Sospensione del rapporto di lavoro IV

Maternità: congedo parentale Trascorso il periodo di astensione obbligatoria, nei primi 8 anni di età del bambino ciascun genitore ha diritto ad astenersi dal lavoro per un periodo che, complessivamente, non può superare i 10 mesi …

Maternità: congedo parentale

Trascorso il periodo di astensione obbligatoria, nei primi 8 anni di età del bambino ciascun genitore ha diritto ad astenersi dal lavoro per un periodo che, complessivamente, non può superare i 10 mesi (11 se il padre si astiene per almeno 3 mesi).
Il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto.

Congedo parentale: periodo di astensione facoltativa
Condizione per l’esercizio del diritto al congedo parentale è il suo collegamento con le esigenze organizzative della famiglia nei primi otto anni di vita del bambino. La Cassazione ha recentemente adottato un’interpretazione restrittiva della finalità dell’istituto, affermando che l’art. 32, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 151/2001, configura un diritto potestativo che il padre-lavoratore può esercitare nei confronti del datore di lavoro, nonché dell’ente tenuto all’erogazione dell’indennità, onde garantire con la propria presenza il soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino e della sua esigenza di un pieno inserimento nella famiglia; pertanto, ove si accerti che il periodo di congedo viene utilizzato dal padre per svolgere una diversa attività lavorativa, si configura un abuso per sviamento dalla funzione del diritto, idoneo ad essere valutato dal giudice ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, non assumendo rilievo che lo svolgimento di tale attività (nella specie, presso una pizzeria di proprietà della moglie) contribuisca ad una migliore organizzazione della famiglia (Cass. 16 giugno 2008, n. 16207).
In particolare la legge stabilisce che (art. 32, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151):
– le madri lavoratrici dipendenti (escluse quelle disoccupate o sospese, quelle addette ai servizi domestici e familiari e quelle a domicilio) possono astenersi dal lavoro fino a 6 mesi;
– i padri lavoratori dipendenti possono astenersi dal lavoro fino a 6 mesi (7 se il padre si astiene almeno 3 mesi);
– nel caso vi sia un solo genitore, questi può astenersi dal lavoro fino a 10 mesi.
La situazione di “genitore solo” è riscontrabile nei seguenti casi:
– morte dell’altro genitore;
– grave infermità dell’altro genitore (Inps, mess. 20 settembre 2007, n. 22911);
– abbandono del figlio;
– affidamento esclusivo del figlio ad un solo genitore (in tal caso, l’interessato deve presentare copia del provvedimento con il quale il giudice ha disposto l’affidamento esclusivo: Inps, mess. 4 aprile 2007, n. 8774):
– non riconoscimento del figlio da parte di un genitore.
Gli ulteriori mesi riconoscibili al “genitore solo” sono indennizzabili subordinatamente alle condizioni del proprio reddito, anche qualora siano fruiti entro tre anni di età del figlio.
I periodi di congedo parentale possono essere fruiti in modo continuativo o frazionato.
In caso di utilizzo frazionato è necessaria la ripresa effettiva del lavoro tra una frazione e l’altra e dunque se le frazioni si susseguono in modo continuativo (ad es.: in caso di settimana corta, dal lunedì al venerdì e così successivamente) oppure sono intervallate soltanto da ferie, i giorni festivi e, in caso di settimana corta, i sabati (anche quelli cadenti subito prima e subito dopo le ferie) sono conteggiati come giorni di congedo parentale.
