Stanca: dal deserto è nata l’amministrazione digitale

Il ministro per l’Innovazione ripercorre il cammino degli ultimi anni, rivendica con passione le scelte fatte, replica ad Assinform e all’opposizione chiede: cosa avete fatto voi per l’innovazione tecnologica?

Mercoledì 19 ottobre alle 10,30 il ministro per l’Innovazione e le Tecnologie
Lucio Stanca con il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni e il
presidente di Promotor International Alfredo Cazzola inagura la 42° edizione di
Smau. 
La fiera milanese è il momento ideale per un bilancio
dell’azione di governo relativamente alle nuove tecnologie. Un bilancio che
Lucio Stanca, in questa intervista non priva di verve polemica, giudica
estremamente positivo.


Con l’avvicinarsi della fine della legislatura è tempo di bilanci.
Recentemente in occasione della relazione sull’e-Government presentata alla
Camera è emersa una certa difficoltà nel raggiungimento dei dieci obbiettivi
della legislatura. Da allora ci sono stati significativi cambiamenti? E quali
sono le cause dei ritardi?


“Ritengo estremamente positivo il bilancio di questa legislatura per quanto attiene all’e-Government, ma anche per tutto quello che è stato fatto per l’alfabetizzazione informatica degli italiani, cioè la diffusione di queste tecnologie nelle famiglie, anche in quelle meno abbienti, i disabili, gli anziani, i giovani e nella scuola. Lo stesso posso dire per le iniziative che abbiamo messo in cantiere per favorire la diffusione dell’innovazione tecnologica nelle imprese.
Non posso non rilevare che nessun Governo in passato aveva fissato obiettivi numerici su questi fronti. Ed invece noi abbiamo voluto sfidarci dandoci obiettivi misurabili e di grande ambizione. Credo che buona parte di questi obiettivi sarà raggiunta o quanto meno sarà molto vicina.

Andando oltre agli aspetti meramente numerici, ci sono anche altre iniziative che qualificano il successo della politica del Governo in questi anni ed in questi settori. Per esempio, l’aver messo in cantiere la più grande infrastruttura telematica del Paese, ossia il Sistema pubblico di connettività (Spc), che collegherà tra loro tutte le amministrazioni pubbliche, centrali e territoriali, statali e locali, in modo omogeneo, sicuro, efficiente ed economico. Come pure l’aver predisposto un moderno quadro normativo, il Codice dell’Amministrazione Digitale, uno dei pochi strumenti del genere esistenti al mondo che punta a rendere questo processo di digitalizzazione più forte, più efficace, più efficiente e, soprattutto, obbligatorio per tutte le Pubbliche amministrazioni.

Insomma, superando la logica degli aspetti quantitativi, seppure essi siano importanti, credo che la politica complessiva, compresa la governance dell’innovazione tra il Governo centrale e le Regioni ed enti locali, abbia compiuto un rilevante passo in avanti e costituisca una grande concreta eredità per la prossima legislatura”.

In una recente analisi sull’e-Government, Accenture riconosce i passi avanti dell’Italia ma pone l’accento sulle carenze in fatto di multicanalità, l’accesso ai servizi non solo tramite il pc ma anche i cellulari. Nel paese dei cellulari pensa sia giusto muoversi anche in questa direzione?

“Sulla multicanalità non posso che essere d’accordo. Ci sono moltissimi esempi di servizi, realizzati soprattutto da enti locali e amministrazione pubbliche, che utilizzano diversi sistemi di connessione, a partire dai cellulari. Noi stessi abbiamo lanciato un bando, che ha avuto molto successo, per l’impiego di una nuova piattaforma: la televisione digitale terrestre, che ha certamente davanti prospettive molto importanti. Anzi, siamo stati il primo Governo in Europa ad avviare l’e-Government sfruttando questa tecnologia. Parlando in termini industriali, questo ha tra l’altro consentito alle imprese del nostro Paese di maturare per prime una specifica conoscenza e preparazione su questa nuova frontiera.

E poi ci sono la rete e i pc. Pertanto sono assolutamente d’accordo con la multicanalità. Come abbiamo sempre detto e sempre operato, infatti, la nostra strategia è stata basata sulla multicanalità”.

Cosa risponde all’opposizione secondo la quale era il caso per l’e-Government di concentrarsi su pochi grandi progetti infrastrutturali invece di dividere le risorse su un gran numero di progetti?

