Sospensione del rapporto di lavoro VI

Congedo matrimoniale La legge riconosceva ai soli impiegati dipendenti da aziende pubbliche e da datori di lavoro privati il diritto ad un congedo retribuito in occasione del matrimonio (R.D.L. 24 giugno 1937, n. 1334). Per gli operai dipendenti da azi …

Congedo matrimoniale

La legge riconosceva ai soli impiegati dipendenti da aziende pubbliche e da datori di lavoro privati il diritto ad un congedo retribuito in occasione del matrimonio (R.D.L. 24 giugno 1937, n. 1334).
Per gli operai dipendenti da aziende industriali, artigiane e cooperative, invece, tale diritto era stato previsto dal contratto collettivo interconfederale del 31 maggio 1941.
Successivamente sulla materia sono intervenuti, ad integrazione delle fonti suindicate, i contratti collettivi di categoria.
I contratti collettivi riconoscono il diritto al congedo matrimoniale sia agli operai che agli impiegati, equiparandoli ai fini del trattamento economico e normativo, ed escludendo, generalmente, solo i lavoratori in prova.
Le disposizioni contenute nel R.D.L. n. 1334/1937, di seguito illustrate, sono state abrogate a decorrere dal 16 dicembre 2010 per effetto dell’art. 1, D.Lgs. n. 212/2010.
Durata
Il R.D.L. 24 giugno 1937, n. 1334 prevede che per gli impiegati il congedo abbia una durata non superiore a 15 giorni.
Ai sensi del contratto collettivo interconfederale 31 maggio 1941 per gli operai dipendenti da aziende industriali, artigiane e cooperative, la durata del congedo non può essere inferiore a 8 giorni consecutivi.
La richiesta di congedo deve essere avanzata dal lavoratore con un preavviso di almeno 6 giorni dal suo inizio, salvo casi eccezionali.
Qualora per necessità inerenti alla produzione non sia possibile in tutto o in parte il godimento del congedo all’epoca del matrimonio, lo stesso dovrà essere concesso o completato non oltre il termine di 30 giorni successivi al matrimonio.
Il congedo spetta ai lavoratori il cui rapporto di lavoro dura almeno da una settimana, non può essere computato in conto ferie né considerato quale periodo di preavviso di licenziamento.
I contratti collettivi integrano la disciplina legale e interconfederale, riconoscendo a impiegati e operai il diritto ad un congedo retribuito non inferiore a 15 giorni, consecutivi o di calendario.
Decorrenza
In assenza di indicazioni puntuali ricavabili dal contratto collettivo applicato, sembra ragionevole ritenere che il giorno iniziale del congedo non debba necessariamente coincidere con la data della cerimonia e che le parti possano perciò concordare una decorrenza diversa, sia anticipando che posticipando l’inizio del congedo rispetto al giorno della celebrazione. Tale spostamento deve risultare comunque contenuto nel tempo, in quanto il periodo di congedo resta funzionalmente collegato all’evento che ne giustifica la fruizione.
Il criterio interpretativo sopra prospettato trova conferma nell’orientamento manifestato dalla più recente giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Milano 31 gennaio 2005 e Trib. Napoli 27 febbraio 2008).
Trattamento economico
Impiegati: durante il congedo matrimoniale l’impiegato è considerato ad ogni effetto in attività di servizio e ha diritto alla normale retribuzione. L’onere relativo è a carico del datore di lavoro.
Operai: agli operai delle aziende industriali, artigiane e cooperative viene corrisposto un assegno a carico della Cassa unica per gli assegni familiari, a condizione che il congedo venga effettivamente fruito.
In ogni caso l’assegno deve essere corrisposto:
– ad entrambi i coniugi, quando l’uno e l’altro ne abbiano diritto;
– al lavoratore assente dal servizio per giustificato motivo (malattia, sospensione dal lavoro, richiamo alle armi ecc.);
– alla lavoratrice che si dimette per contrarre matrimonio.
Ai lavoratori a tempo parziale l’assegno spetta solo per i giorni di congedo che coincidano con quelli nei quali sia contrattualmente prevista la prestazione di attività lavorativa.
Al lavoratore extracomunitario legalmente residente in Italia che contragga matrimonio all’estero spetta l’assegno per congedo matrimoniale se risulti anche in Italia l’acquisizione dello stato di coniugato.