Qualora il lavoratore, a seguito di un periodo di congedo parentale, ususfruisca immediatamente dopo di giornate di malattia o ferie e poi riprenda l’attività lavorativa, i giorni festivi ed i sabati (in caso di settimana corta) che cadono tra il congedo parentale e le ferie o la malattia non devono essere computati come congedo parentale (Inps, mess. n. 28379/2006).
La madre e il padre possono utilizzare il congedo parentale anche contemporaneamente e il padre lo può utilizzare anche durante i tre mesi di astensione obbligatoria post-partum della madre e durante i periodi nei quali la stessa beneficia dei riposi giornalieri.
In caso di parto gemellare o plurigemellare ciascun genitore ha diritto a fruire per ogni nato del numero di mesi di congedo parentale previsti dalla legge (e quindi, per ciascun figlio, fino a 6 mesi per la madre, fino a 7 mesi per il padre, nel limite complessivo di 10 o 11 mesi fra entrambi i genitori).
Nei periodi di congedo parentale, non possono essere fruite le ferie e le assenze eventualmente spettanti ad altro titolo (art. 34, c. 6, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
La malattia del bambino insorta durante il periodo di fruizione del congedo parentale interrompe la fruizione del congedo stesso e, su domanda del genitore interessato, il titolo dell’assenza dal lavoro può essere modificato da congedo parentale a congedo per malattia del bambino (ML nota n. 3004/2006) o a permesso retribuito per gravi motivi se previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro (ML risposta a interpello n. 31/2009).
Affidamento e adozione
I genitori affidatari o adottivi hanno diritto di usufruire del congedo parentale previsto per i genitori naturali entro otto anni dall’ingresso in famiglia del minore, indipendentemente dall’età del bambino all’atto dell’affidamento o dell’adozione ma non oltre il raggiungimento della maggiore età dello stesso (art. 36, D.Lgs. n. 151/2001).
Nell’ipotesi di adozioni ed affidamenti di minori (anche non fratelli) il cui ingresso in famiglia sia avvenuto nella stessa data, ciascun genitore ha diritto a fruire del numero di mesi di congedo parentale previsti dall’art. 32, D.Lgs. n. 151/2001.
Congedo parentale: trattamento economico
Per i periodi di congedo parentale spetta un’indennità pari al 30% fino al terzo anno di vita del bambino, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di 6 mesi.
Per gli ulteriori periodi di congedo (da 7 a 10 o 11 mesi) l’indennità spetta solo se il reddito individuale dell’interessato risulti inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria.
Per l’anno 2010 tale importo risulta pari a euro 14.982 (Inps circ. n. 37/2010).
Il reddito individuale è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l’integrazione al minimo. Pertanto va considerato il reddito assoggettabile all’Irpef percepito dal genitore richiedente nell’anno in cui inizia il congedo, esclusa l’indennità per congedo parentale, il reddito della casa d’abitazione, i trattamenti di fine rapporto comunque denominati e i redditi derivanti da competenze arretrate sottoposte a tassazione separata.

