Sospensione del rapporto di lavoro

Sospensione del rapporto per cause riferibili al lavoratore In deroga al principio generale valido in materia di obbligazioni – secondo cui l’impossibilità sopravvenuta della prestazione determina l’estinzione del rapporto se …

Sospensione del rapporto per cause riferibili al lavoratore
In deroga al principio generale valido in materia di obbligazioni – secondo cui l’impossibilità sopravvenuta della prestazione determina l’estinzione del rapporto se è totale ovvero se perdura fino a quando il creditore non abbia più interesse all’adempimento (art. 1256 cod. civ.) – nell’ambito del rapporto di lavoro sono previsti dalla legge (e dai contratti collettivi) numerosi casi in cui il venir meno della prestazione del lavoratore non provoca l’estinzione ma la sospensione del rapporto. Il verificarsi delle fattispecie contemplate dalla legge (e dai contratti collettivi) comporta la sospensione totale o parziale dell’obbligazione di lavoro e anche, ma con minor frequenza, la sospensione del corrispondente obbligo retributivo a carico del datore di lavoro.
Si tratta di eventi legati alle condizioni fisiche del lavoratore (malattia, infortunio sul lavoro, maternità, tossicodipendenza e situazione di handicap), allo svolgimento di doveri o funzioni pubbliche (servizio militare, cariche elettive, funzioni elettorali), all’esercizio di diritti del lavoratore in campo sindacale (sciopero, permessi e aspettative per motivi sindacali) o riguardanti la sua sfera personale (congedo matrimoniale, permessi per formazione, studio, per motivi personali).
Le diverse casistiche sono esaminate nei successivi paragrafi. In alcuni casi, come, ad esempio, in presenza di malattia, infortunio sul lavoro o maternità, il lavoratore ha diritto, oltre che alla conservazione del posto entro i limiti temporali stabiliti dalla legge e dal contratto collettivo, ad un trattamento economico, a carico degli enti previdenziali e/o del datore di lavoro commisurato alla retribuzione o ad una sua quota, mentre in altri casi, come ad esempio nell’aspettativa per svolgimento di funzioni pubbliche elettive, ha diritto solo alla conservazione del posto.
Durante i periodi in cui il lavoratore è assente con diritto alla conservazione del posto, il datore di lavoro non può procedere al licenziamento e, in molti casi, continua a decorrere l’anzianità di servizio.
Quando viene meno la causa che ha determinato la sospensione, il rapporto di lavoro riprende normalmente il suo svolgimento con i diritti e gli obblighi relativi per entrambe le parti. Nelle ipotesi di sospensione del rapporto che derivano invece da decisioni dell’impresa in ordine alla riduzione o cessazione di attività la legge prevede, a determinate condizioni, l’intervento dell’Inps per il sostegno dei redditi dei lavoratori sospesi attraverso l’erogazione di integrazioni salariali e di trattamenti in deroga.

Convenzione tra Inps e Inail in materia di competenza assicurativa
Qualora sussistano dubbi circa la competenza assicurativa in relazione alla natura (infortunio, malattia professionale o malattia comune) dell’evento che ha determinato l’assenza del lavoratore, un’apposita convenzione stipulata tra i due enti stabilisce che: – l’Inail ha competenza specifica per l’accertamento del nesso di causalità per le malattie professionali, l’occasione di lavoro e la causa violenta per gli infortuni, nonché la valutazione di ogni altro elemento utile per qualificare l’evento lesivo come professionale;
 – all’Inps compete, nell’ambito della rilevazione degli stati di malattia, l’individuazione dei casi di sospetta competenza Inail, l’eventuale integrazione della documentazione pervenuta, se non già valutata dall’Inail, nonché la valutazione circa l’eventuale grave carenza delle motivazioni di fatto e di diritto di reiezione Inail.
I casi per i quali non venga raggiunta una definizione in sede locale vengono trasmessi, per un esame congiunto, al Collegio regionale che comunica la sua valutazione, entro 60 giorni, alle sedi territoriali di entrambi gli Istituti. Il Collegio non può pronunciarsi sui casi per i quali sia in corso contenzioso amministrativo o giudiziario (convenzione Inps-Inail 25 novembre 2008, Inail circolare n. 38/2009, Inps circolare n. 91/2009).

