Sicurezza It: in Italia necessario non vuol dire adottato

Horus Informatica identifica in budget limitati e scarsa cultura tecnologica le cause principali. Per un manager su due l’investimento in security non è sfruttato a fondo.

In attesa che qualche manager metta mano a budget It non del tutto risicati dalla crisi in atto, l’istantanea scattata da Horus Informatica conferma un andamento che, in tema di sicurezza It applicata alle realtà aziendali di casa nostra, si sta tristemente trasformando in trend consolidato. Lo sostiene Massimo Grillo (nella foto), general manager e Ceo del distributore di Arluno (Mi) che, forte di una specializzazione in Global access gateway Vpn Ssl, Reverse proxy, Local & Global server load balancing, Appliance application front end, Monitoring e gestione delle infrastrutture It, ha interpellato (con un non meglio precisato sondaggio) 200 responsabili aziendali del Paese.

Quanto ne è uscito non entusiasma di certo, se non sotto il profilo delle opportunità che si aprono per quegli operatori che, come Horus, fanno del supporto ai clienti aziendali, esclusivamente tramite partner certificati, la propria ragione di business. Di quest’ultimi sembra aver bisogno il panorama italiano, se è vero che il livello di cultura It in azienda è ritenuto «scarso o sufficiente» dal 73% degli interpellati impendendo così «uno sfruttamento ottimale di quanto già investito in termini di infrastrutture per la sicurezza It». Un dato, quest’ultimo ulteriormente avvalorato da quel 50% di rispondenti secondo i quali, laddove gli investimenti in security sono stati effettuati, le potenzialità non vengono sfruttate pienamente.

In altre parole, nonostante il mercato si stia muovendo verso soluzioni sempre più efficienti e con un miglior rapporto qualità/prezzo, il 70% dei responsabili raggiunti da Horus Informatica cita la mancanza di un budget adeguato come concreto impedimento all’implementazione in azienda di un’Information technologyidonea”. Così, per un 48% di rispondenti che sostengono come sia «una limitata cultura It a ostacolare scelte di campo migliori», esiste un altro buon 25% che addossa alla «mancanza di personale tecnico specializzato» le responsabilità di uno sviluppo della sicurezza It nelle aziende italiane, ormai cronicamente arretrato.

Data una rapida scorsa alle necessità di protezione di cui oggi le aziende non possono, però, fare a meno, viene spontaneo constatare la spaccatura esistente fra la situazione attuale e le effettive esigenze. Le stesse che, con crescente insistenza, parlano di sicurezza perimetrale, sicurezza degli endpoint, perdita dei dati, controllo delle applicazioni anche attraverso soluzioni per il controllo degli accessi e policy user based delle conversazioni di messaggistica istantanea e del trasferimento dei file. Soluzioni di cui la stragrande maggioranza del campione raggiunto afferma di aver sentito parlare, ma per le quali i budget e la cultura It a disposizione nulla possono.

Così, se in tema di cloud computing e virtualizzazione è opportuno stendere un velo pietoso, vista la generale scarsa conoscenza riscontrata sul tema, è altrettanto vero che anche le aziende italiane stanno finalmente affrontando un’adozione sempre più massiccia di tecnologie che permettono di lavorare da remoto. Peccato che, a fronte di un 55% di realtà che affermano di avere fino a un quarto della propria forza lavoro in movimento e di un altro 22%, che alza alla metà il numero dei referenti on the move, il 60% risponda di non avere alcuna adeguata protezione in termini di sicurezza e controllo di dispositivi di memorizzazione removibili che, qualora utilizzati da malintenzionati, potrebbero trasformarsi in attacchi oltremodo dannosi.

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