Determinazione dell’indennità
Per la determinazione dell’indennità si prende a riferimento la retribuzione media globale giornaliera del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio l’astensione dal lavoro.
Si devono distinguere due ipotesi:
– se il congedo parentale è fruito immediatamente dopo il congedo di maternità, la retribuzione da prendere a riferimento è quella del periodo mensile precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo di maternità (senza conteggiare i ratei di mensilità aggiuntive);
– se, invece, dopo il congedo di maternità, vi è una ripresa dell’attività lavorativa, anche per un solo giorno, si considera la retribuzione relativa al periodo di ripresa dell’attività, ancorché questo cada nello stesso mese in cui ha avuto inizio il congedo parentale.
In caso di fruizione frazionata del congedo parentale, infine, si considera la retribuzione del mese precedente, nonostante le frazioni siano intervallate da giorni di ripresa dell’attività.

L’indennità spetta a tutti i lavoratori, compresi quelli a tempo parziale – esclusi quelli domestici e a domicilio – a condizione che il lavoratore al momento di iniziare l’assenza abbia in corso un regolare rapporto di lavoro e non sia soggetto a sospensioni del rapporto stesso per qualsiasi causa.
L’indennità è normalmente anticipata dal datore di lavoro per conto dell’INPS; alcuni contratti collettivi prevedono l’obbligo per il datore di lavoro di integrare a suo carico quanto dovuto dall’Istituto.
Il lavoratore può esigere il pagamento diretto dall’INPS se il datore di lavoro non ottemperi all’obbligo di anticipare l’indennità per conto dell’Istituto (Cass. 11 marzo 2000, n. 2839).
In ogni caso, l’indennità è corrisposta direttamente dall’INPS agli operai agricoli o assimilati, ai lavoratori assunti a tempo determinato per lavori stagionali, ai domestici, ai lavoratori disoccupati o sospesi senza trattamento della Cassa integrazione, ai lavoratori autonomi.
Istruzioni per la liquidazione dell’indennità per congedo parentale in caso di pagamento diretto sono contenute nelle circolari Inps n. 94/2009 e n. 30/2010.
Affidamento e adozione
L’indennità per congedo parentale è erogabile per un periodo massimo di sei mesi nei primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia.
Eventuali periodi di congedo richiesti oltre i tre anni dall’ingresso, nonché periodi di congedo ulteriori rispetto ai sei mesi, ancorché fruiti entro i primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia, potranno dar luogo all’indennità a tale titolo subordinatamente alla verifica delle condizioni reddituali previste dall’art. 34,  c. 3, D.Lgs. n. 151/2001 (Inps circ. n. 16/2008).
Perdita dell’indennità
Lo svolgimento di attività lavorativa durante il periodo di congedo parentale comporta la perdita del diritto al pagamento dell’indennità da parte dell’INPS, limitatamente al periodo lavorato.
L’incompatibilità non si verifica invece nell’ipotesi di lavoratore titolare di più rapporti a tempo parziale (orizzontale) che eserciti il diritto al congedo parentale relativamente ad uno di essi (Inps circolare n. 62/2010).
Computo del periodo di congedo
I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alla tredicesima mensilità e alle ferie (art. 34, c. 5, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
Congedo parentale: adempimenti amministrativi
I genitori che intendano avvalersi del congedo parentale devono preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque il preavviso non può essere inferiore a quindici giorni (art. 32, c. 3, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
Devono inoltre compilare il modello AST.FAC. e consegnarne copia all’INPS e al datore di lavoro, allegando i seguenti documenti:
a) certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità o certificazione da cui risultino gli stessi elementi ovvero dichiarazione sostitutiva, sempre che la documentazione non sia già stata presentata;
b) dichiarazione non autenticata di responsabilità dell’altro genitore relativa agli eventuali periodi di astensione facoltativa fruiti per il figlio di cui trattasi (con indicazione del datore di lavoro per i lavoratori dipendenti), ovvero dichiarazione relativa alla propria qualità di non avente diritto all’astensione (libero professionista, autonomo, a domicilio o addetto ai servizi domestici);
c) analoga dichiarazione dei periodi di astensione facoltativa eventualmente già fruiti dallo stesso richiedente;
d) impegno di entrambi i genitori a comunicare eventuali variazioni successive.
Nel caso di parto gemellare o plurigemellare il genitore che intenda avvalersi di ulteriori periodi di congedo in relazione al numero dei figli deve presentare separate domande sul modello AST.FAC.
La domanda di indennità per congedo parentale, deve essere presentata all’Inps in data antecedente alla fruizione del congedo (mess. n. 15195/2006).