Infortunio sul lavoro
Nozione – Si considera infortunio, ai fini della tutela assicurativa obbligatoria, ogni evento avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni (art. 2, c. 1, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124).
Secondo consolidati orientamenti giurisprudenziali si deve intendere:
– per “causa violenta”: un fattore esterno, rapido e intenso che arrechi un danno o una lesione all’organismo del lavoratore (Cass. 28.10.2004, n. 20941); la predisposizione morbosa del lavoratore non esclude il nesso causale tra lo stress emotivo e ambientale e l’evento infortunistico (Cass. 23.12.2003, n. 19682). La Cassazione ha fornito recenti chiarimenti circa la nozione attuale di causa violenta, dovendo intendersi per tale qualsiasi fattore presente nell’ambiente di lavoro, in modo esclusivo o in misura significativamente diversa che nell’ambiente esterno, il quale, agendo in maniera concentrata o lenta, provochi (nel primo caso) un infortunio sul lavoro o (nel secondo) una malattia professionale; ha inoltre specificato che la prova del relativo nesso causale deve avere un grado di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’eziopatogenesi professionale, questa può essere ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità, per accertare il quale il giudice deve valutare le conclusioni probabilistiche del consulente, desunte anche da dati epidemiologici (Cass. 26.5.2006, n. 12559);
– per “occasione di lavoro”: la circostanza che l’infortunio sia ricollegabile da un nesso eziologico,
anche se mediato e indiretto, allo svolgimento dell’attività lavorativa (Cass. 18.7.2005, n. 15107).
Rientrano pertanto nella nozione di infortunio tutelabile non solo gli eventi conseguenti al  rischio proprio dell’attività svolta dal lavoratore, o di attività ad essa connessa, accessoria o strumentale (Cass. 5.1.2005, n. 180), ma anche quelli eziologicamente riconducibili al rischio insito nell’ambiente di lavoro, e cioè al rischio determinato dallo spazio delimitato, dal complesso dei lavoratori in esso operanti e dalla presenza di macchine e di altre fonti di pericolo (per la nozione di c.d. rischio improprio, Cass. 5.1.2005, n. 180).
Nel concetto di occasione di lavoro possono rientrare anche infortuni prodotti dal caso fortuito o da cause estranee al lavoro svolto (C.Cost. 16.10.1986, n. 221).
Sono invece esclusi dalla tutela:
– gli infortuni che, pur avvenuti in costanza ed in ambiente di lavoro, si siano verificati in circostanze puramente accidentali, in conseguenza di un rischio generico e comune, salvo che non si accerti che gli stessi sono stati determinati da fattori e circostanze ambientali di natura e caratteristiche tali da determinare un aggravamento quantitativo o qualitativo del rischio generico (Cass. 27.1.2006, n. 1712);
– i sinistri che accadono in situazioni in cui il lavoratore sia venuto a trovarsi per scelta volontaria, diretta a soddisfare impulsi personali che lo inducono ad affrontare rischi, anche sotto il profilo ambientale, diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa (Cass. 14.2.2008, n. 3776; sul limite del c.d. rischio elettivo, cfr. anche Cass. 18.7.2007, n. 15973).
Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso. La Corte di Cassazione ha infatti ribadito, con sentenza dell’8 marzo 2006, n. 4980, che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all’eventuale concorso di colpa del lavoratore.
L’obbligo di prevenzione che la legge pone a carico del datore di lavoro (art. 2087 cod. civ.), inoltre, non è limitato all’osservanza da parte dello stesso di tutti i dispositivi di sicurezza dei singoli macchinari presenti in azienda ma si estende al coordinamento tra gli stessi: in assenza di tale coordinamento, l’eventuale colpa del lavoratore non esclude il nesso causale tra il verificarsi del danno e la responsabilità dell’imprenditore (Cass. 14.2.2005, n. 2930).
L’infezione carbonchiosa e l’evento dannoso derivante da infezione malarica sono considerati infortunio sul lavoro (art. 2, c. 2, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124 e Corte Cost. 4.6.1987, n. 226).

