Sospensione del rapporto di lavoro II

Malattia Nozione – Nell’ambito del rapporto di lavoro si intende per malattia ogni alterazione dello stato di salute che comporti un’incapacità al lavoro, salvo i casi che rientrano nella normativa sugli infortuni sul lavoro e le mal …

Malattia
Nozione – Nell’ambito del rapporto di lavoro si intende per malattia ogni alterazione dello stato di salute che comporti un’incapacità al lavoro, salvo i casi che rientrano nella normativa sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
La tutela opera rispetto ad eventi che rendano il lavoratore concretamente inidoneo a svolgere le proprie mansioni, avuto riguardo al tipo di prestazione contrattualmente dovuta: la stessa malattia infatti può incidere diversamente sulla capacità lavorativa del soggetto, in considerazione sia dell’attività che è chiamato a svolgere, sia dell’ambiente di lavoro nel quale opera.
Tra le ipotesi di malattia che legittimano l’assenza dal lavoro rientrano i seguenti casi:
– impossibilità a svolgere la prestazione derivante dalla necessità di sottoporsi a terapie specifiche incompatibili con la presenza sul luogo di lavoro;
– necessità di sottoporsi al trattamento di emodialisi, relativamente alle giornate di assenza dal lavoro coincidenti con l’effettuazione del trattamento;
– interventi di chirurgia estetica, necessari al fine di rimuovere vizi funzionali connessi ad un difetto estetico;
– alterazione psichica conseguente a prolungata assunzione di bevande alcoliche.
Ai fini della determinazione della durata della malattia deve tenersi conto anche del periodo di convalescenza, dopo l’esaurimento della fase acuta, indispensabile per la guarigione clinica (Cass. 4.6.1998, n. 5509).
Periodo di comporto: disciplina del rapporto – A norma dell’art. 2110 cod. civ. la malattia determina la sospensione del rapporto di lavoro e legittima l’assenza del dipendente per un determinato periodo (c.d. periodo di comporto); durante tale periodo il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto con decorrenza dell’anzianità di servizio e ad un trattamento economico, nella misura stabilita dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità.
In caso di malattie prolungate, molti contratti collettivi prevedono la possibilità per il lavoratore di chiedere, al termine dell’ordinario periodo di comporto ma prima della scadenza dello stesso, la concessione di un ulteriore periodo di aspettativa, senza retribuzione e senza decorrenza dell’anzianità di servizio.
Obbligo di conservazione del posto
Il lavoratore ammalato ha diritto alla conservazione del posto per il tempo previsto dalla legge o dai contratti collettivi.
L’art. 6, R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1825, riconosce ai lavoratori con qualifica di impiegato i seguenti periodi di comporto:
– 3 mesi, per anzianità di servizio non superiore a dieci anni;
– 6 mesi, per anzianità di servizio superiori.
Maggiori durate sono previste generalmente dai contratti collettivi di categoria, sia per gli impiegati che per gli operai.
Nel calcolo del periodo di comporto sono incluse tutte le giornate di assenza, compresi i giorni festivi o comunque non lavorativi che cadano durante il periodo di malattia, operando – in difetto di prova contraria, che è onere del lavoratore fornire – una presunzione di continuità dell’episodio morboso addotto dal lavoratore quale causa dell’assenza dal lavoro e del mancato adempimento della prestazione dovuta (Cass. 15 dicembre 2008, n. 29317).
Non incidono invece, ai fini del calcolo del periodo di comporto:
– la malattia intervenuta durante la gravidanza o il puerperio, indipendentemente dalla sua durata (M.L. nota 16 novembre 2006, n. 6123);
– le assenze per malattia causate dalla violazione, da parte del datore di lavoro, dello specifico obbligo di tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore e del più generale dovere che su di lui incombe, ai sensi dell’art. 41, c. 2, Cost., di rispetto della persona del lavoratore (Cass. 8 marzo 2005, n. 4959).
La giurisprudenza ha ritenuto che, per evitare di superare il periodo massimo di comporto, il lavoratore può chiedere anche di godere delle ferie già maturate (Cass. 17.12.2001, n. 15954).
Tuttavia il datore di lavoro non è tenuto a concedere le ferie al lavoratore per questo motivo (Cass. 4.6.1999, n. 5528 e Cass. 2.11.1999, n. 12219). Sul datore di lavoro grava tuttavia l’obbligo di tenere in debita considerazione il fondamentale interesse del richiedente e, in caso di mancato accoglimento, di esporne i motivi (Cass. 8.11.2000, n. 14490).
Inefficacia del licenziamento
Il licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di comporto è inefficace (vedi Cass. 22.3.2007, n. 7049, per quanto riguarda la decadenza dall’impugnazione e i provvedimenti giudiziali; sull’irrilevanza della comunicazione della malattia vedi Cass. 20.6.2003, n. 9896). In particolare la giurisprudenza ha chiarito che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato durante la malattia non è nullo, ma rimane sospeso fino alla guarigione del dipendente (anche nel periodo di prova: Cass. 10.10.2006, n. 21698), e da quel momento riprende efficacia (Cass. 7.1.2005, n. 239). Vedi però Cass. 20.11.2006, n. 24591, con riferimento al mancato rispetto dei doveri di correttezza e buona fede che continuano ad operare anche nei confronti del lavoratore esonerato dall’esecuzione della prestazione a causa di malattia. Analogamente, per quanto riguarda i licenziamenti collettivi intimati ex art. 24 L. 223/1991, vedi Cass. 26.7.2005, n. 15643.
Malattia e altri istituti
Il sopravvenire della malattia determina riflessi anche su altri istituti tipici del rapporto di lavoro.
In particolare la malattia interrompe il decorso di:
a) periodo di prova; molti contratti collettivi prevedono che la prova possa essere completata purché il lavoratore sia in grado di riprendere servizio entro un certo numero di giorni (Cass. 10.10.2006, n. 21698);
b) ferie, quando non consenta il recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore (Cass. 6.4.2006, n. 8016);
c) preavviso; il termine ricomincia a decorrere da quando il lavoratore rientra in servizio (sulla sospensione del preavviso nei limiti del comporto, Cass. 11.4.2005, n. 7369).

