscillano tra la tesi che la responsabilità del cessionario si estenderebbe esclusivamente ai crediti relativi a rapporti di lavoro vigenti alla data del trasferimento (Trib. Milano 10.6.1998), quella secondo la quale per i crediti relativi a rapporti esauriti anteriormente al trasferimento, troverebbe applicazione l’art. 2560 cod. civ. (responsabilità per i debiti dell’azienda ceduta risultanti dai libri contabili: Cass. 19.12.1997, n. 12899) e, infine, quella che vorrebbe senz’altro estendere la responsabilità solidale del cessionario a tutti i crediti ancorché relativi a rapporti esauriti alla data del trasferimento indipendentemente dalla conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario (Trib. Milano 25.3.2000).
Il lavoratore, peraltro avvalendosi delle procedure conciliative di cui agli articoli 410 e 411 cod. proc. civ., può liberare il cedente dalle obbligazioni derivanti dal pregresso rapporto di lavoro.
Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione preveda l’utilizzazione del ramo di azienda oggetto di cessione, tra l’appaltante e l’appaltatore opera il regime di solidarietà di cui all’art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003. Pertanto, salva diversa previsione dei contratti collettivi, il committente cedente l’azienda è obbligato in solido con l’appaltatore cessionario, nel limite temporale di un anno dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali.
Contratto collettivo applicabile
Il cessionario è tenuto ad applicare ai lavoratori il trattamento economico e normativo previsto dai contratti collettivi di lavoro vigenti all’atto del trasferimento e fino alla loro scadenza, salvo che non siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili al cessionario. Tale disposizione ha lo scopo di far sì che il lavoratore continui pure dopo il trasferimento di azienda a beneficiare della tutela accordatagli dal contratto collettivo applicato all’azienda ceduta.
Tale forma di cautela, peraltro, è destinata ad operare unicamente nel caso in cui il cessionario non applichi a sua volta alcun contratto collettivo.
In caso contrario, infatti, la ragione della ultrattività della regolamentazione del rapporto ad opera del contratto collettivo applicato nella azienda ceduta viene meno, operandosi senz’altro la sostituzione del contratto applicato dal cessionario.
La sostituzione, peraltro, opera unicamente tra contratti collettivi di pari livello.
Licenziamento e dimissioni
Logico corollario della disciplina protettiva sin qui illustrata è che il trasferimento di azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento.
Il licenziamento intimato in correlazione con il trasferimento di azienda sarà infatti senz’altro nullo.
Il cedente ed il cessionario potranno recedere dal contratto di lavoro unicamente ove ricorrano una giusta causa o un giustificato motivo ai sensi della disciplina limitativa del licenziamento. Una volta accertata la nullità del licenziamento intimato dal cedente, graverà ovviamente sul cessionario l’obbligo di ripristinare il rapporto di lavoro.
Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una modifica sostanziale nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con effetto immediato e diritto all’indennità sostitutiva del preavviso.