Infortunio in itinere
Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, si considerano infortuni sul lavoro gli eventi dannosi occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione (anche della famiglia del lavoratore, diverso dalla dimora stabilita per motivi di vicinanza al lavoro, purché sia riscontrabile l’inerenza del viaggio all’attività lavorativa: Cass. 8.6.2005, n. 11950) a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti (c.d. infortunio in itinere). L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti (art. 210, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124; sulla nozione di interruzione o deviazione non necessitata, quale limite all’operatività della garanzia assicurativa anche ai sensi dell’art. 12 D.Lgs. n. 38/2008, v. Cass. 18.7.2007, n. 15973 e Cass. 6.7.2007, n. 15266). Sull’esposizione a rischio quale presupposto esclusivo per la configurabilità dell’obbligo assicurativo contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e sull’erronea equiparazione tra breve sosta e interruzione, vedi Corte Cost. 11.1.2005, n. 1, ord., ma già Corte Cost. 6.5.2002, n. 171).
L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato (Cass. 6.10.2004, n. 19940); tuttavia, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale (ord. n. 1 del 10.1.2005) le brevi soste che non espongono l’assicurato ad un rischio diverso da quello che avrebbe dovuto affrontare se il normale percorso casa-lavoro fosse stato compiuto senza soluzione di continuità, non interrompono il nesso causale tra lavoro e infortunio e non escludono l’indennizzabilità dello stesso (Inail nota 24.1.2005). Restano comunque esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida (Cass. 18.3.2004, n. 5525).
L’utilizzo di un mezzo privato si può ritenere necessitato quando o mancano mezzi pubblici (Cass. 3.5.2003, n. 6722) ovvero, pur essendoci, non consentano la puntuale presenza sul luogo di lavoro (ad es. a causa dello sciopero dei mezzi pubblici: Cass. 14.2.2008, n. 3776) o il rientro (per brevità della pausa pranzo: Cass. 10.12.2007, n. 25742) ovvero comportino eccessivo disagio al lavoratore in relazione alle esigenze di vita familiare (Cass. 7.8.2003, n. 11917).