Svolgimento di altra attività lavorativa durante la malattia
Lo svolgimento di altra attività lavorativa durante la malattia in linea di principio non è consentito, stante l’interesse del datore di lavoro alla guarigione, e quindi al rientro in servizio, del lavoratore.
Secondo consolidata giurisprudenza, lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, non solo allorché tale attività esterna sia per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia (e dimostrando, quindi, una fraudolenta simulazione), ma anche nell’ipotesi in cui la medesima attività, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio (Cass. 1°.7.2005, n. 14046), oltre ad essere dimostrativa dell’inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l’espletamento di un’attività ludica o lavorativa (Cass. 21 aprile 2009, n. 9474).
Lo svolgimento da parte del dipendente di altra attività lavorativa durante il periodo di malattia è vietato, integrando un inadempimento degli obblighi ricadenti sul prestatore, in tutti i casi in cui evidenzi la simulazione dell’infermità ovvero ne ritardi o comprometta la guarigione per inosservanza del dovere di porre in essere tutte le cautele necessarie ad un rapido recupero delle energie lavorative; in caso contrario deve essere ritenuto ammissibile e deve, pertanto, ritenersi illegittimo il provvedimento di licenziamento o la diversa sanzione disciplinare adottati in conseguenza dello stesso (Cass. 6.10.2005, n. 19414). Tuttavia, più rigorosamente, nel senso che lo stesso allontanamento del lavoratore dipendente dalla propria abitazione in costanza di malattia possa configurare un grave inadempimento, vedi Cass. 19.12.2006, n. 27104.
In ogni caso il lavoratore che svolge attività lavorativa retribuita presso terzi durante la malattia perde il diritto all’indennità previdenziale.

Superamento del periodo di comporto – Superato il periodo di conservazione del posto, ciascuna delle parti può recedere ai sensi dell’art. 2118 del codice civile. In assenza di risoluzione del rapporto, per licenziamento o dimissioni, il rapporto stesso rimane in stato di sospensione.
La sussistenza delle condizioni legittimanti il potere di recesso del datore di lavoro deve essere verificata al momento del suo esercizio: così ad esempio il superamento del comporto in relazione all’anzianità maturata dal lavoratore va valutato al momento dell’invio della lettera di licenziamento e non all’inizio della malattia (Cass. 24 .8.2004, n. 16696).
La Cassazione ha chiarito che il recesso del datore di lavoro in questa particolare fattispecie ha un carattere di specialità sia rispetto alla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, che alla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali. Ciò comporta che il datore di lavoro, da un lato, non può unilateralmente recedere o, comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del periodo di comporto e, dall’altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è in tal caso necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali; di conseguenza – eccetto l’indagine volta ad accertare l’eventuale riconducibilità della malattia alla responsabilità del datore – resta irrilevante ogni valutazione sulla condotta delle parti, mentre, essendo l’assenza una mera conseguenza necessitata della malattia, neppure può avere rilievo ai fini della legittimità del recesso una indagine sulle cause della assenza stessa, che nella logica dell’istituto altro non possono essere che lo stato patologico del lavoratore incompatibile con la prestazione lavorativa (Cass. 10.10.2005, n. 19676).
Anche nel licenziamento per superamento del comporto valgono le regole generali relative all’immodificabilità delle ragioni indicate come motivo di licenziamento (Cass. 22 marzo 2005, n. 6143) ed alla tempestività della comunicazione. Sul giudizio di tempestività del licenziamento recenti pronunce della Corte Suprema hanno riconosciuto la necessità di garantire al datore di lavoro un ragionevole spatium deliberandi affinché, considerati nel complesso gli episodi morbosi del lavoratore, possa esprimere una valutazione di compatibilità della presenza in azienda del lavoratore in rapporto agli interessi aziendali (Cass. 23 gennaio 2008, n. 1438). Per quanto riguarda infine il contenuto della comunicazione non si ritiene necessaria una minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale del licenziamento, quale la specificazione dei giorni di assenza dal lavoro, essendo sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare il superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere a carico del datore di lavoro, in sede giudiziaria, di allegare e provare compiutamente i fatti costitutivi del potere esercitato (Cass. 15 dicembre 2008, n. 29317).