“Non è facile rispondere ad obiezioni non solo generiche ma, oltretutto, mal documentate. Per cui l’unica cosa che possono rispondere all’opposizione è che si chieda che cosa ha fatto quando, nella precedente legislatura, è stata per cinque anni al Governo del Paese? Vale a dire, quando c’era un’onda più forte e favorevole, anche in termini di attenzione da parte dei mass media su tutto quello che riguarda le tecnologie digitali, fino alla bolla speculativa. Stiamo parlando di un periodo in cui era in atto un ciclo economico molto più favorevole di quello attuale e, quindi, con una quantità di risorse maggiore rispetto a quelle ora disponibili nel Bilancio dello Stato.

Cosa hanno fatto i governi di centrosinistra in tema d’innovazione tecnologica per gli italiani, per le famiglie, per la scuola, per la sanità, per le pubbliche amministrazioni, per le imprese, per la diffusione della larga banda? A questa domanda l’opposizione deve saper rispondere prima di fare critiche.
Per quanto riguarda i rilievi specifici, noi ci siamo concentrati sui grandi progetti infrastrutturali, ad esempio l’Spc, ma anche sulla diffusione della Carta Nazionale dei Servizi. Ma nello stesso tempo con grande selettività, anche dal punto di vista della qualità, abbiamo fatto ricorso ai bandi e alla selezione di progetti perché volevamo accelerare il più possibile la disponibilità dei nuovi servizi agli utenti perché, alla fine, tutto questo sforzo deve essere apprezzato e visibile da parte degli utenti, cioè i cittadini e le imprese.

Insomma, credo che abbiamo fatto una politica bilanciata, rivolta sia all’interno della pubblica amministrazione che nei confronti della comunità nazionale”.

In questi ultimi mesi si è parlato spesso di innovazione e numerosi sono stati i finanziamenti proposti dal Governo. Eppure dagli ultimi dati di Assinform emerge una stasi della spesa Ict delle imprese. Secondo lei quello delle imprese è solo un problema di soldi o c’è dell’altro?

“Indubbiamente il settore che ha risposto di meno alle politiche, alle sollecitazioni, agli incentivi e alle diverse iniziative che abbiamo messo in cantiere è stato proprio quello delle imprese ed in particolare di quelle medie, piccole e piccolissime. Credo che sia un problema innanzitutto culturale. Per questo entro la fine del mese di ottobre sarà varato un bando per il ‘Progetto formazione alle imprese’,
approvato nei mesi scorsi dal Comitato dei ministri per la Società dell’informazione, da me presieduto, con una dotazione finanziaria di tre milioni di euro e di cui saranno beneficiarie proprio le organizzazioni nazionali delle imprese. L’iniziativa ha lo scopo di favorire, in collaborazione con questi organismi di categoria, i processi di informazione e acculturamento promuovendo la competitività aziendale attraverso specifici programmi di formazione rivolti agli imprenditori e ai manager delle Pmi sull’uso efficiente delle tecnologie digitali, sull’organizzazione aziendale e qualità, sull’ambiente e risparmio energetico e sull’internazionalizzazione; ma anche di creare e consolidare reti nazionali di supporto alle imprese anche attraverso il coinvolgimento delle associazioni imprenditoriali e delle università.
È, quindi, ben evidente che non è un problema di soldi. Per questo, il Governo ha promosso la costituzione della ‘Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione’, prevista dalla Legge Finanziaria 2006, per consentire il trasferimento di know how tecnologico e della ricerca verso le imprese, soprattutto le medio-piccole, e delle piattaforme produttive promuovendo così la loro integrazione con il sistema della ricerca”.

Crede che il Governo abbia fatto il possibile per sostenere l’innovazione nelle imprese? Assinform, da questo punto di vista, sembra molto scettica.

“Rispetto l’opinione di Assinform e, anzi, la prendo come uno stimolo. Ma, nello stesso tempo, credo che Assinform dovrebbe prima indicare una sola iniziativa fatta negli anni ’90 dai governi precedenti a quello attuale a sostegno dell’innovazione tecnologica e digitale, della diffusione di queste tecnologie nelle imprese italiane in modo mirato e specifico. Io, che ho lavorato per diversi anni in questo settore, non ne ricordo alcuna. Forse l’Assinform mi potrà aiutare a ricordare.

