Tiscar, l’onda d’urto per la banda larga

banda largaLa Strategia italiana per la banda ultralarga è un piano seguito personalmente da Graziano Delrio con Raffaele Tiscar, vice segretario generale alla Presidenza del Consiglio, e Antonello Giacomelli. Il piano è stato ripresentato a Roma, nella sede dello Studio Legale Associato Ntcm, dallo stesso Tiscar, alla presenza di rappresentanti degli operatori telefonici, di altre realtà del mondo della comunicazione e della stampa.

Va detto subito che l’approccio seguito è del tutto non convenzionale e si ritiene che possa aver successo soprattutto per la forte determinazione del Governo. L’Italia è stata suddivisa in 10.400 aree, poi raggruppate in quattro cluster; per ogni cluster sono stati dettagliati due elementi-chiave: densità abitative ed infrastrutture esistenti.

Gli interventi sono differenziati per cluster e l’obiettivo è superare le richieste dell’Ue per il 2020 sia nei fatti statici, sia nella dinamica di aggiornamento futuro.

Importantissima l’attenzione alle aree industriali, che spesso hanno banda bassissima, anche intorno alla Milano cablata. Per la prima volta queste aree sono considerate in un piano, anche se in via sperimentale.

Percentuali Bul per i 100 Mb

Ecco quindi che il piano Bul – banda ultra larga – si ripropone di dare fibra a 100Mb all’85% degli abitanti, ad un costo di 12 miliardi di euro in 6 anni. L’infrastruttura a 100Mb potrebbe evolvere fino a 200/300 Mb senza investimenti aggiuntivi. Il 15% della popolazione avrà comunque i 30 Mb. E’ ragionevole pensare che le percentuali finali saranno leggermente meno favorevoli; inoltre leggendo il progetto sembra percepibile un primo check-point collocato tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, una data probabilmente alla portata della presente legislatura.

La rete attuale, che evolve verso i 30Mb necessari al video, coesisterà con quella nuova finché ciò avrà senso, ma i servizi per sfruttare la Bul verranno trovati più avanti, probabilmente nel M2M/Internet of things. C’è banda per le proposte del governo su scuola, giustizia e sanità digitali, ma non è il caso di puntare su queste aree: i processi relativi non sono semplici da riformare e quindi fanno presagire tempi lunghi e incertezza sul risultato finale.

Il modello di conferimento dei finanziamenti andrebbe discusso in dettaglio in altre sedi: per ora basti dire che vengono erogati al termine dell’intervento privato. Comunque si tratta di 6 miliardi pubblici e (almeno) 6 dai privati.

I privati che investiranno avranno in cambio semplificazioni amministrative e defiscalizzazioni previste dal decreto Sblocca Italia. Non è chiaro capire cosa succederà se i privati non collaboreranno al piano, ma l’ipotesi è poco probabile.

Per il riassetto dell’area Agcom e Agcm, ed anche il Governo, hanno considerato tre possibilità: l’incumbent, una joint venture tra operatori e una società pubblica. “Il nostro Studio legale osserva un forte interesse da parte degli operatori telefonici”, ha detto Vittorio Noseda, che in Nctm si occupa, tra l’altro, dell’area Tmt  (technology, media and telecommunications).

La guida politica è necessaria

Ora c’è un chiaro impegno politico, che è il fattore decisivo per orientare tutti nella stessa direzione”, spiega Tiscar. L’affermazione è essenziale e ha già incassato alcune adesioni, ma vanno considerati almeno due elementi: il primo è che il piano ha durata maggiore di una legislatura piena; il secondo è che l’attuale regia comprende un elevatissimo numero di attori, che può essere ridotto solo con le modifiche costituzionali (titolo V) e con una serie di accorpamenti tra enti, comuni e regioni; probabilmente richiede anche uno sforzo di classificazione delle spese in sede europea. La realizzazione, quindi, si confronterà anche con il  cambiamento istituzionale in atto. Si tratta di osservazioni che avevamo già visto con il piano a suo tempo predisposto da Enrico Letta durante la sua azione a capo del Governo.

I 12 miliardi indicati sono una prima stima che non calcola appieno alcune componenti”, ci ha detto Tiscar; “una cifra più precisa già in fase di preventivo potrebbe essere intorno a 20 miliardi”, almeno in fase di preventivo.

Ma anche i denari disponibili dovrebbero essere di più, in quanto abbiamo messo come leva della disponibilità un fattore 2, come dire che il 50% di coloro che prendono denari non li restituiscono”, spiega il manager. Non è necessario fare un paragone diretto con l’enorme leva (16x) prevista dal piano europeo di Junker, ma in genere questi strumenti operano con una leva di circa 5-10 volte.

Di fibra in Italia c’è solo quella di Metroweb a Milano, azienda sotto l’interesse di Telecom e che potrebbe essere al centro di una partita tra operatori. D’altronde il progetto Bul, banda ultra larga, partì proprio dalla Lombardia e proprio sotto la gestione di Raffaele Tiscar.

Uno switch-off morbido e gratuito

Formalmente parlando, con la nuova tecnologia non ci sarà uno switch-off con data unica, ma un superamento del rame, almeno in alcune aree. “Sull’argomento commissioneremo uno studio che daremo al legislatore”, ha spiegato Tiscar. “Un tempo probabile di progressiva disattivazione della vecchia infrastruttura per la migrazione a quella nuova è di 10, 12 anni, e dovrebbe andar bene anche a Telecom”.

Da tempo Telecom ventila la richiesta di un indennizzo per l’eventuale dismissione del rame. Orbene “l’indennizzo non ci sarà, perché la dismissione avverrà via via nelle aree nelle quali il valore di quella rete sarà pari a zero”.

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