Comporto “secco” e comporto “per sommatoria” Il problema delle brevi malattia reiterate ovvero dall’eccessiva morbilità trova frequente regolamentazione nella contrattazione collettiva con la determinazione, accanto al comporto “secco”, riferito ad un unico episodio morboso del c.d. comporto “per sommatoria” o “improprio”, riferito appunto alle malattie reiterate: il licenziamento viene ritenuto legittimo se i vari episodi di malattia verificatisi entro un determinato periodo, sommati insieme, superino il periodo di comporto improprio.
Se la contrattazione collettiva (viceversa, sull’interpretazione di essa: Cass. 10.3.2008, n. 6366) non ha stabilito il comporto per sommatoria, e non vi siano usi utilmente richiamabili, si ritiene che sia compito del giudice fissarlo ricorrendo all’equità, richiamata dall’art. 2110 cod. civ. (Cass. 23.6.2006, n. 14633). A tale fine si rende necessario individuare sia l’arco temporale nel cui ambito dovrà calcolarsi il periodo di comporto (c.d. arco esterno), sia la quantità massima di assenze, superate le quali è possibile procedere al licenziamento (c.d. arco interno).
Nell’esercizio di tali poteri equitativi il giudice avrà quali utili parametri di riferimento: per la determinazione dell’arco interno il comporto “secco” fissato dal contratto collettivo, per l’arco esterno il periodo di vigenza del contratto stesso (Cass. 2.4.2004, n. 6554). Ai fini del superamento del comporto per sommatoria non si possono considerare le assenze non indicate nella lettera di licenziamento (Cass. 3.8.2004, n. 14873), mentre è esclusa l’esigenza di una specifica indicazione delle giornate di malattia nel caso di assenze continuative (Cass. 22.3.2005, n. 6143).

Comunicazioni al datore di lavoro e certificazioni – Il lavoratore assente per malattia deve comunicare tempestivamente al datore di lavoro il suo stato, nei termini e con le modalità stabilite nei contratti collettivi, e sottoporsi a visita del proprio medico curante, che rilascia un certificato (art. 2, c. 1, D.L. 30.12.1979, n. 663).
Entro due giorni dal rilascio del certificato medico, il lavoratore è tenuto a trasmetterne copia al datore di lavoro indicando il proprio domicilio durante la malattia (art. 2, c. 2, D.L. 30.12.1979, n. 663).
Se il lavoratore ha diritto all’indennità di malattia a carico dell’INPS, deve trasmettere copia del certificato anche alla sede dell’Istituto del luogo in cui risiede abitualmente e anche nel caso di malattie di durata inferiore a quattro giorni (Inps, circ. n. 95/2006).
La mancanza o inesattezza o incompletezza dell’indirizzo sul certificato di malattia che renda impossibile il reperimento del lavoratore, comporta la perdita della prestazione previdenziale per l’intero evneto di malattia o comunque per tutte le giornate di malattia attestate dalla certificazione irregolare (Inps messaggio n. 22747/2009).
Vanno comunicati altresì l’eventuale prosecuzione della malattia oltre il termine originariamente pronosticato e l’eventuale cambiamento di indirizzo per le visite di controllo.
La certificazione medica di prosecuzione della malattia deve essere richiesta possibilmente entro il primo giorno successivo alla scadenza della prognosi precedente.
La comunicazione deve avvenire mediante recapito o trasmissione per posta; eventuali comunicazioni a mezzo fax possono essere considerate valide ai soli fini del rispetto del termine di invio previsto per consentire l’effettuazione di visite mediche di controllo.
Sono validi i certificati rilasciati, anche su modelli non conformi alla modulistica predisposta, dagli ospedali purché il medico dell’INPS, sulla base di tali certificati, possa valutare l’incapacità al lavoro.
Il lavoratore si considera guarito e, quindi, idoneo a riprendere servizio, il giorno successivo alla scadenza della prognosi non seguita da altra certificazione di malattia.
Le giornate in cui si effettua la prestazione in regime di day hospital o day service ambulatoriale sono equiparate a giornate di ricovero e quindi, in tali situazioni, l’incapacità al lavoro è riconoscibile limitatamente al solo giorno di effettuazione della prestazione riportato nella certificazione medica. Pertanto, ai fini dell’indennizzabilità di ulteriori giorni successivi al day hospital o al day service ambulatoriale, il lavoratore dovrà produrre altro certificato medico di continuazione, compilato in ogni sua parte (Inps circ. n. 136/2003 e mess. n. 3701/2008).
La certificazione di malattia prodotta da cittadini comunitari nella loro lingua si deve ritenere valida anche quando sia necessaria una traduzione ai fini di una corretta valutazione del contenuto (Inps, mess. n. 28978/2007).
In caso di eventi morbosi insorti all’estero:
– in Paesi membri dell’Unione europea o in uno Stato legato all’Italia da una convenzione bilaterale che si estenda all’assicurazione malattia e maternità, la certificazione sanitaria da inviare all’Inps è normalmente sostituita dal rapporto medico di controllo predisposto e trasmesso dall’istituzione estera mediante appositi formulari (Inps, circ. n. 180/1985). L’Inps, comunque, può sempre richiedere un controllo da parte di un medico di fiducia tramite le autorità consolari (Inps, mess. n. 3868/2008);
– in Paesi non facenti parte della Unione europea o in Paesi che non hanno stipulato con l’Italia convenzioni o accordi in materia, la certificazione sanitaria deve essere legalizzata dalla competente autorità consolare italiana (Inps circ. 6.9.2006, n. 95 bis).
Mancato invio del certificato
Se il lavoratore omette di inviare il certificato al datore di lavoro ovvero lo invia in ritardo, l’assenza si considera ingiustificata. Lo stesso comportamento nei confronti dell’INPS ha per conseguenza la perdita dell’indennità economica, salvo che il lavoratore non provi che l’omesso o il ritardato invio sia stato causato da un serio e apprezzabile motivo (Cass. 8.8.2005, n. 16627).
Obbligo di reperibilità e visite di controllo – Il datore di lavoro non può effettuare accertamenti diretti sulla infermità per malattia dei propri dipendenti (art. 5, c. 1, L. n. 300/1970). Lo stato di malattia viene controllato, a richiesta del datore di lavoro o per iniziativa degli uffici Inps, attraverso i servizi medico-legali delle ASL ed i medici inseriti nelle liste speciali istituite presso ciascuna sede Inps (art. 2, c. 3, D.L. n. 663/1979 e art. 1, D.M. 15 luglio 1986).
I datori di lavoro che richiedono l’effettuazione di visite di controllo devono specificare se la richiesta riguarda o meno un lavoratore avente diritto all’indennità di malattia a carico Inps (vedi par. 9.3.6) e, nel secondo caso, chiedere preventivamente, nell’ipotesi di assenza al controllo domiciliare, l’effettuazione della visita ambulatoriale e/o la disamina di eventuali giustificazioni di carattere sanitario addotte per l’assenza dal domicilio (Inps messaggio n. 14449/2009).
Per consentire l’effettuazione del controllo il lavoratore ha l’obbligo di rendersi reperibile nel proprio domicilio, per l’intera durata della malattia (comprese le domeniche ed i giorni festivi), dalle ore 10.00 alle 12.00 e dalle ore 17.00 alle 19.00 (art. 4, D.M. 15 luglio 1986), a meno che non sussista un giustificato motivo di esonero. La violazione da parte del lavoratore dell’obbligo di reperibilità per l’espletamento della visita domiciliare assume rilevanza di per sé, a prescindere dalla presenza o meno dello stato di malattia, e può anche costituire giusta causa di licenziamento (Cass. 11 febbraio 2008, n. 3226). Tuttavia, sul giustificato motivo di assenza, v. Cass. 6 aprile 2006, n. 8012.
Assenza alla visita di controllo
Se il lavoratore risulta assente alla visita di controllo domiciliare, il medico ne dà comunicazione all’INPS e rilascia apposito avviso recante l’invito al lavoratore a presentarsi per il controllo il giorno successivo non festivo presso il gabinetto diagnostico dell’INPS, ovvero, qualora non sia facilmente raggiungibile, presso il presidio sanitario pubblico indicato nell’avviso stesso (art. 5, c. 1, D.M. 15.7.1986).
Qualora il lavoratore non si presenti alla visita ambulatoriale, l’INPS ne dà comunicazione al datore di lavoro ed invita il lavoratore a fornire le proprie giustificazioni entro 10 giorni.
L’assenza ingiustificata alla prima visita di controllo comporta la perdita dell’indennità per i primi 10 giorni; in caso di seconda assenza l’indennità è ridotta del 50% per il residuo periodo di malattia. Sono comunque esclusi i periodi di ricovero ospedaliero o già accertati da precedente visita di controllo (art. 5, c. 14, D.L. 12 settembre 1983, n. 463). In tema di decadenza del lavoratore dal diritto al trattamento economico per i primi dieci giorni di assenza per ingiustificata sottrazione alla visita di controllo domiciliare, la giurisprudenza ha chiarito che l’effettuazione da parte del lavoratore di una successiva visita ambulatoriale confermativa dello stato di malattia, ancorché avvenuta prima della scadenza di tale periodo, non vale ad escludere la perdita del diritto al trattamento economico ma ha la sola funzione di impedire la protrazione degli effetti della sanzione della decadenza per il periodo successivo ai suddetti primi dieci giorni, atteso che l’osservanza dell’onere posto a carico del lavoratore di rendersi reperibile presso la propria abitazione non ammette forme equivalenti di controllo; ne consegue che l’impossibilità per il lavoratore di effettuare tale visita, a causa della chiusura dell’ambulatorio della ASL, non impedisce la perdita del trattamento economico derivante dal mancato assolvimento di quell’onere (Cass. 28.1.2008, n. 1809).
Non danno luogo a sanzioni le assenze per giustificato motivo, come ad esempio quelle dovute a:
– forza maggiore (sulla cui estensione, vedi Cass. 6.4.2006, n. 8012);
– concomitanza di visite, prestazioni e accertamenti specialistici (Cass. 28.1.2008, n. 1809, purché sia accertabile il carattere dell’indifferibilità della visita medica o del trattamento terapeutico o l’indispensabilità delle modalità con cui sono attuati);
– situazioni che abbiano reso imprescindibile e indifferibile la presenza personale del lavoratore altrove, per evitare gravi conseguenze per sé o per i componenti il suo nucleo familiare.
L’assenza del lavoratore alle visite di controllo durante le fasce orarie di reperibilità può dar luogo anche a sanzioni disciplinari (Cass. 11.2.2008, n. 3226). Secondo la Corte Suprema, ai fini della sanzionabilità non è necessaria l’espressa previsione di tale ipotesi nel codice disciplinare (Cass. 22.4.2004, n. 7691).
Trattamento economico – Il lavoratore assente per malattia o infortunio non sul lavoro ha diritto ad un trattamento economico per il periodo stabilito dalla legge e dai contratti collettivi.
In alcuni casi l’indennità è dovuta dall’INPS e i contratti collettivi possono prevedere un obbligo di integrazione a carico del datore di lavoro; in altri casi l’INPS non è tenuto a corrispondere l’indennità e quindi l’onere ricade integralmente sul datore di lavoro se e in quanto sia previsto nei contratti collettivi.
Trattamento a carico INPS
L’indennità economica di malattia a carico dell’INPS spetta alle seguenti categorie di lavoratori:
– operai dell’industria, artigianato e categorie assimilate, lavoratori a domicilio;
– operai e impiegati del commercio;
– salariati delle aziende del credito, delle assicurazioni e dei servizi tributari appaltati;
– dipendenti da condomini, proprietari di fabbricati e servizi di culto, esclusi gli impiegati ed i portieri;
– salariati fissi e assimilati delle aziende agricole;
– lavoratori soci di società ed enti cooperativi, anche di fatto, che prestino la loro attività per conto delle società ed enti medesimi;
– lavoratori addetti ai pubblici servizi di trasporto rientranti nell’ambito di applicazione del R.D. n. 148/1931, con le modalità e limiti previsti per i lavoratori del settore industria (Inps, circ. n. 102/2005; M.L. nota n. 2703/2006).
A decorrere dal 1° gennaio 2007 i lavoratori assunti con contratto di apprendistato, sia secondo il previgente regime che utilizzando le nuove tipologie di contratto, hanno diritto al trattamento economico di malattia secondo la disciplina generale prevista per i lavoratori subordinati (art. 1, c. 773, L. 27.12.2006, n. 296) e sono soggetti agli obblighi di certificazione, ai controlli e al rispetto delle fasce di reperibilità (Inps, circ. 21.2.2007, n. 43). Per gli eventi morbosi verificatisi tra il 1° gennaio e il 21 febbraio 2007 (data di pubblicazione della circolare Inps n. 43/2007), l’indennità di malattia spetta agli apprendisti che, pur non avendo inviato la certificazione di malattia all’Istituto, abbiano inviato l’attestazione di malattia al datore di lavoro nei termini e secondo le modalità previste dal contratto collettivo di settore (Inps, mess. 3.4.2007, n. 8615).
Il diritto alle prestazioni economiche sorge dalla data di effettivo inizio del rapporto di lavoro e permane per tutta la sua durata, protraendosi per un ulteriore periodo di 60 giorni successivo alla cessazione (per licenziamento o dimissioni) o sospensione del rapporto di lavoro.
Per i dipendenti da aziende agricole il diritto alla prestazione economica di malattia sorge dal momento dell’iscrizione negli elenchi nominativi e finisce decorsi 60 giorni dalla cancellazione.
Per i lavoratori a domicilio il diritto sorge dalla data di consegna del lavoro da eseguire da parte del datore di lavoro committente.

