Tps, touchdown

Etica e funzionalità di un indice dei tempi moderni, non per forza del tutto sensati.

Il Super Bowl numero 46 è stato motore di un record, non tanto di ascolti (e comunque non importa qua), quanto di tweet.

Da più parti, con una vena di compiacimento, è stata ripresa la notizia che durante gli ultimi tre minuti del match sono stati inviati mediamente 10mila tweet al secondo. Sono stati 8mila quelli medi durante l’esibizione di Madonna, che ha cantato durante l’intervallo. Il picco di tweet si è avuto a fine partita: 12.233. Il secondo durante l’esibizione della material girl: 10.245. Per soprammercato, il record del Tps (ovvero tweet per second) è ancora 25.088 totalizzato nel momento della messa in onda di Castle in the Sky alla televisione giapponese.

Finita la rassegna delle cifre, ci concediamo un commento, sul senso della cosa, e lo facciamo partendo da alcuni interrogativi a risposta aperta.
Qual è il senso di un’orgia collettiva di commenti a un evento a cui tutti stanno partecipando, fatta eccezione per i giocatori in campo, da spettatori?
Di più: qual è il senso di un commento in 140 caratteri, buona parte dei quali assorbiti da codici, parole chiave e tag?
A che serve reindirizzare trasversalmente su tutti i social network, compresi quelli professionali a-la-Linkedin, tali commenti?

Altra cosa è testimoniare l’evento non presidiato, quello che si manifesta improvvisamente, che coglie impreparati: lì c’è, e non lo scopriamo noi, una funzione altamente sociale. Gli esempi sono nella nostra memoria cache e parlano di terremoti, alluvioni, manifestazioni.

Altro ancora è l’evento a partecipazione attiva, dove gli astanti sono chiamati a contribuire all’esito: conferenze, dibattiti, raccolta di idee dove c’è una regia che detta una finalità.
Ma che senso ha dire tramite un social network a qualcuno una cosa che questi conosce già?

Si dirà: non è tanto informare, ma essere partecipi.
E sia. Ma allora forse è giunto il momento di ridefinire il ruolo del social network. Che alla rovescia va letto come restituire all’informazione e ai suoi luoghi deputati il ruolo che gli compete.
In assenza di questa riattribuzione continuiamo a pensare che il mix totale di competenze favorisca solamente la deresponsabilizzazione, che è quella cosa di cui tutti ci lamentiamo continuamente.

Se la fase due del social network sarà quella dell’auto-mediazione, o più prosaicamente del contare fino a dieci prima di postare, probabilmente avremo meno contenuti, ma più significativi.

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