Solamente un’azienda su quattro è green

Un rapporto del Cresit dell’Università dell’Insubria con la San Francisco State University e PricewaterhouseCoopers vuol tenere sotto controllo l’impronta verde delle imprese.

In termini di emissioni di Co2, l’Ict determina il 2% delle emissioni totali, al pari del trasporto aereo, ed entro il 2020 il dato salirà a oltre il 3%.

Alla luce di questi dati, il Global Green It Report, pubblicato dal Cresit dell’Università dell’Insubria di Varese in collaborazione con San Francisco State University e verificato da PricewaterhouseCoopers, che ha valutato la coerenza tra metodologia di ricerca dichiarata e risultati di sintesi proposti, si propone di monitorare con cadenza annuale gli orientamenti e le strategie delle imprese sull’impatto ambientale delle tecnologie Ict in uso.

L’Ict ha un forte impatto ambientale, sia in termini di consumi energetici che di smaltimento dell’hardware. A fronte di ciò si rende necessario indagare quali sono le azioni delle imprese al fine di ridurre i consumi energetici dei propri data center.

Per i ricercatori, con il termine Green It vanno intese le iniziative hardware/software e di design dei sistemi informativi che possono avere un impatto diretto in termini di riduzione dei consumi, così come un effetto indiretto, contribuendo alla riduzione dei consumi energetici di attività correlate (per esempio migliorando la logistica o permettendo di lavorare a distanza tramite servizi di videoconferenza e file sharing).

Il Report si basa su uno studio condotto su un panel di imprese europee e americane con lo scopo di andare a valutare l’approccio nei confronti del Green It.

La matrice Cresit – Sf State sintetizza i comportamenti delle imprese che vengono misurati su due macro-dimensioni: l’ampiezza delle iniziative di Green It a livello aziendale (iniziative corporate o iniziative locali) e i motivi (driver) alla base di tali scelte.

Ne deriva una matrice “due per due” in cui l’approccio virtuoso è il Proactive Green, proprio di aziende per cui le iniziative sono mosse da obiettivi sociali/ambientali e non semplicemente di riduzione dei costi e sono diffuse all’intera organizzazione.
Dallo studio emerge che meno del 25% delle imprese ha raggiunto pienamente questo stadio.
In oltre la metà dei casi le iniziative di Green It risultano limitate a singole unità organizzative (funzioni, stabilimenti, filiali) e non rappresentano una diffusione all’intera azienda. Nel 50% dei casi il movente di tali iniziative è prevalentemente economico: risparmio dei costi.

Riguardo il panel della ricerca, non si registrano sostanziali differenze tra Stati Uniti ed Europa, così come da settore a settore. Un fattore critico nell’assunzione di iniziative di Green It è la dimensione aziendale (aziende di grandi dimensioni e multinazionai tendono ad avere una maggiore attenzione sul tema) così come lo status di azienda quotata (le società in borsa sono più propense ad affrontare il tema).

Tra i parametri organizzativi lo studio segnala come fondamentale per lo sviluppo e implementazione di iniziative di Green It il commitment aziendale e il supporto da parte del management.

In una nota il direttore del Cresit e responsabile dello studio, Alberto Onetti, osserva che nell’attuale scenario competitivo sia opportuno per un’impresa avere una forte impronta verde: essere green può dare benefici in chiave di reputazione e immagine aziendale, ma anche risparmi economici che nel tempo si dimostrano superiori agli investimenti fatti. Le analisi calcolano per gli investimenti in Green It un pay-back ratio che va dai 3 ai 5 anni e che si riduce in periodi di tensioni sul mercato dell’energia. A tali benefici si aggiungono poi le esternalità positive dettate dal minor consumo di risorse e dal minore impatto ambientale.

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