Casi di esclusione e sospensione del trattamento Inps
Il diritto all’indennità giornaliera di malattia è escluso:
– nei casi e per tutto il periodo in cui il lavoratore fruisca, per legge o per contratto, di un trattamento economico di malattia, non avente carattere integrativo, a carico del datore di lavoro, in misura pari o superiore a quello corrisposto dall’Inps;
– per le malattie provocate da fatti dolosi debitamente accertati e documentati nonché nei casi di procurato aborto, ove sussistano gli estremi del reato;
– durante il periodo in cui l’assicurato fruisce delle cure termali, salvo il caso in cui sussista una effettiva incapacità lavorativa, non incompatibile con la effettuazione delle cure.
Il diritto all’indennità giornaliera di malattia è invece sospeso nei casi in cui il lavoratore:
– si dedichi, durante la malattia, ad attività retribuite;
– non consenta, senza giustificato motivo, l’effettuazione della visita medica di controllo ivi compresa quella disposta ai sensi dell’art. 5, L. 20 maggio 1970, n. 300, o degli accertamenti sanitari disposti nei suoi confronti;
– alteri o falsifichi certificati medici o qualsiasi altra documentazione, salva l’esistenza dei presupposti per l’azione penale;
– sia in stato di detenzione durante la malattia;
– non osservi, senza giustificato motivo, il divieto di uscire di casa prescritto dal medico curante, o compia atti che possano pregiudicare il decorso della malattia o tenga un contegno pregiudizievole alle possibilità di esercizio dell’attività professionale.

Periodo indennizzabile
L’indennità giornaliera di malattia spetta dal quarto giorno di assenza per malattia e fino ad un massimo di 180 giorni in un anno solare.
I primi tre giorni di assenza per malattia, cosiddetti di carenza, non sono indennizzati dall’INPS e generalmente i contratti collettivi prevedono che siano retribuiti a carico del datore di lavoro.
Il quarto giorno di assenza si computa dalla data di inizio della malattia dichiarata dal lavoratore sempreché la visita medica risulti effettuata nello stesso giorno di inizio della malattia o nel giorno immediatamente successivo: in caso contrario il quarto giorno deve essere computato dal giorno immediatamente precedente a quello in cui è stata effettuata la visita medica.
Se nel certificato non è riportata la data di inizio della malattia dichiarata dal lavoratore, il quarto giorno di assenza per malattia è computato dalla data di effettuazione della visita medica.
L’indennità viene corrisposta fin dal primo giorno in caso di ricaduta nella stessa malattia o altra conseguenziale intervenuta entro 30 giorni dalla data di guarigione della malattia precedente.
Computo del periodo massimo indennizzabile
Il periodo massimo indennizzabile (180 giorni nell’anno solare) si computa sommando tutte le giornate di malattia dell’anno solare, comprese quelle per le quali l’indennità non è stata corrisposta (giorni di carenza, giorni festivi, ecc.).
Sono esclusi dal computo del periodo massimo di malattia indennizzabile:
– i periodi di astensione dal lavoro per congedo di maternità/paternità e congedo parentale;
– i periodi di assenza causata da infortunio sul lavoro e malattia professionale;
– i periodi di malattia causata da fatto di terzi per i quali l’INPS abbia esperito – con esito positivo, anche se parziale – l’azione di surrogazione.
Se la malattia insorta in un anno si protrae nell’anno successivo, senza interruzione, il limite dei 180 giorni deve essere preso in considerazione per ogni singolo anno; per la determinazione dell’indennità economica la malattia si considera invece come un unico evento.
Misura dell’indennità
L’indennità giornaliera di malattia è commisurata:
– al 50% della retribuzione media globale giornaliera per le giornate indennizzabili comprese nei primi 20 giorni di malattia;
– al 66,66% della retribuzione media globale giornaliera a decorrere dal 21° giorno di malattia.
Per i lavoratori dipendenti da pubblici esercizi e da laboratori di pasticceria non iscritti all’Albo delle imprese artigiane l’indennità è commisurata all’80% della retribuzione media globale giornaliera per tutte le giornate indennizzabili.
Per gli operai vengono indennizzati tutti i giorni feriali (compreso il sabato), escluse la domenica e le festività nazionali e infrasettimanali; per gli impiegati e i quadri vengono indennizzati tutti i giorni di calendario (comprese le domeniche), escluse le festività nazionali e infrasettimanali cadenti di domenica.
Nel caso di ricovero in luogo di cura, ai lavoratori non aventi familiari a carico l’indennità giornaliera spetta in misura pari ai 2/5 del valore normale.

