Sharing law, si muovono i primi passi

L’economia della condivisione e della collaborazione è un punto importante, forse uno snodo, per il rinnovamento economico e sociale italiano. Se ne è parlato alla seconda edizione di Sharitaly, un evento specializzato che ha raccolto testimonianze di aziende, analisi di mercato e valutazioni strategiche per impostare correttamente il futuro. Regolare senza soffocare è stato il sottotitolo di un evento molto ben organizzato e diretto ad obiettivi precisi. Collaborare e condividere sono le parole chiave di nuove forme di scambio economico veicolate attraverso tecnologie relazionali. La diffusione di queste pratiche interroga la politica su come fare in modo che l’innovazione tecnologica supporti lo sviluppo economico e la coesione sociale.

La nostra indagine, svolta da Collaboriamo.org insieme alla Phd, ha mappato le piattaforme sharing italiane, identificandone 97”, ha spiegato Marta Mainieri, fondatrice della piattafroma Collaboriamo; “sono 56 le piattaforme che hanno risposto alle nostre domande”.

L’indagine è coordinata con il precedente lavoro sul crowdfunding svolto da Ivana Pais e Daniela Castrataro, che avevano mappato 41 piattaforme specifiche. Anche il crowdfunding fa parte dell’economia della condivisione, quindi ad oggi il totale delle piattaforme censite raggiunge il numero di 138 realtà.

Nei dati dell’indagine di Collaboriamo, il Sud è poco attivo mentre le isole si muovono di più, soprattutto la Sardegna. Il modello di business prevalente è la percentuale sul transato, ma una piattaforma su 5 non ha nessun business model. E ben il 52% ha impegnato capitali propri. La massa critica per l’Italia sarebbe tra 30 e 40 mila utenti per ciascuna piattaforma, mentre al momento la maggior parte di loro non supera i diecimila. Tra gli operatori c’è grande presunzione: appena il 5% di loro ritiene che la formazione potrebbe aiutarli a far meglio il loro lavoro.

 

Nuovi mercati, nuovi rischi

La sharing economy è una reazione ad un consumismo esagerato”, ha detto Simone Baldelli, Vice Presidente della Camera, aprendo i lavori; “è un mercato diretto tra domanda e offerta, ma con elementi sociali che lo rendono meno aggressivo di quanto potrebbe essere un approccio puramente liberista”.

Stato e mercato non prevedono socialità, basta il denaro”, ha sottolineato Ivana Pais, ricercatrice di Sociologia economica; “viene così scacciata la reciprocità, un valore che spesso, non sempre, è invece presente nella piattaforme sharing”.

Il potere della condivisione tramite piattaforme è rappresentato da standard di riferimento, leve promozionali, algoritmi reputazionali ed altri meccanismi simili”, ha detto Emanuela Mora, dell’Università Cattolica; “il rischio è che questo potere resti in mano ai promotori delle piattaforme”.

Anche in Italia la sharing economy è passata da moda a modello”, ha detto Federico Capeci, esperto di comunicazione digitale e ricerche di mercato. “Gli interessati sono passati dal 13% del 2013 al 22% del 2014”, precisa Federico: è una valutazione importante, perché la curva di adozione identifica nel 15% il guado tra early adopters e reale successo. Interessante la domanda sulla normativa: il 73% degli intervista dichiara che userebbero la sharing economy se fosse ben regolata.

Questo evento e quelli che lo seguiranno dovrebbero portare ad una proposta di legge, una sharing law, sul modello di quanto fatto per le start-up”, ha confermato Antonio Palmieri, deputato dell’Intergruppo innovazione.

Non resta che attendere gli sviluppi.

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