Per quanto riguarda le inabilità derivanti dall’infortunio, la legge considera (art. 74, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124):
inabilità permanente assoluta: la conseguenza di un infortunio che tolga completamente e per tutta la vita l’attitudine al lavoro;
inabilità permanente parziale: la conseguenza di un infortunio che diminuisca in misura superiore al 10% e per tutta la vita l’attitudine al lavoro;
inabilità temporanea assoluta: la conseguenza di un infortunio che impedisca totalmente e di fatto di attendere al lavoro per un determinato periodo.
Malattia professionale
Si considera malattia professionale quella contratta nell’esercizio e a causa della lavorazione alla quale il lavoratore è adibito (art. 3, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124).
Il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, riporta in allegato l’elenco delle malattie professionali (c.d. malattie “tabellate”: cfr. D.M. 14.1.2008, D.M. 9.4.2008 e Inail circ. n. 47/2008) per le quali è obbligatoria l’assicurazione e che, al loro manifestarsi, danno diritto alle prestazioni a carico dell’INAIL (Cass. 3.4.2008, n. 8638: in tal caso, l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale alla patologia sofferta dall’assicurato comporta l’onere dell’Inail di provare una diversa patogenesi della malattia stessa; cfr. anche Cass. 5.9.2006, n. 19047; in generale, su malattia professionale e processo, vedi Cass. 8.3.2007, n. 5299).
Queste comunque spettano anche per malattie non presenti nell’elenco delle quali il lavoratore possa dimostrare la causa lavorativa (art. 10, D.Lgs. n. 38/2000, si veda pure Corte Cost. 10.2.1988, n. 179, che ha introdotto il c.d. sistema misto di tutela delle malattie professionali).
Sull’onere della prova nell’ipotesi di malattie “tabellate”, vedi Cass. 26.7.2004, n. 14023 e sui poteri istruttori d’ufficio del giudice del lavoro, nella suddetta materia, Cass. 12.3.2004, n. 5152.
Secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte, in ipotesi di malattia professionale non “tabellata”, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza (Cass. 1.3.2006, n. 4520) e, se può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie, è necessario comunque che si tratti di “probabilità qualificata” o di “elevato grado” idonea, assieme ad altri elementi, come ad esempio i dati epidemiologici, a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale (Cass. 21.6.2006, n. 14308). Ad esempio è stato affermato che, in ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale – quale il tumore – il nesso di causalità relativo all’origine professionale di essa non può essere oggetto di semplici presunzioni, ma necessita di dimostrazione che può essere data anche in termini probabilistici, purché di “probabilità qualificata”, da verificare attraverso ulteriori elementi idonei a tradurre in certezza giuridica le conclusioni in termini probabilistici del consulente tecnico (Cass. 27.11.2007, n. 24637).
Inoltre, la giurisprudenza ha specificato che in relazione alle malattie pur rientranti nelle tabelle delle malattie professionali, qualora la corrispondente attività lavorativa venga svolta non in modo continuativo ma in maniera episodica ed occasionale, viene meno la presunzione legale di derivazione della malattia dalla esposizione al rischio e l’onere della prova della riconducibilità della malattia all’attività professionale svolta grava sul lavoratore (Cass. 10.3.2004, n. 4927).
Alle malattie professionali si applica generalmente, salvo specifiche disposizioni, la disciplina prevista per gli infortuni sul lavoro (art. 3, c. 2, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124).
In ogni caso, nell’azione di risarcimento del danno proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro per aver contratto una malattia nello svolgimento del servizio, spetta al lavoratore l’onere di provare il nesso di causalità tra l’attività professionale e la malattia contratta, senza che operi alcuna presunzione di nesso eziologico (Cass. 7.5.2008, n. 11144). Il termine di prescrizione – decennale, ove il lavoratore esperisca l’azione contrattuale: Cass. 11.9.2007, n. 19022 – dell’azione del lavoratore nei confronti del datore di lavoro per ottenere il risarcimento dei danni derivanti da patologie insorte a causa delle sostanze nocive presenti nell’ambiente di lavoro inizia a decorrere dal momento in cui era oggettivamente possibile conoscere l’eziologia professionale della malattia, senza che abbia rilievo il grado di conoscenza e di cultura del soggetto interessato dalla malattia (Cass. 18.9.2007, n. 19355).

Mobbing
Rientrano nella nozione di malattia professionale quelle malattie psichiche e psicosomatiche da stress e disagio lavorativo riconducibili al cosiddetto mobbing. Tali disturbi possono tuttavia essere considerati di origine professionale esclusivamente se causati, o concausati in modo prevalente, da specifiche e particolari condizioni dell’attività e dell’organizzazione del lavoro, come nei casi di “costrittività organizzativa” (es.: marginalizzazione dell’attività lavorativa; svuotamento delle mansioni; mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata; ecc.) ovvero di “mobbing strategico” (azioni finalizzate ad allontanare o emarginare il lavoratore: in proposito, vedi circolare INAIL n. 71/2003, il D.M. 27.4.2004 e la sentenza del T.A.R. del Lazio 4.7.2005, n. 5454, che ha annullato, per contrasto con l’art. 10 del D.Lgs. n. 38/2000, la predetta circolare. Sui connotati della condotta datoriale idonei ad integrare l’illecito di mobbing, vedi da ultimo Cass. 6.3.2006, n. 4774). In giurisprudenza, ad esempio, è stato ritenuto riconducibile al mobbing il comportamento del datore di lavoro che si traduca in disposizioni gerarchiche vincolanti, rivolte al dipendente, al fine di indurlo a compiere atti contrari alla legge, potendo detto comportamento integrare la violazione del dovere di tutelare la personalità morale del lavoratore, imposto al datore di lavoro dall’art. 2087 cod. civ. (Cass. 8.11.2002, n. 15749). Nel senso che la responsabilità del comportamento “mobbizzante” tenuto da un dirigente nei confronti di un dipendente grava sul datore di lavoro per non averlo prevenuto, in base all’art. 2087 cod. civ. (Cass 25.5.2006, n. 12445) e, con riferimento al lavoratore “mobbizzato” dai suoi colleghi, con riferimento anche ai principi di cui agli artt. 117, c. 2, 2 e 3, c. 1, Cost., con particolare riguardo alla salvaguardia sul luogo di lavoro della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore, vedi Cass. 23.3.2005, n. 6326.
Al cospetto di una pluralità di episodi illeciti integranti condotta di mobbing, ciascuno dei quali fonda autonomo diritto al risarcimento del danno, il termine di prescrizione di ciascun diritto inizia a decorrere dal momento in cui la produzione del danno si manifesti all’esterno, divenendo percepibile e riconoscibile (Cass. 20.7.2007, n. 16148).

Periodo di comporto Il lavoratore infortunato ha diritto alla conservazione del posto per il tempo previsto dalla legge o dai contratti collettivi.
L’art. 6, R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1825, riconosce ai lavoratori con qualifica di impiegato i seguenti periodi di comporto:
– 3 mesi, per anzianità di servizio non superiore a dieci anni;
– 6 mesi, per anzianità di servizio superiori. Maggiori durate sono generalmente previste dai contratti collettivi di categoria, sia per gli impiegati che per gli operai. Al lavoratore spetta inoltre, durante l’assenza, un trattamento economico nella misura stabilita dalle leggi, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità (art. 2110, c. 1, cod. civ.). Durante il periodo di comporto il lavoratore non può essere licenziato; il periodo di assenza deve essere inoltre computato nell’anzianità di servizio (art. 2110, c. 3, cod. civ.).
Superato il periodo massimo di conservazione del posto, ciascuna delle parti può recedere dal rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2118 cod. civ.

Obblighi del datore di lavoro Il datore di lavoro deve denunciare alla sede circoscrizionale 30.6.1965, n. 1124). La denuncia può essere presentata direttamente all’INAIL o, alternativamente, inviata via internet o con raccomandata. La denuncia deve essere inviata all’INAIL per telegramma o via fax entro 24 ore, se l’infortunio ha avuto esito mortale o se sussiste pericolo di morte.
Qualora, invece, l’inabilità per un infortunio pronosticato guaribile entro tre giorni si prolunghi al quarto, il termine per la denuncia decorre dal quarto giorno.
La denuncia deve essere redatta sul modello predisposto dall’INAIL, con indicazione delle generalità del lavoratore infortunato, del giorno e dell’ora in cui è avvenuto l’infortunio, delle cause e circostanze di esso, della natura e della precisa sede anatomica della lesione, del rapporto con le cause denunciate e di eventuali alterazioni preesistenti.
Alla denuncia deve essere allegato il certificato medico; in caso di denuncia per via telematica, il certificato deve essere inviato all’INAIL solo su richiesta dell’istituto nell’ipotesi in cui non sia stato inviato dal lavoratore o dal medico che ha certificato l’evento (M.L. 15.7.2005; INAIL, circ. 11.10.2005, n. 44).
La competenza a trattare la denuncia è attribuita alla sede INAIL nel cui ambito territoriale l’assicurato ha stabilito il proprio domicilio; la sede che riceve la denuncia provvede all’inoltro a quella competente in base a tale criterio. Particolari disposizioni sono previste per la denuncia degli infortuni in agricoltura (art. 38, D.Lgs. 23.2.2000, n. 38).
Altri adempimenti
Il datore di lavoro ha altresì l’obbligo di denunciare entro due giorni all’Autorità di pubblica sicurezza del Comune in cui è avvenuto, ogni infortunio da cui sia derivata la morte o una prognosi superiore a tre giorni, allegando il certificato medico (art. 54, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124).
La denuncia delle malattie professionali deve avvenire entro i cinque giorni successivi a quello nel quale il prestatore d’opera ha fatto denuncia al datore di lavoro della manifestazione della malattia, corredata dal certificato medico; l’obbligo di trasmettere all’Inail la denuncia resta a carico del datore di lavoro anche nel caso in cui il lavoratore abbia presentato il certificato medico direttamente all’ufficio assistenziale (ML risposta a interpello n. 5/2009). Non è necessaria la denuncia all’Autorità di pubblica sicurezza. A seguito della denuncia di malattia professionale da parte del datore di lavoro, il medico deve redigere un certificato contenente, oltre l’indicazione del domicilio dell’ammalato e del luogo dove questi si trova ricoverato, una relazione particolareggiata della sintomatologia accusata dall’ammalato stesso e di quella rilevata dal medico certificatore. I medici certificatori hanno l’obbligo di fornire all’Istituto tutte le notizie che esso reputi necessarie (art. 53, c. 5, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124).