Retribuzione media giornaliera
Per gli impiegati e i quadri la retribuzione media globale giornaliera è pari a 1/30 della retribuzione percepita dal lavoratore nel mese precedente quello d’inizio della malattia, maggiorata dei ratei delle mensilità aggiuntive (concorrono alla determinazione della retribuzione tutte le voci assoggettabili a contribuzione previdenziale, con esclusione delle eventuali integrazioni dell’indennità di malattia poste contrattualmente a carico del datore di lavoro).
Se il lavoratore non ha prestato attività per l’intero periodo di riferimento (es. rapporto iniziato o cessato nel mese) la retribuzione media globale giornaliera si ricava dividendo la retribuzione percepita per il numero delle giornate di calendario comprese nel periodo e aggiungendo al risultato 1/30 dei ratei delle mensilità aggiuntive.
Per gli operai la retribuzione media globale giornaliera risulta dalla somma di (a) retribuzione percepita nel mese precedente diviso il numero delle giornate lavorate o comunque retribuite comprese nel mese (nonché la sesta giornata in caso di settimana corta) e (b) 1/25 del rateo delle mensilità aggiuntive. Per i lavoratori retribuiti in misura fissa mensilizzata, la quota (a) si determina con il divisore 26.
Per ottenere la retribuzione media globale giornaliera dei lavoratori a domicilio da prendere a base di calcolo dell’indennità di malattia è necessario:
a) determinare la retribuzione lorda del mese precedente l’inizio della malattia (comprensiva delle maggiorazioni previste per ferie, festività, ecc. ed esclusa quella prevista per il t.f.r.), sommando le retribuzioni delle lavorazioni riconsegnate nel mese anzidetto;
b) determinare il numero delle giornate di lavorazione comprese nel mese considerato (escluse le domeniche) intercorrenti tra la data di consegna del lavoro e quella della sua riconsegna (*).
c) dividere l’importo di cui alla lettera a) per il numero dei giorni di cui alla lettera b).
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(*) Se nel mese sono state riconsegnate più lavorazioni l’operazione deve essere effettuata sommando tra loro i giorni compresi tra la data di consegna e quella di riconsegna delle singole lavorazioni. Se una delle lavorazioni riconsegnate è stata consegnata in un mese diverso da quello della riconsegna devono essere considerate le sole giornate cadenti nel mese della riconsegna.
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Alternanza di lavoro a tempo parziale e a tempo pieno
Part-time orizzontale Nel caso di rapporti di lavoro in cui, nel corso dell’anno, si alternano periodi di lavoro ad orario ridotto (part-time orizzontale) a periodi di attività a tempo pieno, la retribuzione media giornaliera del mese precedente la malattia deve essere riproporzionata rapportando le ore di lavoro medio giornaliero svolto in tale periodo alle ore medie giornaliere che l’interessato avrebbe dovuto svolgere se non si fosse verificato l’evento.
La retribuzione così ottenuta costituisce la base per il calcolo della prestazione richiesta, da liquidare per 6 giorni alla settimana (per gli operai) o per 7 giorni (per gli impiegati).
Lo stesso criterio si applica in caso di rapporti di lavoro che prevedono una riduzione dell’attività su base settimanale, con distribuzione non costante dell’orario di lavoro e della relativa retribuzione.
Se si prevede che nel corso della malattia l’orario contrattuale possa subire più variazioni (ad esempio per passaggi part time/full time e viceversa), il ridimensionamento della retribuzione deve avvenire ogniqualvolta si verifica la variazione contrattuale dell’orario di lavoro (e della relativa retribuzione).
Part-time verticale Le malattie che iniziano durante una fase di previsto lavoro sono indennizzabili, entro il limite massimo assistibile, per l’intera durata, cioè anche per le eventuali giornate che si collocano in periodi in cui non era previsto svolgimento di attività (Inps, circ. n. 41/2006).