Determinazione dell’assegno
L’assegno è calcolato:
– per i lavoratori retribuiti a periodi superiori alla settimana: moltiplicando per sette il guadagno medio giornaliero corrisposto nell’ultimo periodo di paga;
– per i lavoratori retribuiti a settimana: moltiplicando per sette il guadagno medio giornaliero corrisposto negli ultimi due periodi di paga che precedono l’inizio del congedo.
Se in tale periodo il lavoratore è rimasto assente per malattia, infortunio, sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, si considera la retribuzione che sarebbe spettata in caso di normale prestazione.
Per i lavoratori a domicilio l’importo dell’assegno si determina moltiplicando per 6 il guadagno medio giornaliero realizzato nell’ultimo periodo di commessa precedente l’inizio del congedo.

Il datore di lavoro è tenuto ad anticipare l’assegno per conto dell’INPS e ad integrarlo a suo carico per gli ulteriori giorni riconosciuti dal contratto collettivo e non indennizzati dall’Istituto.
Per gli operai dei settori del commercio e professioni, il datore di lavoro deve sostenere gli stessi oneri che sostiene per gli impiegati.
La celebrazione del matrimonio deve essere documentata dal lavoratore entro i 30 giorni successivi.

Altri casi di assenza

Permessi e aspettative per motivi personali
Permessi retribuiti per infermità o lutto familiare
Tutti i lavoratori subordinati hanno diritto a 3 giorni complessivi di permesso retribuito all’anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge, anche legalmente separato, o di un parente entro il secondo grado, anche non convivente, o di un soggetto componente la famiglia anagrafica (art. 4, c. 1, L. 8 marzo 2000, n. 53 e relativo regolamento di attuazione D.M. 21 luglio 2000, n. 278).
Per fruire del permesso, l’interessato deve comunicare preventivamente al datore di lavoro l’evento che dà titolo al permesso medesimo e i giorni nei quali sarà utilizzato. I giorni di permesso devono essere utilizzati entro 7 giorni dal decesso o dall’accertamento dell’insorgenza della grave infermità o della necessità di provvedere a conseguenti specifici interventi terapeutici.
Nei giorni di permesso non si considerano i giorni festivi e quelli non lavorativi.
Nel caso di richiesta del permesso per grave infermità dei soggetti indicati, il lavoratore deve presentare, entro cinque giorni dalla ripresa dell’attività lavorativa, idonea documentazione del medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato o del medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta o della struttura sanitaria nel caso di ricovero o intervento chirurgico.
Nel caso di richiesta del permesso per decesso, il lavoratore è tenuto a documentare detto evento con la relativa certificazione, ovvero, nei casi consentiti, con dichiarazione sostitutiva.
Nel caso di grave infermità, in alternativa all’utilizzo dei 3 giorni di permesso, il lavoratore può concordare con il datore di lavoro diverse modalità di espletamento dell’attività lavorativa, anche per periodi superiori a 3 giorni. L’accordo deve essere stipulato per iscritto e le modalità di fruizione dei permessi devono comportare una riduzione dell’orario di lavoro complessivamente non inferiore ai giorni di permesso che vengono sostituiti.
I permessi in parola sono cumulabili con quelli spettanti per l’assistenza delle persone handicappate ai sensi dell’art. 33, L. 5 febbraio 1992, n. 104.
Alcuni contratti collettivi prevedono una disciplina di maggior favore mediante attribuzione di un numero di giorni di permesso maggiore quando si verificano gli eventi suindicati e la concessione di altri permessi in occasione di particolari eventi (es. nascita di un figlio, donazione di midollo osseo, ecc.).
Permessi non retribuiti
La contrattazione collettiva di categoria prevede generalmente la possibilità per il lavoratore di fruire di permessi non retribuiti a fronte di documentate necessità personali, da recuperare con le modalità previste nei contratti stessi.
Nell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva preveda la concessione al lavoratore di permessi non retribuiti per giustificati motivi, compatibilmente con esigenze di servizio è legittimo il rifiuto opposto dal datore di lavoro alla richiesta di permesso formulata senza l’indicazione di tali motivi: nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto legittima la sanzione disciplinare inflitta al dipenente assentatosi dal posto di lavoro dopo il rifiuto della concessione del permesso richiesto genericamente per “motivi personali” (Cass. 11 luglio 1992, n. 8422).
Aspettative per gravi motivi
