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Startup: acquisizione non è exit – Il caso IQUII

La notizia è dell’11 luglio: il gruppo Be ha acquisito il 51% della digital company IQUII, specializzata in mobile ed IoT, per 400 mila euro. Il fatturato di IQUII è stato al di sotto del milione di euro nel 2015 (margine Ebitda del 19,1%) e nel 2016 dovrebbe chiudersi a 1,2 milioni di euro.
I manager, Fabio e Mirko Lalli, manterranno la governance operativa. Il progetto di acquisizione prevede una cessione del 29% nel 2021 e del restante 20% nel 2025. Si tratta d’una operazione ben descritta e di grande interesse sia per il movimento delle startup italiane, sia per spiegare i sommovimenti del mercato digitale. Ne abbiamo parlato con Fabio Lalli, Ad ed azionista anche dopo l’acquisizione.

La cessione della maggioranza a 400 mila euro viene vissuta dal movimento come una exit di basso valore.
La nostra non è una exit, bensì un’acquisizione con un piano di sviluppo e poi uscita tra 8 anni: ha un significato molto differente, poiché nei prossimi anni io sarò comunque AD e noi abbiamo ancora il 49%. Sarà exit quando applicheremo completamente il nostro earnout pianificato, capitalizzando. Ergo tra 8 anni.

IQUII ha fatto tante belle cose ed ha perseguito due obiettivi diversi, da media agency, poco startupparo, e App factory, molto startupparo. Con dietro il pivoting continuo. Ma se siete così bravi, perché non avete sfondato?
Cosa significa “sfondare”? Esiste un concetto di sfondare numerico che sia valorizzabile? Noi abbiamo una società, di fatto una società di consulenza, complessa da valutare e molto diversa dal concetto di prodotto. Dal mio punto di vista siamo alla prima fase di crescita di qualcosa che abbiamo costruito. La gente parla, spesso senza sapere nemmeno cosa significa fare un’operazione così. Tutti parlano di startup, ma se vai a vedere la maggior parte non ha fatto nemmeno l’attivazione di una partita Iva. Il mio “sfondare” significa già aver creato qualcosa che ha un valore e che qualcuno è disposto a comprare per farla crescere ancora di più.
Nei prossimi anni io e mio fratello gestiremo una società, nata dal nulla, senza aiuti e senza capitali, ora all’interno di un gruppo, con l’obiettivo di farla diventare una società di consulenza riconosciuta e punto di riferimento nel gruppo e sul mercato digitale, non più solo in Italia ma anche sul mercato internazionale.

C’è anche un problema di evoluzione del mercato?
Il mercato è l’altra cosa da valutare quando si fa una operazione così, ma nessuno si pone domande più giuste e profonde, tipo cosa stia succedendo in questo mercato in cui operiamo. Aggiungo altri elementi sensati. È possibile che la decisione di IQUII sia dettata da un altro pivoting ancora? Lo spostamento sul digitale dei grossi gruppi di consulenza è evidente e da soli i piccoli non possono competere: possibile che la scelta sia di posizionamento strategico? O ancora, è possibile che abbiano valutato che per diventare quello che hanno in mente, abbiano bisogno di network e spalle più grandi? Giro io una domanda: la maggior parte delle startup, sa cosa significa gestire l’ufficio acquisti di una corporate, partecipare ad una gara, gestire anticipo o far funzionare un flusso di cassa che ti permetta di poter esser un gioiello senza dover rincorrere banche, indebitamenti o VC per farsi dare soldi per sopravvivere?

Il 90% delle startup non fa una exit, ma muore.
Per non parlare di quelle che muoiono ancora prima e non partono nemmeno.

Poi tra il 3 per cento e il 3 per mille segue strade diverse ed entra in un mondo diverso.
Il 3% è tanto, eh…

Quel mondo diverso che forse aspetta anche voi, in una futura fase ancora aperta: siete manager ed azionisti dell’azienda.
Ed è proprio questo quello che vorrei la gente capisca. Io sarò AD dell’azienda, e con mio fratello saremmo manager alla guida di una società che deve crescere. Abbiamo accordi che ci vedono al governo dell’azienda per farla crescere insieme al gruppo. Non è una acquisizione per chiudere tutto e portare dentro expertise: si tratta di una acquisizione per creare valore e diversificare ulteriormente il mercato. Si parla di Open Innovation in alcuni casi.

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