Erogazione dell’indennità
L’indennità di malattia è anticipata generalmente dal datore di lavoro all’atto della corresponsione della retribuzione per il periodo di paga durante il quale il lavoratore ha ripreso l’attività lavorativa.
Il datore di lavoro ha l’obbligo di corrispondere anticipazioni a norma dei contratti collettivi che, in ogni caso, non devono essere inferiori al 50% della retribuzione del mese precedente, salvo conguaglio (art. 1, c. 1, D.L. 30.12.1979, n. 663).
Il conguaglio con i contributi dovuti all’Istituto avviene portando in diminuzione nel periodo di corresponsione l’importo versato al lavoratore nel quadro D del mod. DM10.
L’indennità è pagata invece direttamente dall’INPS (art. 1, c. 1, D.L. 30.12.1979, n. 663):
– agli operai agricoli;
– ai lavoratori assunti a tempo determinato per i lavori stagionali;
– ai lavoratori disoccupati o sospesi dal lavoro che non usufruiscono del trattamento di cassa integrazione guadagni.
L’anticipazione da parte del datore di lavoro, comunque, è dovuta anche in questi casi se è previsto nei contratti collettivi.
Per gli operai agricoli a tempo indeterminato, il contratto collettivo 6 luglio 2006 ha disciplinato l’obbligo di anticipazione a carico del datore di lavoro, previsto dall’art. 1, c. 10, D.L. n. 2/2006, conv. L. n. 81/2006. Tale modalità è divenuta operativa a decorrere dal 1° ottobre 2007; gli importi anticipati possono essere portati a conguaglio con le denunce di competenza (Inps, circ. 5.10.2007, n. 118).
Trattamento a carico del datore di lavoro
I contratti collettivi prevedono generalmente a carico del datore di lavoro l’obbligo di corrispondere al lavoratore la retribuzione per i primi tre giorni di malattia e di integrare l’indennità corrisposta dall’INPS per il periodo successivo.
Il datore di lavoro è altresì obbligato a corrispondere il trattamento di malattia, nei limiti previsti dai contratti collettivi, ai lavoratori che non beneficiano della prestazione previdenziale (es.: impiegati dell’industria, dell’artigianato, del credito e assicurazioni, portieri, lavoratori domestici, ecc.).

Tubercolosi – I datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti hanno l’obbligo di conservare il posto ai lavoratori affetti da tubercolosi fino a 6 mesi dopo la data di dimissione dal luogo di cura per avvenuta guarigione o stabilizzazione, con mansioni ed orario adeguati alle residue capacità lavorative (L. 14 dicembre 1970, n. 1088).
Durante il periodo di conservazione del posto non decorre l’anzianità di servizio.
Per ottenere il prolungamento del periodo di comporto, il lavoratore – colpito da tubercolosi o da altra malattia di particolare gravità per la quale è previsto dalla disciplina legale o contrattuale l’obbligo del datore di lavoro di conservazione del posto per periodi di tempo eccedenti il limite massimo del comporto – deve comunicare al datore di lavoro, entro i termini del comporto ordinario di malattia, l’insorgenza e la natura della malattia da cui è affetto (Cass.
19.11.2001, n. 14475: nella specie un lavoratore colpito da tubercolosi aveva comunicato al datore di lavoro la natura della malattia più di un anno dopo il recesso; la Suprema Corte, confermando la sentenza impugnata, ha affermato la legittimità del licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto ordinario effettivamente avvenuto).
Al lavoratore che possa far valere almeno un anno di contribuzione nella vita lavorativa, spetta il seguente trattamento a carico INPS:
– indennità giornaliera durante il ricovero o la cura ambulatoriale (sulla cui misura v. Cass. 19.4.2007, n. 9347);
– indennità post-sanatoriale, per una durata pari a 24 mesi dalla dimissione dal luogo di cura;
– assegno di cura o sostentamento per 2 anni, dopo che è cessato il trattamento post-sanatoriale, rinnovabile.
L’indennità giornaliera durante il ricovero e la cura ambulatoriale:
– è anticipata dal datore di lavoro ovvero pagata direttamente dall’INPS secondo le regole generali esposte sopra;
– spetta dal 1° giorno di malattia (quindi non opera la carenza), comprese le domeniche e le festività;
– il periodo massimo indennizzabile può andare anche oltre i 180 giorni previsti in generale per la malattia. Tuttavia, dal 1° al 180° giorno l’indennità spetta in misura normale, oltre il 180° giorno è corrisposta in misura fissa.