Il lavoratore può ottenere dall’azienda la concessione di un periodo di congedo, continuativo o frazionato, complessivamente non superiore a 2 anni nell’arco della vita lavorativa, per gravi motivi relativi alla situazione personale, della propria famiglia anagrafica, dei soggetti di cui all’art. 433 cod. civ. (coniuge, figli e loro discendenti prossimi, genitori o in mancanza ascendenti prossimi, generi e nuore, suoceri, fratelli e sorelle) anche se non conviventi, nonché dei portatori di handicap, parenti o affini entro il 3° grado, anche se non conviventi (art. 4, c. 2, L. 8 marzo 2000, n. 53 e relativo regolamento di attuazione D.M. 21 luglio 2000, n. 278).
Per gravi motivi si intendono:
– le necessità familiari derivanti dal decesso di una delle persone suindicate;
– le situazioni che comportano un impegno particolare del dipendente o della propria famiglia nella cura o nell’assistenza delle persone suindicate;
– le situazioni di grave disagio personale, esclusa la malattia, nelle quali incorra il dipendente medesimo;
– le situazioni, riferite ai soggetti di cui sopra, ad esclusione del richiedente, derivanti da: 1)  patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell’autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche; 2) patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali; 3) patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario; 4) patologie dell’infanzia e dell’età evolutiva aventi le caratteristiche di cui ai numeri precedenti numeri o per le quali il programma terapeutico e riabilitativo richiede il coinvolgimento dei genitori (art. 2, lett. d, D.M. n. 278/2000).
Il congedo può essere richiesto anche per il decesso del coniuge o di un parente entro il secondo grado, anche non convivente, o di un soggetto componente la famiglia anagrafica del dipendente per il quale il richiedente non abbia la possibilità di utilizzare permessi retribuiti nello stesso anno.
L’eventuale diniego, la proposta di rinvio ad un periodo successivo, la concessione parziale del congedo da parte del datore di lavoro devono essere motivati. Su richiesta del lavoratore la domanda deve essere riesaminata nei successivi venti giorni.
I periodi di congedo per gravi motivi familiari non sono retribuiti e non sono considerati utili ai fini dell’anzianità di servizio.
E’ vietato lo svolgimento di attività lavorativa presso terzi durante il godimento del congedo.
Il datore di lavoro è tenuto a rilasciare al termine del rapporto di lavoro l’attestazione del periodo di congedo fruito. Il limite dei due anni si computa secondo il calendario comune; si calcolano i giorni festivi e non lavorativi compresi nel periodo di congedo; le frazioni inferiori al mese si sommano tra loro e si considera raggiunto il mese quando la somma delle frazioni corrisponde a trenta giorni.
E’ rimessa alla contrattazione collettiva la disciplina del procedimento per la richiesta e per la concessione, anche parziale o dilazionata nel tempo, o il diniego del congedo.
In caso di rapporti di lavoro a tempo determinato il datore di lavoro può negare il congedo:
– per incompatibilità con la durata del rapporto in relazione al periodo di congedo richiesto;
– quando i congedi già concessi hanno superato i tre giorni nel corso del rapporto;
– quando il rapporto è stato instaurato in ragione della sostituzione di altro dipendente in congedo.
Il lavoratore ha diritto a rientrare nel posto di lavoro anche prima del termine del congedo, dandone preventiva comunicazione al datore di lavoro, a meno che non sia stata fissata preventivamente una durata minima del congedo stesso.
Tutte le richieste di congedo devono essere opportunamente documentate e corredate di certificazione medica rilasciata dalle strutture ospedaliere e dalle ASL (art. 3, D.M. 21 luglio 2000, n. 278; M.L., interpello 10 giugno 2008, n. 16; M.L., nota 25 novembre 2008, n. 16754). Il datore di lavoro deve comunicare alla Direzione provinciale del lavoro – Servizio ispezione del lavoro, entro 5 giorni dalla concessione del congedo per gravi motivi familiari, l’elenco dei dipendenti che fruiscono di tale congedo.

Frequenza a corsi di studio
I lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, parificate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario durante i riposi settimanali (art. 10, L. 20 maggio 1970, n. 300).
Lo stesso trattamento spetta a coloro che frequentano i corsi professionali di cui alla L. 21 dicembre 1978, n. 845.
I contratti collettivi generalmente integrano la disciplina legale in modo più favorevole ai lavoratori prevedendo la concessione di un numero di ore (di solito non inferiori a 150 in un triennio) a carico di un monte ore costituito a livello aziendale per la frequenza a corsi miranti al miglioramento della propria preparazione, anche in relazione all’attività aziendale.
I contratti collettivi stabiliscono altresì le percentuali di lavoratori che possono contemporaneamente assentarsi per l’esercizio del diritto allo studio.
Il datore di lavoro può richiedere la produzione delle certificazioni necessarie all’esercizio del diritto.