Al di là di questo, credo che abbiamo fatto grossi interventi infrastrutturali, con i due Piani per l’Innovazione digitale nelle imprese, ma anche con interventi come quello che, attraverso due decreti ministeriali, stanzia 630 milioni di euro per favorire la nascita di poli tecnologici e per stimolare l’innovazione di processo oltre a quella di prodotto. È la prima volta che attuiamo un provvedimento così forte e mirato al sostegno dell’innovazione tecnologica digitale nelle imprese con modalità e strumenti anche innovativi. I due decreti si aggiungono ai molti altri varati in questi anni a favore delle aziende e sono un’ulteriore dimostrazione del grande impegno che il governo ha posto per favorire il miglioramento della competitività delle imprese attraverso l’innovazione tecnologica. Entrambi i dispositivi dispongono di una interessante agevolazione finanziaria: il 10% dello stanziamento infatti è a fondo perduto; l’80% è erogato con un credito agevolato (0,5%) dalla Cassa depositi e prestiti e il restante 10% è al tasso ordinario bancario. È inoltre la prima volta che si attua una politica industriale destinando finanziamenti su settori e su progetti individuati dal mercato stesso sulla base delle potenzialità di sviluppo di nuovi prodotti e di competitività sui mercati nazionali ed internazionali. E la risposta che stiamo avendo dalle imprese è di grandissima importanza.

Non solo. È pure stato costituito il Fondo di Garanzia Ict che, con una dotazione di 160 milioni di euro, è in grado di innescare investimenti in innovazione digitale per almeno 3,5 miliardi di euro da parte di oltre 16 mila imprese. Con la garanzia dello Stato e nessun onere per le aziende, sono così state eliminate le barriere d’ingresso al credito per innovazioni basate su investimenti “immateriali” (progetti, formazione e software ecc.), che non costituiscono garanzia reale per i creditori.
Forse si poteva fare di più? Certamente con Assinform dico che si poteva e si dovrà fare di più. Ma sarebbe utile che nel suo giudizio, Assinform desse anche una valutazione delle difficoltà in cui abbiamo operato e, soprattutto, del grande salto di qualità e di quantità che è stato compiuto rispetto ad una politica che aveva una totale disattenzione nei confronti dell’innovazione tecnologica”.

Il compito del suo ministero è di fornire stimoli ai colleghi di governo oppure di giocare un ruolo proprio nel processo di innovazione del Paese?

“È l’una e l’altro. Il compito del mio incarico è di favorire l’innovazione stimolando i colleghi, nell’ambito delle loro responsabilità, competenze e deleghe nelle rispettive amministrazioni, a promuovere l’innovazione nei vari settori, ossia nella scuola, nella sanità, nelle imprese, nella funzione pubblica, etc. E, allo stesso tempo, è quello di giocare un ruolo nel processo d’innovazione del Paese soprattutto con le grandi iniziative. Penso, ad esempio, al turismo a favore del quale stiamo lanciando il Portale nazionale del turismo, una vetrina digitale del patrimonio del nostro paese aperta al mondo; o le iniziative per la logistica”.

Che consigli darebbe al suo successore?

“Consigli è sempre difficile darne. Quando sono arrivato quale primo ministro nella storia della Repubblica italiana ad avere questa responsabilità, ho trovato il deserto. Deserto nel senso pieno e totale del termine. Non c’era nulla, dall’aspetto fisico alla strumentazione, dai dispositivi normativi per poter operare al Dipartimento, che non esisteva, fino al personale. Insomma, sono partito completamente da zero. C’era solo un generico ‘Piano d’Azione di e-Government’, un campo in cui è molto facile scrivere, ma per attuarlo mancava tutta la strumentazione normativa, organizzativa, amministrativa e operativa.

Chiunque mi succederà al ministero di via Isonzo, invece, troverà tutta una serie di realizzazioni, strumenti e progressi, ma anche una conoscenza e una cultura dell’innovazione. Insomma, troverà un processo in corso che va sostenuto e portato avanti nell’interesse del Paese, della sua modernizzazione e della sua competitività”.

Come si è trovato un uomo d’azienda come lei a lavorare nella politica?

“La politica è un mondo totalmente diverso da quello delle imprese. Per taluni aspetti è molto affascinante. Si opera a livello di Sistema Paese con grandi obiettivi. Nello stesso tempo, la complessità del mondo della politica e della Pubblica amministrazione, del processo decisionale richiedono grandi doti di pazienza e di abilità per portare avanti le proprie richieste, le proposte e le proprie politiche. Insomma, sono due mondi che, secondo me, dovrebbero conoscersi di più e, soprattutto, avere una maggiore osmosi in termini non solo di aperture, ma anche di scambio di persone e di esperienze per evitare di avere una lontananza e quindi una diffidenza tra settori.

Dalla
collaborazione tra il mondo della politica e quello delle imprese sicuramente
può nascere un importante concerto di forze a disposizione del Sistema Paese per
dare vita ad una azione complessiva, una massa d’urto necessaria per imprimere
l’indispensabile spinta verso lo sviluppo e la competitività”.

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