Cure termali – Le prestazioni idrotermali possono essere fruite dai lavoratori al di fuori dei congedi ordinari e delle ferie annuali, esclusivamente per la terapia o la riabilitazione relative ad affezioni o stati patologici per la cui risoluzione sia giudicato determinante, anche in associazione con altri mezzi di cura, un tempestivo trattamento termale motivatamente prescritto da un medico specialista della ASL ovvero, limitatamente ai lavoratori avviati alle cure dall’INAIL, dai medici del predetto Istituto (art. 16, c. 5, L. 30.12.1991, n. 412).
L’elenco delle patologie che danno diritto alla fruizione delle cure termali e all’indennità di malattia a carico INPS è individuato dal D.M. 22.3.2001.
L’indennità non spetta quando il lavoratore possa utilizzare ferie o congedi ordinari nel periodo previsto per la cura, a meno che il medico specialista ASL ritenga maggiormente efficace, ai fini terapeutici o riabilitativi, l’effettuazione della cura in periodo extraferiale (Cass. 23.12.2002, n. 18283).
I permessi concessi per fruire delle prestazioni idrotermali non possono superare 15 giorni all’anno e tra i periodi di cure e i congedi ordinari e ferie annuali deve intercorrere un intervallo di almeno 15 giorni.
Grava sul lavoratore, che contesti di non essere stato ammesso dal datore di lavoro a fruire del congedo straordinario per cure termali, l’onere di provare di aver trasmesso al datore di lavoro, nel termine di decadenza sostanziale di due giorni dal rilascio, la copia della autorizzazione impegnativa rilasciata dalla competente ASL con acclusa la copia della prescrizione medica specialistica (Cass. 5.4.2004, n. 6638).
Sono indennizzabili, nel rispetto delle norme generali previste per la categoria di appartenenza del lavoratore, le sole giornate in cui la cura è stata effettivamente praticata, comprese domeniche e festività – per chi ne ha diritto – durante le quali lo stabilimento termale resta chiuso e rientranti nel ciclo di cure. Stesso criterio vale per eventuali altre giornate di interruzione del servizio da parte dello stabilimento stesso. Se lo stabilimento non osserva chiusure festive, poiché le cure devono essere effettuate consecutivamente, ai fini dell’indennizzabilità devono prendersi a riferimento i primi 12 giorni di calendario.
Sono esclusi dall’indennizzo, pure se compresi nel periodo globale di effettuazione ed entro il massimo di 15 giorni:
– i primi tre giorni (carenza), fatta salva l’ipotesi di malattia già in atto al momento iniziale delle cure;
– eventuali giorni di viaggio; – eventuali giornate (salvo quanto sopra specificato a proposito delle giornate festive) in cui non risulta effettuata la cura.

Cicli di cura ricorrenti
Trattamenti emodialitici
L’erogazione dell’indennità di malattia per le giornate di assenza dal lavoro coincidenti con l’effettuazione di trattamenti emodialitici è regolata dalle norme comuni, tranne le seguenti particolarità:
– le giornate di assenza dal lavoro per l’effettuazione del trattamento di dialisi devono essere considerate un unico episodio morboso continuativo;
– la carenza e la diversificazione della misura dell’indennità in relazione alla durata della malattia (50% per i primi venti giorni e 66,66% per i successivi) devono essere applicate per anno solare;
– ai fini del calcolo dell’indennità spettante per le giornate di trattamento cadenti in ciascun mese devono essere presi in considerazione gli emolumenti nel mese precedente;
– l’indennità non spetta qualora il lavoratore, nel corso della giornata di effettuazione del trattamento, abbia prestato attività lavorativa sia pure per un numero limitato di ore;
– ai fini dell’erogazione dell’indennità l’interessato è tenuto a documentare l’effettuazione del trattamento: a tale scopo può essere ritenuta utile la dichiarazione del luogo di cura.
Malattia sopravvenuta in corso di trattamento
Qualora il lavoratore venga a trovarsi in stato di incapacità lavorativa per il sopraggiungere di una malattia diversa da quella per la quale è praticato il trattamento emodialitico, la malattia sopravvenuta deve considerarsi ai fini dell’erogazione dell’indennità, autonoma e prevalente rispetto a quella preesistente.
Da tale premessa – che esclude qualsiasi interferenza tra la malattia sopravvenuta e la malattia per la quale è effettuato il trattamento emodialitico – consegue che:
– l’indennità deve essere corrisposta per le giornate della malattia sopravvenuta tenendo sospeso, per tutta la durata di questa, l’indennizzo della malattia per la quale è effettuato il trattamento di emodialisi;
– la malattia sopravvenuta deve essere indennizzata secondo le norme comuni (carenza, elevazione della misura dal ventunesimo giorno, ricaduta, ecc.);
– una volta terminata la malattia sopravvenuta, l’indennità per le successive giornate di trattamento emodialitico deve essere nuovamente corrisposta senza tener conto della predetta malattia sopravvenuta.
Ai fini del periodo massimo di malattia indennizzabile, pari a 180 giorni, le giornate di emodialisi devono essere sommate a quelle delle eventuali malattie sopravvenute (Inps circ. n. 134368/1981).
Morbo di Cooley
L’indennità deve essere corrisposta secondo i criteri sopra illustrati anche per le giornate di assenza dal lavoro coincidenti con l’effettuazione del trattamento trasfusionale per i lavoratori affetti da morbo di Cooley (Inps circ. n. 134414/1984).
Trattamenti ambulatoriali
Nel caso di lavoratori che si sottopongono periodicamente, per lunghi periodi, a terapie ambulatoriali comportanti incapacità al lavoro, l’Inps applica i criteri della “ricaduta” se ciascun trattamento è eseguito entro 30 giorni dal precedente. A tal fine è considerata sufficiente anche un’unica certificazione del curante che attesti la necessità di trattamenti ricorrenti comportanti incapacità lavorativa e che li qualifichi l’uno ricaduta dell’altro. I lavoratori interessati dovranno inviare all’Istituto tale certificazione prima dell’inizio della terapia, fornendo anche l’indicazione dei giorni previsti per l’esecuzione. Alla certificazione dovranno far seguito, sempre a cura degli interessati, periodiche (ad esempio mensili) dichiarazioni della struttura sanitaria, riportanti il calendario delle prestazioni effettivamente eseguite, le sole che danno titolo all’indennità.
Tale soluzione può applicarsi anche ai trattamenti emodialitici (Inps circ. n. 136/2003) e per le prestazioni in Day Service Ambulatoriale (Inps mess. 3701/2008).

Sanzioni


Fonti – Cod. civ. artt. 2110 e 2118, D.L. 663/1979, D.L. 463/1983, D.M. 15.7.1986, L.
296/2006

(per maggiori approfondimenti vedi Manuale lavoro, Novecento Media)

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