Permessi per esami
I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti (art. 10, L. 20 maggio 1970, n. 300). Tale diritto è esteso anche a coloro che frequentano i corsi professionali di cui alla L. 21 dicembre 1978, n. 845.
Secondo la giurisprudenza i permessi in questione spettano a tutti gli studenti che intendano conseguire titoli di studio riconosciuti dall’ordinamento giuridico statale (Cass. 25 ottobre 2005, n. 20658).
Alcuni contratti collettivi integrano la disciplina legale prevedendo la concessione di ulteriori permessi (retribuiti e non) per la preparazione degli esami.
Il datore di lavoro può richiedere la produzione delle certificazioni necessarie all’esercizio del diritto.
La Corte Suprema ha avuto occasione di affermare che nelle ipotesi in cui il contratto collettivo riconosca il diritto a permessi retribuiti per motivi di studio anche per il tempo strettamente necessario per recarsi a scuola dal luogo di lavoro, è correttamente motivata l’interpretazione del giudice di merito che ha ritenuto la disciplina contrattuale indicativa dell’intento delle parti stipulanti di riferirsi a corsi di studio interferenti con l’orario di lavoro e di contenere la durata del permesso al tempo strettamente necessario per tale spostamento, e non a quello maggiore occorrente per soddisfare esigenze di comodità del lavoratore (Cass. 5 marzo 1993, n. 2701).

Partecipazione ad attività formative
Congedi per la formazione continua

L’art. 6, L. 8 marzo 2000, n. 53, riconosce ai lavoratori, occupati e non occupati, il diritto di proseguire i percorsi di formazione per tutto l’arco della vita, per accrescere conoscenze e competenze professionali.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali assicurano un’offerta formativa articolata sul territorio secondo le disposizioni di cui alla L. 24 giugno 1997, n. 196. L’offerta formativa deve consentire percorsi personalizzati, certificati e riconosciuti come crediti formativi in ambito nazionale ed europeo. La formazione può corrispondere ad autonoma scelta del lavoratore o essere predisposta dall’azienda, attraverso piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti sociali e finanziati attraverso il fondo interprofessionale per la formazione previsto dalla legge citata.
L’individuazione del monte ore da destinare alla formazione continua, dei criteri per l’individuazione dei lavoratori e delle modalità di orario e retribuzione connesse alla partecipazione ai percorsi di formazione è demandata alla contrattazione collettiva di categoria.
Il lavoratore può chiedere un’anticipazione del trattamento di fine rapporto per le spese da sostenere durante il godimento del congedo (art. 7, L. 8 marzo 2000, n. 53); secondo la giurisprudenza di merito, tale disposizione, prevedendo espressamente ipotesi diverse da quelle di cui all’art. 2120 cod. civ., non richiederebbe il requisito degli otto anni di anzianità per fruire degli anticipi per congedi formativi.
Congedi per la formazione extralavorativa
Ferme restando le disposizioni relative al diritto allo studio di cui all’art. 10, L. 20 maggio 1970, n. 300 (vedi sopra), i lavoratori con almeno 5 anni di anzianità di servizio presso la stessa azienda, possono richiedere una sospensione del rapporto di lavoro per un periodo non superiore ad 11 mesi, continuativo o frazionato, nell’arco dell’intera vita lavorativa (art. 5, L. 8 marzo 2000, n. 53).
Il congedo deve essere utilizzato per il completamento della scuola dell’obbligo, per il conseguimento del titolo di studio di secondo grado, del diploma universitario o di laurea, per la partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro.
Durante il congedo spetta la conservazione del posto, non spetta la retribuzione e non matura l’anzianità di servizio.
Il congedo – che non è cumulabile con ferie, malattia e altri congedi – resta interrotto nel caso di grave e documentata infermità.
Il datore di lavoro può non accogliere la richiesta di congedo per la formazione o differirne l’accoglimento nel caso di comprovate esigenze organizzative.
Spetta alla contrattazione collettiva prevedere le modalità di fruizione del congedo, individuare le percentuali massime dei lavoratori che possono avvalersene, disciplinare le ipotesi di differimento o di diniego all’esercizio di tale facoltà e fissare i termini del preavviso, che comunque non può essere inferiore a trenta giorni.
Il lavoratore può chiedere un’anticipazione del trattamento di fine rapporto per le spese da sostenere durante il godimento del congedo (art. 7, L. 8 marzo 2000, n. 53).

