Tra startup e industria, l’anello di congiunzione sono le Regioni

Al convegno di apertura della kermesse milanese l’invito a mixare competenze e peculiarità di Pmi e Newco sotto la guida di Regioni pronte ad aggregare eccellenze locali e a portare (e trattenere) in Italia i Fondi Strutturali europei.

Startup, ricerca industriale, Regioni.
Sono questi gli ingredienti attorno ai quali l’amministratore delegato di Smau, Pierantonio Macola, ha costruito il suo intervento nel convegno di apertura della 50esima edizione di una manifestazione “che continua a voler mettere al centro gli imprenditori”.
Salutato doverosamente con un video dedicato al Funky Surfer, prima ancora che Funky Professor, Marco Zamperini, mancato pochi giorni fa all’affetto dei suoi cari e di una comunità italiana votata all’innovazione, l’attenzione di Macola è andata agli elementi distintivi “che possono supportare lo sviluppo economico delle piccole e medie imprese del nostro Paese ma che, nella maggior parte dei casi, non trovano al proprio interno i fattori tecnologici abilitanti l’innovazione”.

Da qui l’assunto che, in un tessuto economico e imprenditoriale come il nostro, “la vera startup, che non è quasi mai quella che si quota in Borsa, può diventare il reparto R&D delle realtà imprenditoriali italiane, poco avvezze ad averne uno al proprio interno o a intessere rapporti stretti e continuativi con il mondo della ricerca universitaria”.

A loro volta le tecnologie digitali, “oggi fattore abilitante di qualsiasi processo di sviluppo”, consentono di valorizzare il talento dei nostri imprenditori avvicinandoli tra loro non più attraverso distretti industriali fisici ma tramite network virtuali costruiti attorno a specifiche competenze.
Vero è che “la lezione impartita con i business partner dai vendor che, da sempre, ci accompagnano nell’avventura di Smau – suggerisce Macola –, andrebbe compresa e fatta propria dalle Pmi confermano la medesima fiducia a quegli attori intermedi in grado di interpretare le esigenze dei clienti finali e di fungere da ambasciatori dell’innovazione lungo tutto il territorio”.

Alle Regioni va, infine, il compito di ricoprire un ruolo di “anello di congiunzione” tra il territorio di competenza, il sistema economico di riferimento e l’Unione europea, “soprattutto in considerazione del fatto – è l’ulteriore puntualizzazione – che quelli di Horizon 2020 saranno gli unici soldi che potrebbero arrivare in Italia a supporto dello sviluppo, dell’accensione e del cambiamento delle nostre imprese”.
Mai come in questa stagione “le Regioni assumono un aspetto così strategico” è l’ulteriore puntualizzazione di Macola ripresa anche da Alvise Biffi, in qualità di presidente Piccola Impresa Assolombarda e vicepresidente Assolombarda, che invoca “un merge tra startup e industria come percorso naturale dell’imprenditoria italiana”.
Un’imprenditoria fatta di Pmi “che, tipicamente, non superano i 10-20 addetti, mostrano grande flessibilità e competenza ma che si trovano anche a dover affrontare tutte le problematiche strutturali e dimensioni di quello che, oggi, è di fatto un mercato globale”.

Pmi e startup: peculiarità e punti di forza messi a fattor comune
Ecco che, allora, il suggerimento diventa mixare le esigenze dei vari attori sul mercato “puntando sull’entusiasmo delle startup e sulle competenze tecniche che fanno di loro realtà digital native e decisamente più friendly nei confronti delle nuove tecnologie rispetto a Pmi che dalla loro hanno, però, sia il mercato sia le competenze gestionali ed economiche che potrebbero fornire il giusto supporto alle nuove aziende che si affacciano sulla scena”.

A portata di mano, sia per le une che per le altre, ci sono la bellezza di 7 miliardi di consumatori ai quali proporre – “nella più comune tradizione italiana”- , nicchie di eccellenza “all’interno delle quali aziende anche solo di una ventina di persone riescono a essere competitive nonostante le ridotte dimensioni strutturali si confermino un vincolo per affrontare con serietà un mercato come quello globale. Ma proprio qui – continua Biffi – entrano in gioco le Regioni che devono fungere da partner principale delle aziende per cogliere una parte cospicua di quegli 87 miliardi di euro messi a disposizione dall’Europa con una misura specifica per l’innovazione delle piccole e medie imprese”.

In qualità di attori principali dai quali i Fondi europei transitano e di attenti conoscitori delle eccellenze locali, per Biffi le Regioni “devono fungere sia da guida per le piccole e medie imprese del territorio che non guardano con la dovuta attenzione dei megatrend internazionali perché concentrate sul quotidiano, sia da aggregatore di eccellenze e portatore di risorse economiche che, in Italia, non abbiamo”.


Imparare a spendere i Fondi strutturali europei sarebbe già un primo passo

Peccato che, da noi, l’invito a “essere digitali per attivare un accesso pervasivo da qualsiasi punto del mondo, ma anche per attuare una collaborazione estrema da e per qualsiasi punto della Terra” lanciato da Massimo Pezzini, Vp & Research Fellow Gartner, non basti, considerato che quello di cui ha parlato Andrea Rangone nel suo intervento è un “innovation divide” ormai definitivamente trasformatosi in un ben più grave “innovation gap”.

Nell’analisi puntuale del coordinatore Osservatori Ict&Management della School of Management del Politecnico di Milano, “di positivo c’è solo la sensazione che, mai come in questo periodo, sia riscontrabile una ragionevole attenzione politica sul tema dell’innovazione digitale”.

Vero è che, dato un occhio ai principali indicatori di spesa utilizzati per misurare il divario tecnologico (la spesa It delle imprese nostrane paragonata al Pil tricolore), il nostro Paese si posiziona a circa un terzo rispetto alla media dei 27 Paesi dell’Ue. Quasi la metà è, poi, la spesa in ricerca e sviluppo messa sul piatto rispetto al resto d’Europa “prova di un deficit consistente – sottolinea Rangone – cui proprio le singole Regioni potrebbero porre rimedio”. Cominciando per prima cosa a gestire e governare meglio i principali Fondi strutturali europei divisi in Fondi Sociali e per lo Sviluppo Regionale, e in cui l’Italia è posizionata al terzo posto con oltre 27 miliardi di euro assegnati. “Peccato – conclude Rangone – che siamo terzultimi per capacità di utilizzarli realmente davanti a Bulgaria e Romania”.

L’appello alle Regioni, ma anche al buon senso, è più che giustificato.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome