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Tassazione: quel nodo fiscale che blocca l’Europa

In questi giorni si parla nuovamente della normativa unica per la fiscalità delle (grandi) aziende in Europa, la Common Consolidated (Corporate) Tax Base, base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società. La CCCTB faceva parte del programma di Jean-Claude Juncker (presidente della Commissione europea) ed ha come obiettivo il bilanciamento tra necessità nazionali e concorrenza internazionale per garantire che i vari aspetti legati alla produzione di reddito siano equamente bilanciati. L’attuale fase di tumultuoso retooling del Vecchio Continente, che sta cambiando ed integrando i processi di base, anche la ridistribuzione del reddito deve andare in questa direzione.

L’idea della tassazione con regole comuni, oltre che ovvia, è quindi abbastanza vecchia, ma è stata rilanciata dopo il nuovo caso Apple, alla quale l’Unione Europea ha chiesto di versare all’Irlanda 13 miliardi di dollari per aiuti di stato sul Vecchio Continente nel periodo 2003-2015. La tassazione imposta dal governo di quel Paese, sostiene Margrethe Vestager, Commissario Eu alla concorrenza, è difforme da quella accettabile fin dal 1991, ma le norme europee permettono di verificare le cose solo fino a dieci anni prima dell’apertura del procedimento, che data 2013. E poiché nel 2015 la mamma degli iPhone ha modificato la sua struttura societaria in maniera opportuna, da quell’anno in poi non è più perseguibile.

Sciocchezza politica?

Apple, nella persona del Ceo Tim Cook, ha definito la storia “total political crap”, una completa sciocchezza politica. L’azienda prepara le carte per la controffensiva, supportata dal governo irlandese, che non ha mai chiesto quei soldi. In cambio ha ottenuto che tutte le attività europee fossero gestite nella cittadina di Cork, che ha trovato nuova linfa grazie a migliaia di posti di lavoro (pare oggi siano 5.500). Finché l’Unione non chiarirà a priori quali accordi siano possibili e quali no, e la modifica delle norme fiscali richiederà l’unanimità dei Paesi membri, non faremo molta strada. E’ questo quindi il nodo centrale da sciogliere perché le azioni possano avere effetto a livello comunitario.
Tornando alla presunta infrazione, le regole dell’Unione europea prevedono che il governo irlandese debba comunque riscuotere la cifra, anche se non la vuole, in attesa del completamento del procedimento. Al più può mettere i soldi in un conto speciale e bloccarli fino ad irrogazione della sentenza.

Sgonfiamenti nazionali

Quei soldi, però, non spettano interamente a quel popolo. La somma finale può essere ridotta se i singoli Stati membri raggiungono con Apple un accordo relativo alla quota di vendite effettuate sul proprio territorio e non pagate. E del discorso potrebbe far parte anche il centro di sviluppo che l’azienda di Cupertino ha recentemente aperto a Napoli, con 600 “posti di lavoro”, giunto dopo l’accordo di fine 2015 con la nostra agenzia delle entrate (880 milioni contestati, 318 versati, proprio per la questione che ha portato ai 13 miliardi). Tramite accordi nazionali, che possiamo immaginare siano da tempo allo studio a Cupertino, quei 13 miliardi potrebbero essere via via sgonfiati, lontano dal clamore mediatico della clamorosa cifra.
Si tratta insomma di un complesso procedimento volto all’identificazione dei profitti nazionali e delle relative tasse, cifre enormi sottratte ai singoli membri dell’Unione europea.

E qui s’innesta il filone che ha probabilmente ispirato Cook nell’uso dell’aggettivo “political”. E’ politica la gestione della polis, e per estensione del territorio, ma Cook sembra aver usato l’aggettivo con connotazione negativa, come lotta illecita degli europei contro gli statunitensi. Ma la Verstager ricorda che il procedimento era stato preceduto da un’audizione dello U.S. Senate Permanent Subcommittee on Investigations (2013), nel quale si sosteneva che grazie agli accordi con l’Irlanda, Apple avesse sottratto alla fiscalità statunitense decine di miliardi di dollari di imposte. Ci chiediamo ora: se questa linea fosse approvata, anche gli Usa potrebbero reclamare parte dei 13 miliardi di Euro?

L’Europa si mette in gioco

Ma torniamo nel Vecchio Continente. Se fosse totalmente politico, il procedimento oggi seguito dalla Verstager non avrebbe sostanza giuridica e quindi prima o poi verrebbe rigettato. Ma la parte politica è essenziale: quanto di questa richiesta dipende dalla Brexit? O meglio, il vero scopo di questa richiesta serve mediaticamente alla Commissione europea per recuperare consenso, togliendo ai ricchi per dare ai poveri, visto che la diseguaglianza fiscale è la prima delle cose che le vengono contestate dai cittadini europei?

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