Donatori di sangue e di midollo osseo
Donatori di sangue

I lavoratori che cedono il loro sangue gratuitamente hanno diritto ad astenersi dal lavoro per l’intera giornata lavorativa in cui effettuano la donazione ed alla corresponsione della normale retribuzione.
Il quantitativo minimo di sangue deve essere pari almeno a 250 grammi ed essere prelevato presso un centro di raccolta o un centro trasfusionale autorizzato dal Ministero della sanità.
La giornata di riposo viene computata in 24 ore a partire dal momento in cui il lavoratore si è assentato dal lavoro per il prelievo.
La retribuzione per la giornata di riposo per i lavoratori retribuiti non in misura fissa è determinata con gli stessi criteri previsti per le festività nazionali mentre per i lavoratori retribuiti in misura fissa mensile o settimanale si ottiene dividendo la retribuzione fissa rispettivamente per 26 e 6 (art. 4, D.M. 8 aprile 1968).
La retribuzione spetta a tutti i lavoratori subordinati, anche se non beneficiano dell’indennità di malattia a carico INPS, e viene erogata dal datore di lavoro che può chiederne il rimborso all’Istituto.
Donatori di midollo osseo
I lavoratori, iscritti nel Registro nazionale dei donatori di midollo osseo, che si sottopongono al prelievo a scopo di trapianto hanno diritto a permessi retribuiti per il tempo necessario:
– ai prelievi finalizzati all’individuazione dei dati genetici ed a quelli relativi all’approfondimento della compatibilità con i pazienti in attesa di trapianto;
– all’accertamento all’idoneità alla donazione;
– al prelievo di sangue midollare ed al successivo ripristino dello stato fisico del donatore, secondo quanto certificato dalla struttura ospedaliera che ha effettuato l’intervento.
L’indennità spettante al donatore per le assenze (giornaliere e/o orarie) correlate alla procedura di donazione deve essere equivalente alla “normale retribuzione”, ossia alla retribuzione che gli sarebbe stata corrisposta qualora avesse prestato la normale attività lavorativa (Inps, circ. n. 97/2006).
In particolare l’indennità deve essere corrisposta per le giornate di degenza necessarie al prelievo, a prescindere dalla quantità di sangue midollare donato, nonché per le giornate di convalescenza che, successivamente, sono necessarie ai fini del completo ripristino dello stato fisico del donatore.
L’indennità spetta, inoltre, per le ore di permesso occorrenti agli accertamenti ed ai prelievi preliminari suindicati, anche nel caso in cui a tali atti non abbia fatto seguito la donazione.
La misura dell’indennità va determinata sulla base dei criteri utilizzati per i donatori di sangue.

Trattamenti riabilitativi per tossicodipendenti
I lavoratori assunti a tempo indeterminato di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza che intendono accedere a programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle ASL o di altre strutture terapeutico-riabilitative e socio-assistenziali, hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per il tempo necessario al trattamento di riabilitazione e comunque nel limite di 3 anni (art. 124, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309). La Cassazione ha stabilito che la fattispecie del lavoratore tossicodipendente sospeso dall’obbligo di eseguire la prestazione lavorativa con diritto alla conservazione del posto ex art. 124, D.P.R. n. 309/90, che interrompa volontariamente il trattamento riabilitativo eseguito presso la comunità terapeutica di assegnazione, costituisce assenza ingiustificata dal lavoro passibile di licenziamento (Cass. 4 maggio 2000, n. 5614).
L’individuazione di specifiche modalità per l’esercizio del diritto è rinviata alla contrattazione collettiva.
Salvo più favorevole disciplina contrattuale, l’assenza di lungo periodo per il trattamento terapeutico-riabilitativo è considerata ai fini normativi, economici e previdenziali, come l’aspettativa senza assegni degli impiegati civili dello Stato.
I lavoratori familiari di tossicodipendenti possono usufruire di un’aspettativa non retribuita per concorrere al programma terapeutico e socio-riabilitativo seguito dal tossicodipendente qualora il servizio per le tossicodipendenze ne attesti la necessità.
Il datore di lavoro può assumere personale a tempo determinato per sostituire i lavoratori che si assentano per i motivi di cui sopra.

 

(per maggiori approfondimenti vedi Manuale lavoro, Novecento Media)

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