Comunicazione a fini statistici
L’art. 18, c. 1, lett. r), D.Lgs. n. 81/2008, come sostituito dall’art. 13, D.Lgs. n. 106/2009, prevede a carico del datore di lavoro l’obbligo di comunicazione all’Inail, in via telematica, entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, dei dati relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento.
L’obbligo di comunicazione non è ancora operativo in quanto entrerà in vigore sei mesi dopo l’adozione del decreto ministeriale che stabilirà le regole tecniche per la realizzazione ed il funzionamento del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (art. 18, c. 1 bis, D.Lgs. n. 81/2008; ML circolare n. 17/2009).

Obblighi del lavoratore Il lavoratore è obbligato a dare immediata notizia di qualsiasi infortunio che gli accada, anche se di lieve entità, al proprio datore di lavoro (art. 52, c. 1, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124).
L’omessa informativa al datore di lavoro, che per questo motivo denuncia in ritardo l’infortunio all’INAIL, comporta per il lavoratore la perdita dell’indennità per i giorni antecedenti a quello in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell’infortunio.
La denuncia della malattia professionale deve essere fatta dal lavoratore assicurato al datore di lavoro entro 15 giorni dalla manifestazione; in mancanza il lavoratore decade dal diritto ad indennizzo per il tempo antecedente la denuncia.
Il lavoratore ha l’obbligo di rendersi reperibile in determinate fasce orarie, come in caso di malattia (Cass. 9.11.2002, n. 15773).
Trattamento economico Quando l’infortunio sul lavoro o la malattia professionale determinano uno stato di inabilità temporanea assoluta al lavoro, è previsto l’obbligo per il datore di lavoro di erogare la retribuzione per i primi quattro giorni e per l’INAIL di corrispondere un’indennità per il periodo successivo.
In particolare, ai sensi dell’art. 73, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, salvo condizioni di miglior favore previste dai contratti collettivi, il datore di lavoro è obbligato a corrispondere al lavoratore infortunato l’intera retribuzione per la giornata nella quale è avvenuto l’infortunio e il 60% della stessa per i 3 giorni successivi all’infortunio.
L’obbligo sussiste anche nei casi in cui la guarigione avvenga entro il periodo di carenza.
Per le giornate di festività che cadono nel periodo di assenza è previsto il seguente trattamento a carico del datore di lavoro:
– 100% della retribuzione per i 3 giorni successivi all’infortunio;
– integrazione fino al 100% della retribuzione per tutto il periodo indennizzato dall’INAIL.
Dal quarto giorno successivo a quello in cui è avvenuto l’infortunio o si è manifestata la malattia professionale l’INAIL corrisponde al lavoratore un’indennità nelle seguenti misure (art. 68, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124):
– dal 4° al 90° giorno: 60% della retribuzione;
– dal 91° giorno: 75% della retribuzione.

