Sco: la proprietà intellettuale è un asset

A colloquio con Orlando Zanni, che chiarisce, al di là delle polemiche, la posizione di Sco nella querelle con la comunità open source

In questi lunghi mesi nei quali si è aperta e si sta consumando la querelle che contrappone Sco alla comunità open source, va detto, chi ha parlato di più sono “gli altri”.
Gli altri, ovvero tutti quelli interessati più o meno marginalmente alla questione, quelli per i quali le conseguenze, se ci saranno, si vedranno solo alla conclusione della disputa legale.
Loro, i due protagonisti della vicenda, parlano decisamente meno e quando lo fanno tendono a restare ancorati ai fatti, o almeno ai pareri dei loro avvocati.
Ci riferiamo naturalmente a Sco e a Ibm, quest’ultima il solo soggetto finora chiamato a rispondere davanti a un tribunale alle accuse mossele da Sco.
Abbiamo incontrato Orlando Zanni, responsabile della filiale italiana di Sco, per cercare di capire insieme non solo l’idea che sottende a tutta la questione, ma anche e soprattutto per sgombrare il campo dalle fin troppo facili polemiche che si sono fin qui sollevate.

Innanzi tutto – ha esordito Zanni – è importante fare una riflessione sulle metodiche attuali dello sviluppo open source. Sco, va chiarito, non è in alcun modo contraria all’idea alla base dell’open source stesso, ma vuole difendere i diritti derivanti dalla proprietà intellettuale sul software, di cui è convinta sostenitrice. Dunque, volendo sintetizzare, un sì chiaro all’open source, ma un no deciso invece a idee come software gratis oppure Gpl”.
Zanni tiene inoltre a precisare che la causa è stata intentata contro Ibm, e non contro le distribuzioni o gli sviluppatori. E l’individuazione di Ibm come controparte nasce da alcune considerazione circa il ruolo che Ibm ha avuto nel determinare il salto di qualità conosciuto da Linux in questi ultimi anni.
Sco – sostiene ancora Zanni – detiene i diritti su Unix System V e i relativi copyright. Poiché l’azienda ritiene che Linux sia di fatto un porting di Unix su piattaforma Intel, è convinta di conseguenza che negli anni siano state fatte numerose violazioni ai diritti derivanti dalla proprietà intellettuale e chiede pertanto che tali situazioni illecite siano sanate”.

Il punto sul quale Sco ritiene sia necessario fare chiarezza, è che le violazioni non siano limitate alle righe di codice, ma che, ben più profondamente, vadano a toccare i termini del contratto originale di licenza di At&t, che regola tutto il mondo Unix.
Il contratto – spiega sempre Zanni – parla esplicitamente di diritti d’uso personali non trasferibili e non esclusivi per obiettivi di business interni. Accetta i derivative works, considerandoli però parte del software originario; non dà in alcun modo al licenziatario, nella fattispecie a Ibm, il diritto di dare in uso ad altri il software; impone al licenziatario di mantenere tutte le parti del software “in confidenza” con Sco, metodi inclusi; nega il diritto di trasferimento ad altri; infine nega il diritto di vendita, affitto o trasferimento del software e dei derivative works da parte del licenziatario”.
Nella accezione di Sco, sono derivative works Numa, Rca, gli Schedulers e tutta una serie di componenti per un totale di oltre 1.500 file e per oltre un milione di righe di codice.
Per altro il progetto Monterey nasceva proprio dai vincoli di piattaforma imposti dal contratto con At&t e Sco ritiene non sia un caso che il Linux Technology Center di Ibm sia nato proprio dalle ceneri del progetto Monterey. Ciò che non si vuole accettare è che le regole siano state violate per dare un nuovo andamento all’industria It. Un nuovo andamento i cui beneficiari sono comunque poche e grandi aziende. Per questo motivo nel mirino di Sco c’è Ibm e non gli sviluppatori, gli studenti o i singoli utenti. Ciò che oggi è Linux era l’obiettivo del porting di Unix su piattaforma Intel, porting però possibile solo ed esclusivamente nei termini dei contratti esistenti. Si è preferito invece trasmigrare tutto in una pelle diversa, in un soggetto diverso che oggi si chiama Linux”.

Ma cosa significano allora le richieste di sanatoria portate avanti qualche mese fa da Sco?
Sco, vorrei precisare, non ha minacciato né fatto causa ad alcuno se non a Ibm. Sta solo avvisando il mercato che esiste un problema. Non v’è colpevolezza nell’utente finale, ma è innegabile che il problema esiste. Un problema di natura legale, che dovrebbe per lo meno spingere le aziende a rivolgersi ai loro uffici legali per scegliere con consapevolezza la strada migliore da percorrere”.
Ugualmente, è l’ulteriore precisazione di Zanni, non sono nel mirino di Sco le distribuzioni quali Red Hat o Suse: “Non hanno alcun contratto, non hanno sviluppato un kernel, che hanno invece derivato dalla comunità open source”.
La proprietà intellettuale su Unix è un asset fondamentale per Sco. Rinunciarvi vorrebbe dire venire meno ai doveri che l’azienda ha verso i propri azionisti. Per questo motivo, pur restando fedeli all’idea alla base dell’open source, oggi ci troviamo a difenderci, pagando in popolarità, da chi ha violato un diritto preciso”.
La sentenza, al 2005.

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