Sanzioni


Maternità: riposi giornalieri

Durante il primo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre ha diritto a due periodi di riposo, di 1 ora ciascuno, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore (art. 39, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151; Inps, circ. n. 95/2006).
I periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno quando la lavoratrice usufruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze.
Ai fini della determinazione dei periodi di riposo giornalieri e della relativa indennità per i lavoratori con qualifica di dirigente, nel caso in cui la contrattazione non preveda espressamente la durata della prestazione lavorativa, l’orario lavorativo da prendere a riferimento è quello in vigore per gli impiegati di massima categoria dipendenti dall’azienda cui il dirigente appartiene (Inps circ. n. 76/2006).
I permessi in questione sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro e comportano il diritto della donna ad uscire dall’azienda. Non è consentito alcun trattamento economico sostitutivo dei riposi giornalieri (art. 10, D.P.R. n. 1026/1976).
I periodi di riposo suddetti sono riconosciuti al padre lavoratore (art. 40, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151):
a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga (ad. es. perché lavoratrice domestica, a domicilio);
c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente (ad. es. perché lavoratrice autonoma, libera professionista);
d) in caso di morte o di grave infermità della madre.
Il diritto del padre lavoratore a fruire dei riposi giornalieri è riconosciuto anche nel caso di madre casalinga – che deve essere considerata alla stregua della lavoratrice non dipendente – senza eccezioni ed indipendentemente dalla sussistenza di situazioni che determinano l’oggettiva impossibilità della madre stessa di accudire il bambino (Consiglio di Stato, sentenza 9 settembre 2008, n. 4293; ML lett.circolare n. 19605/2009; Inps circolare n. 118/2009).
In caso di parto plurimo i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive possono essere utilizzate anche dal padre (art. 41, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
La madre ha diritto ad usufruire dei riposi durante il congedo parentale del padre.
Il padre, invece, non può utilizzare i riposi giornalieri durante il congedo di maternità e/o parentale della madre neppure nei casi in cui la madre non si avvale dei riposi in quanto assente dal lavoro per cause che determinano una sospensione del rapporto di lavoro (es.: aspettative o permessi non retribuiti, pause lavorative previste nei contratti a part-time verticale di tipo settimanale, mensile, annuale), mentre li può utilizzare in alternativa alla madre che non se ne avvale in quanto è in congedo di maternità o parentale per un altro figlio (Inps mess. n. 14724/2006).
L’utilizzazione delle ore aggiuntive previste per il caso di  parto plurimo è invece consentita al padre anche durante il congedo di maternità della madre lavoratrice dipendente; il diritto ai riposi in misura raddoppiata spetta al padre quando la madre è lavoratrice autonoma o parasubordinata (Inps, circ. n. 95/2006; M.L. nota n. 23/2007).
Se la madre è lavoratrice autonoma (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola, parasubordinata, libera professionista), infine, il padre può fruire dei riposi dal giorno successivo a quello finale del periodo di trattamento economico spettante alla madre dopo il parto e sempre che la madre non abbia chiesto di fruire ininterrottamente, dopo il suddetto periodo, del congedo parentale.
Una disciplina particolare è prevista a favore dei genitori di portatori di handicap (vedi par. 9.8).
I riposi giornalieri sono considerati utili ai fini dell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, esclusi quelli relativi alla tredicesima mensilità e alle ferie (art. 43, c. 2, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
Affidamento e adozione
Il D.Lgs. n. 151/2001 ha previsto l’applicazione delle disposizioni in materia di riposi giornalieri della madre e del padre e di riposi per parti plurimi (artt. 39, 40 e 41, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151) anche nel caso di adozione e di affidamento, entro il primo anno di vita del bambino
La Corte Costituzionale, tuttavia, con sentenza 1° aprile 2003, n. 104, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 45, comma 1, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 nella parte in cui prevede che i riposi di cui agli artt. 39, 40 e 41 si applichino, in caso di adozione e di affidamento, “entro il primo anno di vita del bambino” anziché “entro il primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia”.
I genitori di bambini adottati o presi in affidamento, in base alla sentenza sopra citata, hanno pertanto diritto a fruire dei riposi giornalieri entro il primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia adottiva o affidataria, anche se il bambino ha superato il primo anno di età.
Inoltre, a differenza di quanto previsto per i figli “biologici” – per i quali i genitori possono fruire dei riposi giornalieri solo al termine del periodo di astensione obbligatoria post-partum – il/la lavoratore/trice che abbia adottato o preso in affidamento un minore può utilizzare i riposi giornalieri a partire dal giorno successivo all’ingresso del bambino in famiglia, in luogo del congedo di maternità o del congedo di paternità.
Trattamento economico a carico Inps
Per i riposi giornalieri è dovuta un’indennità, a carico dell’Inps, pari all’intero ammontare della retribuzione relativa ai riposi. L’indennità è anticipata dal datore di lavoro ed è portata a conguaglio con i contributivi dovuti all’istituto (art. 43, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
Adempimenti amministrativi
Per usufruire dei riposi giornalieri la lavoratrice madre deve presentare semplicemente una richiesta al datore di lavoro.
Per il lavoratore padre, invece, è previsto l’onere di presentare domanda all’INPS e al datore di lavoro nei casi previsti nelle lett. a), b) e c) dell’art. 40, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 e in caso di richiesta di ore aggiuntive per parto plurimo.
Nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre (lett. a), art. 40, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151) la domanda deve essere corredata dal certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità e dalla certificazione di morte della madre, ovvero dalla certificazione sanitaria attestante la grave infermità della madre, ovvero da un provvedimento formale da cui risulti l’affidamento esclusivo del bambino al padre.
Nel caso in cui il padre intenda godere i riposi giornalieri in alternativa alla madre lavoratrice dipendente (lett. b), art. 40, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151) e nel caso di parto plurimo la domanda deve essere corredata oltre che dal certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità, da una dichiarazione della madre relativa alla non fruizione delle di ore di riposo, confermata dal relativo datore di lavoro.
Nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente (lett. c), art. 40, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151) e nel caso di parto plurimo la domanda deve essere corredata oltre che dal certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità, da una dichiarazione della madre relativa alla sua attività di lavoro non dipendente.
In tutti i casi entrambi i genitori devono impegnarsi a comunicare eventuali variazioni successive.