Retribuzione media giornaliera
La retribuzione giornaliera di riferimento è quella media percepita negli ultimi 15 giorni precedenti l’evento e si determina sommando:
 – per gli operai retribuiti in relazione alle ore di lavoro prestate: (a) quota oraria della normale retribuzione percepita nei 15 giorni precedenti l’infortunio x 1/6 dell’orario settimanale; (b) compenso medio orario per lavoro straordinario percepito nei 15 giorni precedenti l’infortunio x 1/6 dell’orario settimanale; (c) rateo ferie ricavato applicando alla quota (a) la percentuale risultante dal rapporto (n. giorni di ferie + n. giorni di riposo contrattuali) x 100/300; (d) rateo festività e mensilità aggiuntive ricavati applicando alla quota (a) le percentuali rispettivamente del 3,33% (fissa) e dell’8,33% (per ciascuna mensilità aggiuntiva);
 – per gli impiegati: (a) 1/25 della retribuzione normale mensile; (b) 1/25 del compenso medio giornaliero per lavoro straordinario percepito nel mese precedente; (c) rateo ferie ricavato applicando alla quota (a) la percentuale risultante dal rapporto (numero giorni di ferie + numero giorni di riposo contrattuali) x 100/300; (d) rateo festività e mensilità aggiuntive ricavati applicando alla  quota (a) le percentuali rispettivamente del 3,33% (fissa) e dell’8,33% (per ciascuna mensilità aggiuntiva).

Le indennità per inabilità temporanea sono corrisposte fino a guarigione clinica e pagate in via posticipata dall’Istituto. Se l’INAIL chiede al datore di lavoro di anticipare l’indennità per suo conto, questi non può rifiutarsi (art. 70, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124). L’indennità viene successivamente rimborsata al datore di lavoro (alla fine di ogni mese) salvo diversa convenzione.
Integrazione a carico del datore di lavoro
I contratti collettivi pongono generalmente a carico dei datori di lavoro l’obbligo di integrare per un determinato periodo l’indennità corrisposta dall’INAIL.
In genere il trattamento economico e la durata della sua corresponsione sono graduati in relazione all’anzianità di servizio del lavoratore.
I contratti prevedono quasi sempre per il datore di lavoro l’obbligo di anticipare l’indennità a carico dell’Istituto.

Danno biologico
Dall’infortunio o dalla malattia professionale può derivare al lavoratore anche il cosiddetto danno biologico. Si definisce danno biologico la lesione all’integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato (art. 13, D.Lgs. 23.2.2000, n. 38). L’art. 13 cit. ha esteso la copertura assicurativa obbligatoria al danno biologico (Cass. 11.4.2006, n. 8386).
Le menomazioni conseguenti alle lesioni dell’integrità psico-fisica sono valutate in base a specifica “tabella delle menomazioni”, comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali. L’indennizzo delle menomazioni di grado pari o superiore al 6% e inferiore al 16% è erogato in capitale (per un’ampia disamina v. Cass. 13.5.2008, n. 11940), dal 16% è erogato in rendita. Per le menomazioni di grado pari o superiore al 16% spetta inoltre un’altra quota di rendita per l’indennizzo delle conseguenze che hanno comportato. La giurisprudenza ha chiarito che, ai sensi dell’art. 13, commi 2 e 8, L. n. 30/2000, nel procedere alla liquidazione all’assicurato del danno biologico in capitale nel caso di lesioni dell’integrità psicofisica di grado intercorrente tra il sei ed il sedici per cento, si deve fare riferimento alla situazione esistente non prima di sei mesi e non oltre un anno dal momento in cui è pervenuto all’Inail il certificato medico attestante l’avvenuta stabilizzazione dei postumi. Ove peraltro si tratti di malattie professionali che siano soggette a periodi di acuzie ed a periodi di regressione, nella determinazione del danno occorre tener conto della frequenza e della durata delle varie fasi di maggiore e minore intensità del danno e dell’entità degli effetti dannosi riscontrabili nel corso di dette fasi (Cass. 16.10.2007, n. 21603).

Sanzioni


Fonti – D.P.R. 30.6.1965, n. 1124; D.Lgs. 23.2.2000, n. 38; D.M. 12.7.2000; D.M. 29.5.2000;
D.M. 27.4.2004

 

(per maggiori approfondimenti vedi Manuale lavoro, Novecento Media)

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