Trasferimento di aziende con oltre 15 dipendenti
Qualora il trasferimento di azienda riguardi imprese con più di 15 dipendenti, la legge (art. 47, L. n. 428/1990 con le modifiche introdotte dall’art. 1, D.Lgs. n. 18/2001) prevede una speciale procedura nell’ambito della quale sono chiamate ad interloquire anche le organizzazioni sindacali dei lavoratori.
In tale ipotesi infatti, il cedente e il cessionario venticinque giorni prima che si perfezioni l’atto di cessione o l’obbligo di procedere alla cessione, debbono fare una comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali delle unità produttive interessate al trasferimento ed ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato alle imprese oggetto dell’operazione.
Qualora non vi siano rappresentanze sindacali aziendali la comunicazione dovrà essere fatta alle organizzazioni sindacali più rappresentative.
Tale comunicazione, effettuata direttamente dalle imprese interessate alla cessione ovvero per il tramite della associazione sindacale cui le predette imprese aderiscano od alla quale abbiano conferito mandato, deve contenere:
– la data del trasferimento ovvero la data proposta per il trasferimento;
– i motivi del trasferimento;
– le conseguenze giuridiche, economiche e sociali che il trasferimento produrrà sui lavoratori;
– le eventuali misure previste in favore dei lavoratori stessi.
L’informazione suddetta è diretta a consentire alle organizzazioni sindacali di chiedere entro i sette giorni successivi al cedente ed al cessionario di avviare un esame congiunto.
Tale esame deve aver luogo entro i sette giorni successivi al ricevimento della richiesta. Lo stretto contingentamento dei tempi è ampiamente giustificato dalla necessità di non frapporre soverchi ostacoli alla iniziativa economica, garantendo nel frattempo che le istanze di tutela dell’occupazione e delle condizioni giuridiche ed economiche dei lavoratori interessati possano trovare ingresso ed ascolto nella procedura per il tramite della consultazione degli organismi sindacali.
Pertanto, mentre per un verso il cedente e il cessionario sono senz’altro tenuti ad avviare la procedura di esame congiunto, per altro verso decorsi dieci giorni dal suo inizio senza che sia stato raggiunto alcun accordo, la procedura di consultazione si intende in ogni caso esperita.
Analoga procedura deve essere esperita in caso di trasferimento di ramo d’azienda, indipendentemente dal numero dei lavoratori che vi sono addetti sempreché l’impresa nel suo complesso occupi più di quindici dipendenti.
Parimenti la tratteggiata procedura di consultazione deve essere seguita da parte della società controllata, anche qualora la decisione di procedere al trasferimento sia assunta dalla società controllante.
L’omissione della procedura di esame congiunto da parte della società controllata non può essere giustificata dal fatto che la società controllante non abbia trasmesso alla controllata le relative informazioni.
Conseguenze del mancato svolgimento della procedura di consultazione sindacale Per espressa previsione normativa il mancato espletamento della procedura costituisce condotta antisindacale.
Quanto invece alle conseguenze sul piano dei rapporti di lavoro vi sono opinioni controverse. Al riguardo, infatti, si è sostenuto da alcuni giudici di merito che il mancato espletamento della procedura intaccherebbe la validità stessa del negozio di trasferimento, negozio che in difetto della prescritta procedura di consultazione sarebbe senz’altro nullo. Per altro verso, si è sostenuto che l’omissione della procedura di consultazione inciderebbe sulla validità dei provvedimenti connessi al trasferimento riguardanti i singoli lavoratori, ma non renderebbe nullo o inefficace il negozio di trasferimento d’azienda.
La Corte di cassazione a sua volta ha statuito che l’omissione della procedura di consultazione lederebbe soltanto l’interesse del sindacato, legittimandolo ad agire per la declaratoria di antisindacalità del comportamento, ma non costituirebbe presupposto di legittimità e validità del trasferimento (Cass. 6.6.2003, n. 9130).

Trasferimento di aziende in crisi
Le garanzie previste dall’art. 2112 cod. civ. non trovano applicazione nel caso in cui il trasferimento riguardi imprese con riferimento alle quali sia intervenuta la dichiarazione dello stato di crisi aziendale ai sensi della legge n. 675/1977 o nei confronti delle quali siano intervenuti la dichiarazione di fallimento, o l’omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, l’emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa o di sottoposizione ad amministrazione straordinaria a condizione che non sia stata disposta la continuazione della attività ovvero, ove disposta, sia cessata, oppure in sede sindacale sia stato raggiunto un accordo per la salvaguardia anche parziale dell’occupazione.
In sostanza, in questa ipotesi, a meno che l’accordo sindacale non preveda condizioni di maggior favore, i lavoratori trasferiti al cessionario non conservano i diritti maturati nel corso del pregresso rapporto di lavoro alle dipendenze del cedente e non opera con riguardo ai crediti maturati alla data del trasferimenti la garanzia solidale del cedente e del cessionario.
La motivazione di tale disciplina è quanto mai chiara: trattandosi del trasferimento di una azienda in stato di crisi, ovvero sottoposta ad una procedura concorsuale e versandosi, dunque, in una situazione di elevato rischio di perdita di posti di lavoro, il legislatore ha voluto evidentemente privilegiare la continuità dell’occupazione sia pure a detrimento della conservazione dei diritti maturati nel pregresso rapporto di lavoro alle dipendenze dell’impresa cedente.
In sostanza, a fronte del trasferimento di una impresa insolvente ed allo scopo di salvaguardare le opportunità occupazionali, la legge consente anche delle modificazioni peggiorative del trattamento dei lavoratori.
Conseguentemente è stata ritenuta la liceità degli accordi sindacali con i quali il datore di lavoro cessionario venga liberato dall’onere di riconoscere ai lavoratori la pregressa anzianità ovvero dalla garanzia solidale per i crediti maturati dai lavoratori. Una disciplina particolare è dettata per le grandi imprese in condizioni di insolvenza collocate in amministrazione straordinaria (vedi D.Lgs. n. 270/1999).
L’accordo sindacale può anche prevedere che una parte dei lavoratori (che vengono definiti “eccedentari”) resti alle dipendenze del cedente.
Questi ultimi, peraltro, hanno un diritto di precedenza con riferimento alle assunzioni che il cessionario effettui entro un anno dalla data del trasferimento, ovvero entro il maggior termine che all’uopo può essere previsto dagli accordi sindacali.
Anche nei confronti di coloro che sono assunti in virtù del diritto di precedenza di cui sopra non trova applicazione l’art. 2112 cod. civ.
(per maggiori approfondimenti vedi Manuale lavoro, Novecento Media)

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