Sanzioni
Cfr. tabella sopra

Malattia del bambino

In caso di malattia del bambino i genitori naturali hanno diritto ad astenersi dal lavoro alternativamente (art. 47, D.Lgs. n. 151/2001):
– per figli fino a 3 anni di età: per tutta la durata della malattia del bambino, senza limiti;
– per figli da 3 a 8 anni di età: per 5 giorni lavorativi all’anno per ciascun genitore.
I periodi di congedo per malattia del figlio non sono retribuiti ma sono considerati utili ai fini dell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alla tredicesima mensilità e alle ferie (art. 48, c. 1, D.Lgs. n. 151/2001).
Il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto e non trovano applicazione le disposizioni sul controllo della malattia del lavoratore.
Nei periodi di congedo per malattia del figlio, non possono essere fruite le ferie e le assenze eventualmente spettanti ad altro titolo (art. 48, c. 2, D.Lgs. n. 151/2001). La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe, a richiesta del genitore, il decorso delle ferie (art. 47, c. 4, D.Lgs. n. 151/2001).
Per usufruire del congedo il genitore deve presentare il certificato di malattia rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e una dichiarazione, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, attestante che l’altro genitore non è in congedo negli stessi giorni per lo stesso motivo (art. 51, D.Lgs. n. 151/2001).
Il genitore che si assenta non è tenuto, secondo le prime pronunce giurisprudenziali sul punto, a rispettare le fasce di reperibilità, destinate al controllo dello stato di salute del genitore e non della malattia del figlio che pure ha dato motivo all’astensione dal lavoro, oltretutto non ponendo la legge alcuna condizione circa la gravità o la acutezza della medesima.
In caso di malattia del bambino i genitori adottivi o affidatari hanno diritto ad astenersi dal lavoro alternativamente (art. 50, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151):
– per figli fino a 6 anni di età: per tutta la durata della malattia del bambino, senza limiti;
– per figli da 6 a 8 anni di età: per 5 giorni lavorativi all’anno per ciascun genitore.
Qualora, all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore abbia un’età compresa tra i 6 e i 12 anni, i genitori possono fruire alternativamente di 5 giorni lavorativi all’anno nei primi tre anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
Valgono le altre disposizioni esaminate negli articoli precedenti, relativamente ai genitori naturali.

Sanzioni

Fattispecie

Sanzione

Rifiuto, opposizione o ostacolo all’esercizio dei diritti di assenza dal lavoro per malattia del bambino
(artt. 47 e 50, D.Lgs. n. 151/2001)

Sanzione amministrativa da € 516 a € 2.582
(art. 52, D.Lgs. n. 151/2001)

 

(per maggiori approfondimenti vedi Manuale lavoro, Novecento Media)

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